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 2017  giugno 27 Martedì calendario

L’economia dei coralli. La barriera vale 37 miliardi

Sarà una provocazione, ma fa capire quanto siano preziose le ricchezze naturali del nostro pianeta. Una stima pubblicata dalla società Deloitte Access Economics ha per la prima volta assegnato un valore monetario alla Grande Barriera Corallina che si estende al largo delle coste orientali dell’Australia, lungo un tracciato di 2300 km e con una superficie di ben 340.000 km quadrati, più vasta che l’Italia. Con calcoli approssimativi gli esperti di Deloitte hanno valutato che l’immenso habitat calcareo costruito nei millenni dai minuscoli polipetti dei coralli e che è la dimora di tutta una serie di pesci, stelle marine, anemoni, molluschi, avrebbe un valore totale di 56 miliardi di dollari australiani, che in dollari americani fa 42 miliardi e in euro 37 miliardi. La cifra è composta da capitoli che comprendono l’indotto diretto del turismo, il valore paesaggistico puro e quello di icona culturale e mediatica. 

In dettaglio, sui 56 miliardi australiani, 29 sarebbero dovuti all’indotto turistico generale, 3,2 alla specifica attività dei visitatori che si immergono per ammirare gli organismi marini, sia a scopo ricreativo che documentario, e ben 23,8 al valore indiretto, o di “marchio”, che australiani e stranieri che non l’hanno mai visitata le assegnano anche solo conoscendone esistenza e importanza, una sorta di valore “psicologico”. Per inciso, nel solo settore turistico, dalla barriera dipendono 64.000 posti di lavoro. 
Lo studio è stato commissionato agli esperti di Deloitte dalla Great Barrier Reef Foundation, la fondazione che si occupa di difendere la barriera come patrimonio mondiale dell’Unesco. E il direttore della fondazione, Steve Sargent, ha così spiegato lo scopo dell’iniziativa: «Questo rapporto manda un chiaro messaggio, che la barriera corallina, sia in quanto ecosistema, sia come risorsa economica e tesoro globale, è troppo grande per fallire». In pratica «too big to fail», proprio come si dice da anni delle grandi banche provate dalla crisi finanziaria. Con l’aggravante che, se vanno a catafascio alcune attività umane il danno, pur grave, può essere recuperabile. Ma se sono interi “pezzi” dell’ecosistema naturale ad andare in malora, il pericolo è enormemente più alto, minacciando gli equilibri base della vita e creando scompensi che la natura stessa risolve, ma nel giro di secoli. Sargent dichiara inoltre che la barriere «vale 12 volte la famosa Opera di Sidney». Ricorda come i coralli siano in pericolo a causa dello «sbiancamento» delle loro strutture calcaree dovuto all’aumento delle temperature di quelle acque di ben 4 gradi. Il caldo ha causato la sparizione in molte zone di una particolare specie di alga che offre protezione e nutrimento ai coralli, la Zooxanthellae. Inoltre è proliferata troppo una famiglia di stelle marine, le Acanthasteridae, che mangiano i polipetti, riducendo gli ammassi calcarei a cimiteri. 
Poiché in luglio l’Unesco dovrà decidere se dichiarare la Great Reef “a rischio”, il momento per lanciare l’allarme è quello giusto. La barriera ha subito i danni peggiori nel 2016, quando, nelle porzioni più settentrionali dell’ecosistema, più vicini all’Equatore, sono morti fino al 67 % dei coralli. Nella fascia centrale ne sono morti solo il 6 %, mentre nella parte meridionale per ora non si segnalano danni. Nel marzo 2017 però molti studiosi hanno dato per “morta” la barriera, che potrebbe non arrivare al 2050. 
Certo, assegnare un valore economico sulla carta a interi ecosistemi naturali è simbolico: il denaro vale unicamente dentro la mente umana, mentre tutte le cose naturali, non modificate dal lavoro, esistono in un certo senso “gratis”, di per sé. Ma può essere utile per farci riflettere, apprezzare e conservare.