Libero, 27 giugno 2017
Spiego tutto il mio odio per l’islam
Ho scritto che odiavo l’Islam, circa un anno fa, e voglio chiarire che lo odio ancora. Molti lettori sapranno che il 15 giugno scorso l’Ordine dei giornalisti della Lombardia (meglio: il Consiglio di disciplina territoriale, composto dai colleghi Paolo Colonnello e Anna Migotto più l’avvocato Claudia Balzarini) ha deliberato una mia sospensione di due mesi dalla professione e dallo stipendio. La ragione non è chiarissima, e neanche chiara: nasce da un esposto fatto da una collega (che non so chi sia) e ogni procedimento dell’Ordine viene inviato anche alla Procura generale presso la Corte d’Appello, e questo significa che, se fossero stati ravvisati reati tipo la violazione della Legge Mancino, che tratta l’incitazione alla violenza e alla discriminazione razziale-etnico-religiosa la Procura avrebbe dovuto procedere. Non lo ha fatto. Certo, non c’è solo la legge dello Stato, c’è anche la legge professionale dei giornalisti che regola la deontologia: tuttavia nella sentenza è citato vagamente solo «l’articolo 2, punto b» che parla della necessità di tutelare «la persona umana e il rispetto della verità sostanziale dei fatti, principi da intendere come limiti alle libertà di informazione e di critica». Ora: io di singole «persone umane» non ho parlato, ho parlato solo di idee, le quali, certo, non nascono sugli alberi perché sono elaborate da uomini, ma allora qualsiasi idea e dottrina, ideologia, religione, filosofia non dovrebbe essere criticabile perché elaborata da uomini. Quanto al «rispetto della verità sostanziale dei fatti», nel mio corsivo non si parlava di fatti. Comunque sia: la sanzione non scatterà subito perché ho proposto appello, ma in ogni caso
ne è nata una reazione insperata che ha visto molti miei colleghi scagliarsi contro l’esistenza stessa dell’Ordine (io non sono tra questi) o comunque difendere la libertà di espressione da una decisione che a molti è parsa assurda logicamente e giuridicamente.
LE CASTRONERIE
Ma non di questo volevo parlare. Il punto è che molti colleghi hanno ritenuto di dover difendere la mia libertà di opinione pur considerando hanno detto una porcheria quello che avevo scritto, anzi, «castronerie», «una stronzata illeggibile», cose così. Pazienza: lungi da me volerli convincere del contrario, ma ai lettori di Libero vorrei perlomeno far sapere che io, di quell’articolo, non cambierei una virgola o quasi. Mettersi a fare l’esegesi di un proprio scritto, ora, è un po’ da toccati, anche perché qualcuno potrebbe interpretare che la scrittura non fosse chiara: quando il problema, semmai, è che lo era troppo. Forse fa eccezione la prima parte: che nessuno cita mai anche se speravo restituisse il senso dell’articolo che perlomeno io avevo in mente, che è il senso dell’invettiva, della provocazione liberatoria allo stato puro: «Odio l’Islam. Ne ho abbastanza di leggere articoli scritti da entomologi che osservano gli insetti umani agitarsi laggiù, dietro le lenti del microscopio: laddove brulica una vita che però gli entomologi non vivono, così come non la vivono tanti giornalisti e politici che la osservano e la giudicano dai loro laboratori separati, asettici, fuori dai quali annasperebbero e perirebbero come in un’acqua che non è la loro. È dal 2001 che leggo analisi basate su altre analisi, sommate ad altre analisi fratto altre analisi, commenti su altri commenti, tanti ne ho scritti senza alzare il culo dalla sedia: con lo stesso rapporto che ha il critico cinematografico coi film dell’esistente, vite degli altri che si limita a guardare e a sezionare da non-attore, da non-protagonista, da non vivente. Ma non ci sono più le parole, scrisse Giuliano Ferrara una quindicina d’anni fa: eppure, da allora, abbiamo fatto solo quelle, anzi, abbiamo anche preso a vendere emozioni anziché notizie. Eccone il risultato, ecco alfine le emozioni, le parole: che io odio l’Islam, tutti gli Islam, gli islamici e la loro religione più schifosa addirittura di tutte le altre, odio il loro odio che è proibito odiare».
Ecco: voleva essere una premessa, anzitutto, che criticava come i quindici anni seguiti all’11 settembre, dopo una fiammata iniziale, ci avessero celermente riportato a un cerebralismo parolaio e a una «correttezza» che avevano soltanto caricato a molla molti di noi, così come l’iper-correttezza statunitense intanto avevano a molla tanti americani che poi avrebbero votato Trump. La mia morale, dopo 15 anni, è che odiavo l’Islam, tutti gli Islam, e odiavo il loro odio che è proibito odiare. Quanto alla «religione più schifosa addirittura di tutte le altre», mi riporto a posizioni che a molti lettori di Libero non piaceranno: quelle che furono di Bertrand Russell e più di recente di Christopher Hitchens, secondo le quali le religioni «pubbliche» avvelenano ogni cosa, temi che ora non v’interessano. Ma l’Islam tutti gli Islam rappresentano qualcosa di peggiore e invasivo perché respinge la separazione tra Stato e religione, non contempla la democrazia, respinge l’equivalenza di altre religioni e culture, esclude la parità giuridica e di genere, nega l’eguaglianza, ammette le pene corporali e la tortura, contempla e pianifica la sottomissione del nemico, e simpatizza essa sì per l’odio. Tutta roba che si può trovare su quel Corano che ho serenamente definito «manualetto militare» e nondimeno «libro di merda»: problemi miei. Nessuno può impedirmi di non sopportare anche le moschee, la cultura aniconica, il muezzin, l’ipocrisia sull’alcol e sulle vergini, soprattutto certa permalosità sconosciuta alla nostra cultura e le loro povere donne rinchiuse in quei sarcofaghi. «Odio l’Islam», scrissi, «perché l’odio è democratico esattamente come l’amare, odio dover precisare che l’anti-islamismo è legittimo mentre l’islamofobia no, perché è solo paura: e io non ne ho, di paura. Io non odio il diverso: odio l’Islam, perché la mia (la nostra) storia è giudaica, cattolica, laica, greco-latina, rousseauiana, quello che volete: ma è la storia di un’opposizione lenta e progressiva e instancabile a tutto ciò che gli islamici dicono e fanno». Non si smette mai di imparare, ma ho studiato quanto basta, ho viaggiato quanto basta, e posso volerlo ripetere sinché mi pare: «Odio l’Islam ma gli islamici non sono un mio problema: qui, in Italia, in Occidente, sono io a essere il loro». L’ho scritto e lo ripeto.
LE LEGGI VIOLATE
C’è una frase del mio articolo, molto contestata, che riletta oggi non piace molto neanche a me, ed è questa: «Un calcio ben assestato contro quel culo che occupa impunemente il mio marciapiede è il mio miglior editoriale». Non la riscriverei così, e non solo perché quel «culo» mi sembra una volgarità ridondante, ma perché distrae dal termine «impunemente» che è quello a cui tenevo di più: prega dove vuoi volevo dire ma non sul marciapiede che a noi serve per camminare; non trasformare un tuo-vostro problema (la religione) in un problema mio, perché qui da noi non ci sono solo la democrazia e la tolleranza, ci sono anche le leggi, che se non rispetti, alla decima volta, spingeranno il mio piede verso il tuo sedere e mi farai passare dalla parte del torto. Ma ci passerò, prima o poi.