Il Messaggero, 27 giugno 2017
La piccola Pompei riaffiora dagli scavi
Gli ultimi giorni del Celio. Un incendio divampato all’improvviso, un complesso abitativo avvolto dalle fiamme, quella vita quotidiana all’inizio del 200 d.C. consumata fino alla morte. Eppure conservata in eterno. Perché ad una profondità di quasi dieci metri dal livello stradale (siamo tra via Amba Aradam e via Ferratella) gli archeologi hanno intercettato una dimora frequentata sotto l’impero di Settimio Severo così come il rogo l’ha lasciata. Carbonizzata ma intatta. Due spaziosi ambienti (le cui strutture murarie risalgono all’età traianea poi rimaneggiate) che conservano ancora ampie porzioni del solaio in legno e parti dei mobili di arredamento. Non solo. Ma a riaffiorare sono stati anche i resti ossei di un cane di taglia media, accucciato davanti ad una porta, probabilmente rimasto intrappolato nelle ore drammatiche dell’incendio. Accanto i resti di un animale più piccolo. Un patrimonio unico per i millenni di storia di Roma, vista l’estrema rarità con cui il legno e i materiali organici si possono conservare. Siamo di fronte ad un contesto climatico e ambientale che ha restituito quasi l’impossibile in archeologia. Gli studiosi non possono non evocare uno scenario pompeiano per questa porzione meridionale di colle dei Cesari che in età severiana poteva vantare ancora aristocratiche ville alternarsi sulla sommità, tra lussuose architetture, giardini e giochi d’acqua (basti solo pensare alla straordinaria residenza della famiglia dei Valerii che proprio sotto l’ospedale di San Giovanni ha regalato sensazionali testimonianze). Ma questa piccola Pompei, come la chiamano gli archeologi, non e’ neanche molto distante dalle caserme militari dei pretoriani che occupavano la zona a Sud del Celio. Il ritrovamento, che evoca suggestioni simili a quelle di Pompei ed Ercolano sepolte (e preservate) dalle ceneri del Vesuvio nel 79 d.C., si deve ai lavori per la realizzazione della linea C della metropolitana: nel dettaglio, è stato lo scavo del cosiddetto pozzo Q15 a largo Amba Aradam, iniziato a dicembre 2016 per mettere in sicurezza anche le vicine Mura Aureliane. Un’operazione condotta sotto l’egida della Soprintendenza di Roma.
IL FUOCO
La natura dei reperti è molto complessa, perché il collasso dell’edificio causato dal divampare delle fiamme (in origine era disposto su più piani) ha creato una fitta stratigrafia di elementi architettonici: non a caso, nella parte più alta sono riemersi splendidi mosaici e intonaci dipinti delle pareti e del soffitto del piano superiore. Ma a far brillare gli occhi degli archeologi sono i legni portanti del solaio, la struttura che Vitruvio, l’archistar dell’antichità definiva contignatio. Non solo, perché a spiccare sono elementi lignei con lavorazioni di alta falegnameria, interpretati come arredi: uno sgabello, un tavolino, una cassa, forse una balaustra, e una grande tavola rettangolare. Persino uno stipite con tracce di lastre di vetro per una finestra. Al piano terra dell’edificio, sono state svelati affreschi con motivi di fantasia: un fiore a corolla sopra un candelabro vegetale. Roma non smette mai di stupire. Dal cantiere della metro l’ultima meraviglia che arriva dal passato», diceva ieri la sindaca Virginia Raggi in un tweet in inglese. Le cause dell’incendio fatale? Un evento sismico, forse, è allo studio dell’Istituto di geofisica e vulcanologia. L’interpretazione? Due le ipotesi: gli ambienti di rappresentanza della caserma (la più vicina, quella imperiale rinvenuta un anno fa a via Ipponio sempre per gli scavi della metro C); oppure una domus aristocratica del Celio.