la Repubblica, 27 giugno 2017
L’amore sfiorito per i Della Valle, la Fiorentina ha perduto la rotta
La situazione è terrea, grave ma non seria, praticamente violacea.
«La proprietà della ACF Fiorentina comunica di essere assolutamente disponibile, vista l’insoddisfazione di parte della tifoseria, a farsi da parte (...) se, come si auspica e si spera, ci sarà un progetto fatto da “fiorentini veri”». E così tra virgolette e allusioni, frecciatine e musi lunghi, i fratelli Della Valle mettono teoricamente in vendita qualcosa che nessuno vuole comprare. Lo fanno con un tono offeso e si accappona la pelle del sindaco Dario Nardella, che con i Della Valle ha in ballo una faccenda da 400 milioni di euro. «Per lo stadio andremo avanti senza se e senza ma» dice, e intanto invita «a usare la testa e il cuore e non la pancia».
Ma il sindaco è il primo a sapere che questa è invece una storia terribilmente di visceri, una brutta guerra intestinale che si trascina da anni tra coliche di contestazioni e sedativi di brevissima durata. I tifosi rimproverano ai fratelli il braccino corto, le continue cessioni, le liti con gli allenatori e 15 anni senza neppure una vittoria di consolazione. Ma i Della Valle, scrivendo quella frase sui “fiorentini veri”, ribattono che se nel 2002 i viola non avessero trovato dei marchigiani alla porta, quelli che secondo il noto proverbio sarebbero peggio di un morto in casa, a morire sarebbe stata proprio la Fiorentina che finanziariamente già lo era, fallita e retrocessa. I Della Valle la presero in braccio, la rianimarono, la ribattezzarono (nel frattempo era diventata Florentia Viola) e in qualche modo la rimisero nella parte sinistra della classifica di serie A. Non è bastato, non basterà.
«Non possono gestire la società come una delle loro tante aziende», scrive la curva Fiesole quando non appende striscioni poco gentili. Visto da lontano sembra un esercizio di pervicace autolesionismo: una squadra che ha Montolivo, Bernardeschi, Kalinic, Borja Valero e li molla forse tutti o ne viene mollata; una panchina alla quale non bastano Prandelli, Montella e Paulo Sousa, grandi e folli amori all’inizio, separazioni in casa con piatti volanti alla fine. Il totem del bel gioco abbattuto dal malessere continuo, dai rigurgiti acidi delle polemiche di una piazza forse un po’ troppo esigente e di una proprietà forse un po’ troppo suscettibile.
«A Firenze siamo in paradiso, però non si sta in paradiso a dispetto dei santi» ha detto Andrea Della Valle a fine maggio, preludio al lungo addio di ieri. In soldoni, il club è valutato tra i 200 e i 250 milioni dai due fratelli, ma l’unico imprenditore locale si è mostrato all’orizzonte per un’urticante disfida su Instagram, non certo per una trattativa d’acquisto: trattasi dello stilista Roberto Cavalli. I fratelloni annunciano querele e Cavalli si scusa ma dichiara che la sua passione è morta. Per sdrammatizzare, Gene Gnocchi propone su Twitter una soluzione: la Fiorentina potrebbe comprarla Pupo se gli girasse bene una mano a poker.
Le ultime contestazioni sono esplose la sera della penosa sconfitta al “Franchi” contro il Borussia Moenchengladbach (2-4), e non si sono mai placate. «Non capisco, dovremo fare delle riflessioni» disse Andrea. E sullo sfondo delle guerriglie dialettiche, anzi in primissimo piano, c’è la faccenda dello stadio. Il plastico venne sfarzosamente presentato nella Sala d’Arme di Palazzo Vecchio, e naturalmente è un nodo urbanistico, commerciale e finanziario che va ben oltre il pallone. Ci sono di mezzo la nuova pista dell’aeroporto, il “mall” per i Della Valle, l’intera sistemazione dell’area di Novoli e un’architettura economica che incrocia Mercafir, Castello e Unipol. Ora tutto rischia di bloccarsi mentre già scintillano i canini affilati di Juve, Milan e Inter per papparsi Bernardeschi, Kalinic e Borja Valero detto “il sindaco”, anche se per sua fortuna lui non dovrà smazzarsi quella grana da 400 milioni.
Un delirio, insomma. Ai tifosi resta però il nome del primo acquisto che sarà sì brasiliano, ma non proprio di primissimo piano: tal Vitor Hugo, 26 anni, difensore: non gli basterebbe aggiungersi una “c” per scrivere I miserabili.