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 2017  giugno 27 Martedì calendario

L’ultima battaglia di Liu Xiaobo, il Nobel è libero ma in fin di vita

PECHINO Gli intellettuali, dice Liu Xiaobo, «parlano solo e non agiscono mai. Io spero invece di non diventare quello che sulla porta dell’inferno si atteggia in qualche posa eroica e resta lì accigliato e indeciso». È l’aprile del 1989 e quella porta il professor Liu la varca per sempre – abbandonando New York e la Columbia University per tuffarsi nella battaglia di Tiananmen.
Da nessun inferno è tornato mai vivo nessuno, ma perfino qui il primo Nobel per la pace cinese, premiato nel 2010 mentre sconta la condanna del 2009 a 11 anni per «incitamento alla sovversione dello Stato», riesce a dare una lezione straordinaria. Il dramma è che la notizia più bella è anche la più triste: Pechino concede la libertà condizionale – ma la condizione è quella del malato terminale, un terribile tumore al fegato. «Libero, ma gravemente malato», dice ora Human Rights Watch. E Amnesty International: «Alla vergogna si aggiunge la malattia: Liu Xiaobo è stato diagnosticato con un grave male mentre era in prigione, dove non avrebbe mai dovuto essere».
Sì, un qualche significato politico l’avrà anche il comunicato del penitenziario del Liaoning rilanciato dalGlobal Times, il giornale in inglese del partito: «Il dissidente Liu Xiaobo sta ricevendo le cure dei migliori esperti di tumore», «il Primo Ospedale dell’Università di medicina cinese ha chiesto a un team di otto famosi medici di predisporre i trattamenti». Bisogna però essere molto più che ottimisti per leggerci chissà che: senza pensare che nell’anno del Congresso- apoteosi di Xi Jinping lasciar morire in carcere il dissidente più famoso non sarebbe una buona idea.
Perché Liu Xiaobo, 61 anni, avrebbe comunque i giorni contati: sta malissimo, fa sapere il suo avvocato, ed è ricoverato dal 23 maggio, quando gli è stata diagnosticata la fase terminale. Neppure la moglie, la poetessa Liu Xia, sarebbe stata messa a conoscenza delle sue condizioni: confinata anche lei agli arresti domiciliari, imprigionata senza nessuna accusa dai giorni del Nobel, malata di depressione per il lungo e forzato isolamento.
Una storia d’amore e di battaglia. I due si conoscono dagli anni ’80, la ragazza era pazza di Cavallo Nero, come il giovane prof contro tutto e tutti era soprannominato, lui che si era laureato alla Normale di Pechino con una tesi su “Estetica e libertà dell’uomo”. Liu Xiaobo è tra i protagonisti di quella incredibile primavera, quando la Cina credette che all’opening up, all’apertura economica voluta da Deng Xiaoping, potesse seguire l’apertura alla democrazia. «Ci trovavamo alla periferia della città, eravamo pittori, scrittori e poeti, ci vedevamo al 43 di Beijing South Road», ricorderà Ma Jian, l’autore di “Pechino in coma”. Tiananmen cambia tutto, il professore scende in piazza con i suoi studenti, è uno dei “Quattro gentleman” che organizzano lo sciopero della fame e aprono la trattativa con i militari che stanno già invadendo la piazza di carri armati.
Com’è finita si sa: anche se non lo sanno più, oggi, milioni di giovani cinesi oscurati dalla censura che ha cancellato la rivolta dai libri e dal web. Ma Cavallo Nero non si fa domare, entra ed esce di prigione, si fa anche tre anni di lavori forzati dove l’unica gioia è sempre Liu Xia che davanti alle guardie urla di voler sposare «quel nemico dello stato».
L’ultima battaglia è quella che gli costa la condanna più dura, la fondazione di “Carta 2008”, il documento firmato da 303 attivisti che chiede la fine del partito unico e il rispetto per i diritti umani. «Nonostante il suo arresto», scrive Vaclav Havel, l’altro Nobel che con la sua Carta 77 ispirò i cinesi, «le sue idee non potranno essere arrestate».
«Non ho nemici, non provo odio» dice Liu nella dichiarazione scritta in cella che alla premiazione di Oslo legge Liv Ulmann. Ma le parole più toccanti restano forse quelle che dedica alla moglie: «Amore mio, non rinuncerò mai alla battaglia per la libertà dalla cella degli oppressori: ma a te mi offro come prigioniero per la vita».