la Repubblica, 25 giugno 2017
Cambellotti l’artista totale tra lavoro e regime
“Io sono Cambellotti” si intitola la mostra che Marco Fabio Apolloni e Monica Cardelli dedicano all’artista romano nel Museo Emilio Greco di Sabaudia (fino al 2 luglio, catalogo De Luca). E, siccome siamo in zona, l’autore di Canale Mussolini, Antonio Pennacchi, firma un gustoso introibo per raccontare il suo incontro con il grande dipinto di Cambellotti, realizzato su lastre di eternit, materiale allora nuovissimo e innocente, intitolato La redenzione dell’Agro romano per il Palazzo del Governo di Latina, che allora si chiamava Littoria.
È, racconta Pennacchi, un enorme trittico dove la scena campestre con erbe, stagno e animali è dominata dai contadini ex combattenti con in testa l’elmetto della guerra ’15-’18. Bisognava chiamarla, conclude lo scrittore, La conquista della terra. È una delle tante opere decorative e celebrative insieme di Cambellotti che bisogna andare a cercare nei palazzi pubblici, come la sede dell’Acquedotto pugliese a Bari per la quale tra arredi e decorazioni lavorò per diversi anni. Altre sue opere sono a Ragusa e naturalmente a Roma.
Apolloni si chiede chi vada mai a vedere quel che Cambellotti ha fatto per l’Istituto Eastman, che è un istituto odontoiatrico universitario romano o chi, all’Anagrafe, si fermi a considerare la paternità della lupa capitolina di bronzo che l’artista ha fuso.
Ripercorrere la carriera di Cambellotti (1876-1960) significa dunque cercare un filo rosso che tenga unite le esperienze del pittore, del cesellatore, dello scultore e ancora dell’illustratore di libri, dello scenografo (lavorò per la prima della Nave di D’Annunzio al Teatro Argentina di Roma) del progettista e costruttore di mobili. Un volume del ’99 di de Guttry, Maino e Raimondi, voluto proprio dall’Acquedotto pugliese, e dedicato ad “Arredi e decorazioni” di Cambellotti è una continua sorpresa oltre che una sorta di caleidoscopio in cui vediamo l’artista che recupera certe forme medievali e si adatta poi al Liberty, seguitando con una maniera sua che lo allontana dalla ribalta artistica più in vista senza mai cancellarlo davvero.
Agli albori del Novecento Cambellotti con Giacomo Balla, Alessandro Marcucci, che era un giovane funzionario ministeriale, il poeta e scrittore Giovanni Cena e la sua compagna di allora, Sibilla Aleramo, fondano scuole rurali nell’Agro romano dove cercano di istruire i bambini analfabeti che venivano sfruttati nei campi e talvolta venduti per fame dai genitori come forza lavoro.
C’è (ma non in mostra) una xilografia di Cambellotti che ritrae Cena vestito di nero con il cappello vicino a una staccionata. Quasi certamente è ambientata nell’Agro, vicino a Lunghezza che è più o meno dalle parti di Tivoli. Nel 1911 si celebra a Roma il cinquantenario dell’Unità e Cambellotti ricorderà l’impegno nell’Agro ricostruendo scuole e abitazioni dei contadini. Contrario alla guerra, non aderisce al Futurismo, a differenza del suo amico Balla, e anche se lavorerà più tardi in sintonia con la retorica fascista, rimarrà sempre un socialista umanitario alla De Amicis, il che a conti fatti è un merito, un artista artigiano che si fida del suo occhio e delle sue mani. La mostra di Sabaudia è un’occasione per misurare il secolo che ci sta alle spalle, badando anche al riscatto degli umili che passa attraverso le scuole domenicali, le bonifiche delle paludi, gli acquedotti e persino il contributo degli artisti di buona volontà. Gianelli morì nel ’14, Cena nel ’17: toccò a Cambellotti testimoniare quei tempi e quelle imprese fino alla sua scomparsa nel 1960.