La Stampa, 25 giugno 2017
Intervista a Ben Thomas: «Quei disegni che svelano il vero Raffaello»
Ben Thomas è uno storico dell’arte ed è co-curatore con Catherine Whistler di «Raphael: The Drawings» (Raffaello: I disegni) all’Ashmolean Museum di Oxford, fino al prossimo 3 settembre. La mostra è descritta dal direttore del museo, Xa Sturgis, come «un’occasione che capita una volta nella vita, quella di sperimentare la potenza visiva ed emotiva della mano di Raffaello e di comprenderne il genio».
Perché ha deciso di organizzare una mostra dei disegni di Raffaello all’Ashmolean?
«Perché ne custodisce la maggior collezione esistente».
Come mai?
«Erano stati messi in vendita dei disegni di Raffaello e Michelangelo e la Oxford University li comprò grazie a una sottoscrizione pubblica. Accadde nel 1845».
E qual è il taglio della mostra?
«È un’occasione per approfondire la conoscenza di Raffaello come disegnatore. Volevamo mostrare come i suoi disegni siano eloquenti in due sensi: in primo luogo nei termini della cultura rinascimentale, di cui era partecipe, ma anche come testimonianza intima e immediata del suo processo creativo».
Che cosa ci trasmettono questi disegni?
«Ci permettono di seguire il pensiero dell’ artista, quasi come se fossimo accanto a lui. Abbiamo ritenuto che concentrarsi sui disegni di Raffaello avrebbe permesso a un pubblico contemporaneo di apprezzarne l’estro e la creatività».
Sono molto diversi da quelli di altri celebri artisti, come Leonardo da Vinci e Michelangelo Buonarroti?
«Sì, ha imparato da entrambi, e nei suoi disegni vediamo la risposta alla loro arte, assimilata e cambiata, e fatta propria».
È più moderno rispetto a loro?
«Credo che, osservando la gamma dei disegni in mostra e il loro sviluppo stilistico, si noti come il suo stile in appena vent’anni si evolva rapidamente. Si va da una formula relativamente statica, basata su Pietro Perugino, a uno degli stili più espressivi della storia dell’arte».
Che tipo di stile?
«Il suo personale, che qui possiamo vedere nella seconda e ultima stanza, che è una sintesi, ma ha anche qualcosa di molto originale: il disegno è stato il mezzo per arrivare a questa originalità».
Che cosa c’è di così originale nello stile di Raffaello?
«Figure in movimento, eloquenti, orchestrate in composizioni complesse. Così da raccontare storie in modo efficace, comunicando l’emozione attraverso la rappresentazione del movimento stesso».
Questi disegni sono la base per i suoi dipinti e per gli affreschi?
«Sì, sono preparatori per gli affreschi in Vaticano e il suo famoso ultimo dipinto, “La Trasfigurazione”, che si trova proprio ai Musei Vaticani. Ma abbiamo anche voluto mostrare come Raffaello scoprì le forme e disegnò per piacere, non necessariamente con in mente un progetto o un dipinto».
Quanti sono i disegni in mostra?
«Sono 120, circa il 30 per cento di tutti quelli esistenti».
In che lasso di tempo furono creati?
«Dal 1500 circa al 1520, quando morì all’età di soli 37 anni».
Disegnò per tutta la vita?
«Suo padre era un artista e così Raffaello imparò a disegnare da lui e il disegno per lui fu il mezzo per coordinare diversi progetti importanti».
Scrisse qualcosa sul disegno?
«È curioso. Sì, ne scrisse in una lettera in cui parlava del suo progetto per mappare i resti dell’antica Roma. Lo stile che descrive è molto tecnico, come quello di un geometra o di un architetto. Purtroppo non abbiamo nulla di scritto circa il tipo di disegni in mostra, ma sono opere che parlano da sole».
Da dove vengono i disegni che non fanno parte della collezione del Ashmolean?
«Dal Museo Albertina di Vienna, dal Louvre di Parigi, dalla Royal Collection di Windsor, dal British Museum di Londra, dagli Uffizi di Firenze, oltre che da altri prestiti da Francoforte e Budapest e anche da collezioni private».
Raffaello è altrettanto grande nei suoi disegni come nella pittura e negli affreschi?
«Direi che è più grande nei suoi disegni».
Perché?
«Perché si vede come inventò nuovi concetti e anche tecniche eccezionali che non possono essere tradotte nei dipinti. Alcuni degli studi di drappeggi, per esempio, sono molto più complessi di quanto lo siano nei suoi quadri».
Chi erano i suoi allievi?
«Il più famoso è Giulio Romano. Ci sono dei dubbi di attribuzione e ci sono studiosi secondo i quali alcuni disegni che abbiamo incluso, soprattutto quelli più tardi, sarebbero dello stesso Giulio. Ma noi crediamo che tutti i disegni in mostra siano di Raffaello e dimostrino la sua creatività. Abbiamo cercato di non fossilizzarci sul problema dell’attribuzione. C’è un dibattito in corso a questo proposito tra gli studiosi di Raffaello, ma probabilmente non sarà mai completamente risolto».
Traduzione di Carla Reschia