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 2017  giugno 24 Sabato calendario

Lo invidiava perché faceva carriera. Così il medico ha ucciso il collega

CASALE MONFERRATO Per cinque anni sempre assieme al pronto soccorso dell’ospedale di Santo Spirito, a Casale Monferrato. Uno accanto all’altro quando c’era da acchiappare al volo, nel corso di un intervento d’urgenza, vite che stavano andando via dopo un incidente stradale, per un infarto, per un ictus e per tutto quello che può succedere quando in astanteria giunge a sirene spiegate un’ambulanza del 118. Entrambi medici ospedalieri: Andrea Juvara, 47 anni, ucciso nel suo letto con dieci coltellate nella notte tra mercoledì e giovedì, e Massimiliano Ammenti, 51enne, entrato nella villa del collega di soppiatto, come fosse un ladro, deciso a colpirlo. Entrambi liguri, laureati a Genova e con specializzazioni simili: il primo in Anestesia e Rianimazione, il secondo in Chirurgia d’emergenza. Ma poi a un tratto, qualche mese fa, le carriere dei due dottori hanno preso direzioni differenti.
A raccontarlo sono i curriculum pubblicati online dalla Asl di Alessandria. Si potrebbe dire che Juvara (separato, tre figli tra i 18 e 22 anni, una nuova relazione) sia andato avanti. Ammenti, invece, è rimasto al palo. Juvara è diventato coordinatore del 118 cittadino, con responsabilità nel reparto di Rianimazione dell’ospedale di Casale, 40 mila anime dove tutti conoscono tutti e dove molti raccontano che Ammenti avesse preso piuttosto male l’avanzamento del collega stimato e benvoluto in corsia.
Chissà che non sia anche questa diversità di traiettorie presa dalla vita lavorativa dei due a spiegare il delitto commesso da Ammenti. Che già due settimane fa aveva provato a far fuori Juvara – hanno accertato i carabinieri del nucleo investigativo di Alessandria diretto da Giuseppe Di Fonzo – nello stesso modo in cui poi lo ha ucciso l’altra notte. Arrivando in auto davanti alla casa di San Martino di Rosignano, non lontano dall’ospedale, dove il «rivale» viveva da solo e scavalcando il muro di cinta. Se quindici giorni fa non era successo nulla è perché un vicino aveva notato l’arrivo furtivo di Ammenti gridandogli cosa volesse. «Mi sono perduto», era stata la risposta alla quale era seguita una precipitosa fuga. L’altra sera è andata diversamente: l’assassino (sposato, una figlio) si è portato appresso due coltelli – presi da un set da cucina di trenta lasciato a casa del patrigno – ed è entrato a casa di Juvara forzando una porta secondaria. Ha raggiunto la stanza da letto al primo piano e ha sferrato una prima pugnalata. L’altro dottore dormiva, si è svegliato di soprassalto tentando una reazione e riuscendo a ferire in qualche modo a una mano Ammenti che però lo ha ucciso vibrando altre nove coltellate. Poi è scappato. All’indomani il cadavere sul pavimento è stato trovato dalla compagna, allarmata dai colleghi che non l’avevano visto al lavoro nonostante avesse un turno alla mattina.
I carabinieri hanno avvertito tutti gli ospedali della zona nell’ipotesi che l’assassino si fosse fatto medicare. Cosa che ha puntualmente fatto Ammenti in un modo piuttosto surreale: presentandosi al pronto soccorso di Novi Ligure, dove aveva una casa, senza chiarire di essere un medico e motivando quella ferita alla mano come un incidente domestico. Nel pomeriggio i carabinieri lo hanno arrestato con l’accusa di omicidio volontario aggravato. Davanti al pm della Procura di Vercelli, Roberta Brera, sulle prime ha negato tutto. Poi ha confessato, sia pure confusamente: «Volevo soltanto dargli un avvertimento» ha raccontato, parlando di rancore e odio dovuti a battute e prese in giro continue, magari davanti alla macchinetta delle merendine vicino al pronto soccorso. Quella dove ieri tutti i colleghi dei due medici commentavano l’omicidio.
Juvara, impegnato nel volontariato, benvoluto da tutti, apprezzato dalle donne. Ammenti taciturno, scontroso, spesso in ritardo nei turni. Addirittura «più immusonito del solito negli ultimi 15 giorni».