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 2017  giugno 24 Sabato calendario

Due respiri profondi, un istante di concentrazione in apnea, clic. Così i cecchini americani dopo la caduta di Bagdad raccontavano il momento dello sparo

Due respiri profondi, un istante di concentrazione in apnea, clic. Così i cecchini americani dopo la caduta di Bagdad raccontavano il momento dello sparo. I nemici hanno imbracciato altre bandiere, ma la figura del cecchino in Iraq è rimasta la stessa. Il soldato che combatte stando lontano dal bersaglio.
Sempre più lontano: un tiratore scelto delle forze speciali canadesi nell’ultimo mese ha colpito un miliziano dell’Isis a 3.540 metri di distanza. Il proiettile ha impiegato ben 10 secondi, viaggiando a oltre 1.200 km all’ora. Un puff di polvere, un uomo abbattuto. I giornali ne parlano come di un record battuto: quello precedente apparteneva a uno sniper britannico, che si era fermato a 2,5 km. Il canadese senza nome (per motivi di sicurezza) ha aggiunto un’altra tacca sul suo fucile Tac-50.
Dobbiamo immaginarlo sdraiato, su un’altura, mentre respira e prende la mira puntando il cannocchiale verso la piana di Ninive/Mosul. Non da solo però. Erano solitari i tiratori di una volta, gli austriaci dell’imperatore Francesco Giuseppe detto Cecco (da cui l’italiano cecchino), o il finlandese Simo Hayha, soprannominato dai nemici «morte bianca», che in meno di 100 giorni negli anni Quaranta uccise 542 sovietici (altro record). Spesso diventava una mortale gara di tiro, come nella leggenda della battaglia di Stalingrado che vede il campione russo Vassili Zaitsev battersi all’ultimo colpo con il tedesco Erwin Konig, duello raccontato anche nel film «Il nemico alle porte» con Jude Law.
Ma gli sniper high-tech uccidono in coppia, a volte in tre. E di rado sono visti come eroi. Lo spotter è il compagno «navigatore» che studia la distanza, la forza del vento e la curvatura della Terra, prima di fornire le coordinate all’uomo del grilletto.
A Bagdad il sergente Randy Davis della Brigata Stryker raccontava che a certe distanze, a partire dai mille metri, la morte di un nemico appare da lontano come una nuvoletta di polvere che esce dal foro della divisa, e poi una macchia di sangue. Come in Matrix, lo spotter riesce a seguire la scia del proiettile (la differenza di pressione dell’aria provoca una particolare diffrazione della luce) prima che raggiunga il bersaglio.
Anche se non osiamo dirlo, è questo aspetto umano e tecnico a colpirci. I droni ce li hanno anche i miliziani dell’Isis. Ma la precisione dei cecchini testimonia in un certo modo la superiorità dell’Occidente. L’«umanità» distorta della guerra «da remoto» (ma non solo tecnologia senza intervento umano, come per i droni): l’asetticità della morte a 3,5 km di distanza, contro la barbarie dei kamikaze con l’esplosivo fai-da-te sul corpo.
Il cecchino invece è più un artigiano altamente specializzato. Spesso nei film, come nell’ultimo Wonder Woman, è un giovane tormentato dai sensi di colpa. Nella realtà è diverso: nelle scuole per tiratori scelti Usa, ad esempio, vengono selezionati i «più calmi, metodici, disciplinati». In American Sniper Clint Eastwood ha romanzato la vita di Chris Kyle, il più grande cecchino Usa. Che dopo quattro turni in Iraq, è morto in un poligono del Texas, per mano di un veterano colpito da stress post traumatico.
I cecchini «dipendono» dalle loro vittime. Durante l’assedio di Sarajevo, uno dei viali principali della capitale bosniaca fu soprannominato Sniper Alley, il Viale dei Cecchini. Almeno 225 persone furono uccise (60 bambini) dai tiratori serbi. Solitari sono i miliziani che intorno a Taiz, in Yemen, sparano ai civili in maniera selettiva, ci ha raccontato un italiano di Medici senza frontiere: «Un giorno per esempio decidono di colpire le donne, e solo al braccio sinistro». Chi ne centra di più: anche questo può essere un record?