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 2017  giugno 26 Lunedì calendario

Tagliò l’orecchio a Farouk, Matteo Boe è libero. «Mai chiesto sconti a questo Stato»

MILANO Cella 25 reparto AS 1: addio. «Ho pagato i miei errori fino in fondo, senza chiedere sconti a nessuno. Ho chiuso con tutto, l’unica cosa che mi interessa adesso è risentire i profumi della mia terra». Dopo un quarto di secolo dietro le sbarre Matteo Boe, il sequestratore di Farouk Kassam, è un uomo libero. Forse in questo momento è già in Sardegna, o molto vicino, nella sua Barbagia, a fiutare l’aroma di mirto e lentisco e a inabissare i segreti del suo romanzo criminale sotto il basco che anche ieri mattina, fuori dal carcere di Opera, aveva calcato sulla nuca. «Il mio conto con la giustizia è saldato – ha detto l’ex bandito sardo a chi gli ha parlato nelle ore che hanno preceduto e seguito la scarcerazione – Ora guardo avanti, farò la mia vita. Una vita ritirata».
Le 10 e 40 di domenica mattina. Per uno che dalla prigione, anzi da una prigione di massima sicurezza, isola dell’Asinara, si era allontanato su un gommone guidato dalla compagna beffando il sistema penitenziario di uno Stato che, da indipendentista, non ha mai riconosciuto, andarsene dopo 25 anni da Opera a bordo di una Fiat 500 L può sembrare un’uscita “anonima”. E se non fosse che dell’Anonima Sequestri, negli anni ‘80, era lui il capo indiscusso, il più temuto, il più spietato, e anche il più disciplinato («È un soldato», dicono di Boe quelli che l’hanno conosciuto in carcere), questo gioco di parole aiuterebbe a capire meglio il personaggio. E la sua storia.
La pagina più efferata Boe inizia a scriverla il 15 gennaio 1992 a Porto Cervo: un super rapimento, uno dei più orrendi e mediatici nel crimine italiano. Il piccolo Farouk Kassam ha sette anni. È il figlio del titolare di un albergo di lusso della Costa Smeralda. Boe, invece, a 35 anni è il re del banditismo sardo, un primato condiviso e conteso con gli altri due mammasantissima dell’isola: Grazianeddu Mesina e Annino Mele. Boe, il “bandito dagli occhi di ghiaccio”. L’incallito separatista pronto a sparare per un ideale poi lordato dalla brutalità dei sequestri. «Per lui lo Stato italiano non è mai esistito», ricorda un vecchio colonnello dei carabinieri che gli diede la caccia tra i boschi di Sardegna per cercare Farouk. Al bimbo rapito Boe taglia il lobo dell’orecchio e lo recapita al padre all’interno di una busta. Serve per alzare la richiesta di riscatto. Dopo 177 giorni di prigionia e una consegna di denaro, in circostanze ancora misteriose, e con l’intervento di Mesina, Farouk viene liberato. I particolari di quella vicenda Boe li racconta (solo) in un libro di prossima uscita. E così pure gli altri due sequestri per i quali è stato condannato: quello di Sara Nicoli (morta anni dopo in seguito ad una malattia rarissima), e quello dell’imprenditore Giulio De Angelis. Ma di fronte allo Stato Boe ha sempre fatto Boe. Per 25 anni.
Un po’ soldato, un po’ asceta, un po’ “intellettuale”, come lo chiamavano in carcere. L’ex bandito di Lula, borgo barbaricino di 1000 abitanti, viene arrestato il 13 ottobre 1992 a Porto Vecchio, in Corsica, dove sta trascorrendo – da latitante – qualche giorno insieme alla compagna Laura Manfredi (da cui si è poi separato). Trasferito nel carcere di Marsiglia, è estradato e condannato nel 1996 a 20 anni di reclusione. Dotato di un genio criminale che lo inserisce tra i latitanti più pericolosi: e il trattamento detentivo ne è prova. Prima sottoposto a 41 bis, anche quando il regime del carcere duro gli viene tolto, Boe, per il Dap, continua a essere un soggetto pericoloso: uno da AS1 (primo livello dell’alta sicurezza). Nel suo reparto a Opera ci sono quelli di Capaci e via D’Amelio. Laureato in agraria a Bologna e culturalmente onnivoro (letteratura francese, musica classica, politica) Boe è stato un’anguilla capace di una fuga all’Arsenio Lupin: il 1 settembre 1986 scappa dal supercarcere dell’Asinara, dove erano convinti di averlo finalmente disinnescato.
Aneddoto. Un giorno un politico in visita a Opera gli fa: «Lei è l’unico essere vivente che è riuscito a evadere dall’Asinara. A scappare da qui ci metterebbe un minuto...». E lui, serafico: «Sono cose che si fanno solo a inizio carriera!». Come per molti criminali anche su Matteo Boe si è abbattuta le legge impietosa del contrappasso: lui taglia l’orecchio a un bambino; undici anni dopo killer anonimi falciano la vita della figlia Luisa, primogenita, 14enne, a fucilate mentre è affacciata al balcone di casa a Lula (omicidio ancora senza colpevole). È la fisiologia del male. Eppure l’ex bandito barbaricino mai si è dichiarato pentito per i reati che lo hanno tenuto in carcere tutti questi anni. Censore severo delle proprie emozioni, a qualcuno ha confidato che la coerenza con la natura e la matrice indipendentista gliene chiederebbero conto. Però, si è lasciato andare, «sono contento di essere uscito, e di averlo fatto con la schiena dritta».