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 2017  giugno 26 Lunedì calendario

L’ultimo retropassaggio, «così il calcio entrò nel futuro»

Due minuti al 90’, punizione per i danesi che stanno avanti 2-0, la palla è ferma un paio di metri oltre il centrocampo ma il numero nove Povlsen anziché giocarla di lato o nell’aria avversaria o verso la bandierina come si farebbe adesso la scaraventa all’indietro verso il suo portiere, Peter Schmeichel, che la blocca con le sue manone. Un retropassaggio di cinquanta metri che a venticinque anni di distanza è due cose: un pezzo d’antiquariato e il simbolo di una rivoluzione. Ullevi Stadion di Goteborg, 26 giugno 1992, Danimarca-Germania 2-0, la fine dell’Europeo – vinto a sorpresa dagli scandinavi ripescati al posto della Jugoslavia, sbriciolata dalla guerra nei Balcani – ma anche di un’epoca, di un certo calcio: da quel giorno in poi nessun portiere di nessun posto e nessuna categoria del mondo avrebbe mai più potuto acchiappare con le mani la palla passatagli di piede da un compagno.
«Quel giorno il calcio è cambiato per sempre entrando nel futuro» assicura convinto Franco Baresi. Per un secolo il retropassaggio era stato un investimento sicuro, l’isola felice: se ti pressano dalla indietro, ti diceva ogni allenatore di buonsenso. Poi, basta. Da anni Arrigo Sacchi andava dicendo che quella regola avrebbe cambiato in meglio il calcio: aveva ragione, e forse non è un caso che fu proprio il Milan di Capello a farsi trovare più preparato con due scudetti e una Champions fra 1993 e 1994. «Cambiò tutto, il modo di pressare, l’attacco al portiere, la difesa – racconta ancora Baresi —. Noi sul pressing sistematico lavoravamo da anni, in qualche modo eravamo già pronti a quella rivoluzione». Negli stessi anni Van Gaal all’Ajax trasformava il portiere in un giocatore in più, Zeman al Foggia diceva a Mancini di stare fuori dall’area. Racconta Allegri: «Tutto diventò più veloce, prima a un quarto d’ora dalla fine le partite morivano, Boniperti lasciava lo stadio, oggi negli ultimi dieci minuti le gare si rovesciano».
Della riforma si parlava già a metà degli anni Ottanta ma decisivo fu l’interventismo di Sepp Blatter – allora solo segretario generale della Fifa – che intuì subito come il nuovo pallone che rotolava verso il Duemila dovesse esser più spettacolare e quindi più veloce. Si dice che la svolta avvenne a Italia ’90 quando contro il Messico il portiere irlandese Bonner col trucco del retropassaggio a oltranza riuscì a sequestrare la palla per sei minuti sui 45 di tempo effettivo. «Era una strategia tipica delle piccole – spiega Mazzone, dal ’91 al ’93 al Cagliari —. Cambiai gli allenamenti, occorreva imparare a giocare la palla indietro in un certo modo, sul piede giusto del portiere, per evitare pasticci». Luca Marchegiani ci rimise il posto da titolare in Nazionale, proprio con Sacchi: ottobre ’92, partita di qualificazione con la Svizzera, Costacurta gliela gioca indietro e lui pasticcia regalandola a Chapuisat che segna. «Ci trovammo spiazzati – ha spiegato l’ex numero uno in un’intervista a Rivistaundici —. Non capimmo subito la portata del cambiamento e abituarsi non fu semplice. Oggi i ragazzi imparano a usare bene i piedi da piccoli». Senza arrivare agli integralismi di Guardiola che dai suoi numeri uno pretende giocate da regista, si pensi al tedesco Neuer: al Mondiale 2014 si è piazzato 24° nella classifica «best passers», cioè per numero di passaggi azzeccati.
Ha detto Peter Schmeichel, quello dell’ultimo retropassaggio: «Forse alcuni portieri della mia epoca oggi faticherebbero». Alcuni sì, lui no. Con o senza retropassaggio ha continuato a giocare e vincere fino al 2003 e nel 2001 è stato il primo a segnare un gol in Premier. Quando si dice un campione oltre le regole.