La Stampa, 26 giugno 2017
Salvataggio Banche venete: mossa inevitabile che mette a rischio i patti europei
Litigare per mesi con l’Europa per uno sconto di bilancio di due punti di Pil e poi impegnarne quasi il doppio per salvare due banche fallite per colpa di manager e politica locali quantomeno discutibili? Fatto.
È successo ieri, quando il governo, per tutelare i clienti di due disastrati istituti veneti, ha trovato d’intesa con Bruxelles e Francoforte una via per dribblare le regole europee che Roma stessa aveva contribuito a scrivere con un obiettivo preciso: assicurare che il conto del fallimento di una banca andasse ai soggetti coinvolti nel caso – azionisti, investitori, correntisti ricchi – e non a ogni singolo contribuente della penisola. Ha dribblato le regole e, di fatto, ha creato le premesse perché nulla sia più come prima.
Il crac della Vicenza e di Veneto Banca trova le sue origini in comportamenti anche pirateschi di azionisti e management, si gonfia grazie a funzionari che hanno spacciato per sicuri prodotti finanziari che non lo erano, fa lunghi passi con l’eccessiva gestione politica delle regole – nel ricco Nord Est come nei palazzi romani -, e rimbalza sulle le scelte di alcuni pezzi di sorveglianza che hanno sollevato diverse domande. È una vicenda che lascerà tracce amare, un caso che si poteva pilotare diversamente, se l’atmosfera non fosse stata inquinata da altre logiche. Politiche, anzitutto. Così come Montepaschi è stato nazionalizzato perché il conto fosse di tutti e non di sessantamila, oggi le venete sono vendute per un euro, con svariati miliardi pubblici messi sulla carta a garanzia dei travagli, per gestire un consenso senza la certezza di riuscirci.
Il governo non ha avuto scelta: il fallimento completo e la perdita della licenza bancaria avrebbero avuto conseguenze più drammatiche e immediate, per questo – assicura – spende subito 5 miliardi che conta in parte di recuperare. Intesa Sanpaolo spiega il suo intervento con l’esigenza di evitare il rischio sistemico, cioè che il tracollo veneto danneggiasse il resto del Paese. La Commissione Ue, nella persona della garante Antitrust Margrethe Vestager, concede che l’aiuto di Stato è stato reso necessario per evitare conseguenze sull’economia veneta (e non aggiunge altro). Quest’ultima è una lezione per chi ama contestare l’inflessibilità presunta dei cattivi eurocrati di Bruxelles, eppure la festa finisce qui. Il caso italiano, diversamente da quello spagnolo del Santander/Popular, è stato pensato nelle stanze dei bottoni. Per il governo è forse una mezza garanzia di pace con gli elettori, che lascia però la porta aperta per nuovi duelli europei. Anzi spalancata.
La direttiva Brrd, la norma che ha sostituito il bail-out (paga lo Stato coi soldi dei contribuenti) con il bail-in (pagano gli interessati), è pietra angolare dell’Unione bancaria messa in cantiere dall’Ue dopo il terremoto finanziario post 2008. La strategia ha spostato la vigilanza degli istituti sistemici dalle capitali alla Bce, era necessario per evitare che in orti diversi avvenissero cose diverse. La sorveglianza è unica, come il meccanismo di risoluzione delle crisi. Il cantiere è tuttavia rimasto incompleto, manca il sistema di garanzia comune dei depositi sino a 100 mila euro, terzo pilastro osteggiato con forza dai tedeschi (per non parlare degli olandesi).
Mancherà ancora. Berlino e molte capitali nordiche non si fidano. Hanno ricapitalizzato di tasca propria le banche prima della Brrd, atto lungimirante o furbo, dipende dalle fonti. L’Italia non lo ha fatto, e ancora se ne dibatte, c’era l’alibi dello spread super e la voglia di evitare un commissariamento fiscale. Ora i tedeschi troveranno nella nuova pioggia di aiuti nostrani una scusa per non andare avanti, per non finire di cucire l’ombrello di cui i cittadini necessitano per proteggersi da choc più difficili, eppure non impossibili. L’Unione bancaria resterà insabbiata, Roma potrebbe perdere uno strato di credibilità nonostante giuri di non danneggiare i conti della Repubblica, e non è detto che il governo si rafforzi in casa. Così verrà il tempo in cui, chi saprà guardare le cose col distacco necessario, si chiederà se è valsa la pena di far prevalere la esigenze politiche sulle regole che tengono insieme il mercato e ne garantiscono la stabilità. Potrebbe accadere presto. Anche prima del previsto e prevedibile.
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