Il Sole 24 Ore, 26 giugno 2017
I big europei e la corsa alla spending review: Parigi vuole tagliare 60 miliardi, a Madrid sforbiciata di 5 punti sul Pil
C’è un mantra che ricorre nelle leggi di bilancio dei Paesi dell’Eurozona negli ultimi anni, con un occhio attento al giudizio di Bruxelles. La promessa di una spending review è diventata la strada obbligata per dare ossigeno ai conti pubblici deteriorati in seguito alla crisi e liberare energie per la crescita.
Se i risultati ottenuti dall’Italia sono scritti nero su bianco nella relazione annuale del Commissario Yoram Gutgeld e parlano di risparmi per 30 miliardi nel 2017 (si veda Il Sole 24 Ore del 21 giugno), quale via hanno scelto di percorrere gli altri big dell’Eurozona?
Un primo indizio è offerto dai dati Eurostat: negli ultimi cinque anni il rapporto tra la spesa pubblica e il Pil è diminuito del 2% in media nell’area della moneta unica. Segno che qualche passo avanti c’è stato. Non necessariamente però, fa notare Benedicta Marzinotto, docente di Politica economica all’Università di Udine, «una spending review produce un calo della spesa corrente sul Pil: in alcuni casi le revisioni hanno come obiettivo esplicito un risparmio netto, in altri mirano solo a una ricomposizione della spesa, sottraendo risorse a sprechi per concentrarle su obiettivi di policy specifici». Così Francia, Spagna e Germania hanno deciso di imboccare strade diverse, a seconda delle loro priorità e con esiti differenti.
La Francia ha preceduto l’Italia e già dal 2006 è impegnata nella riqualificazione della spesa, almeno sulla carta. Lo scorso anno, inoltre, il Paese ha sottratto alla Finlandia il primato della spesa pubblica rispetto al Pil. «L’esperienza francese – spiega Davide Galli, docente di Economia aziendale all’Università Cattolica ed esperto di spending review – è un caso interessante, perché già nei primi anni Duemila la revisione della spesa è stata incorporata nella riforma della legge di Bilancio, con un focus sulla performance». Prova ne è il netto miglioramento dell’indice elaborato ogni sei anni dall’Ocse. L’ultimo, che risale al 2011, vede la Francia al terzo posto nella zona euro per performance budgeting , dopo Finlandia e Olanda.
Il tema continua a tenere banco anche oggi. Il neopresidente Emmanuel Macron vuole mantenere la promessa fatta dal predecessore Hollande di archiviare la procedura per deficit eccessivo aperta nel 2009 per tornare nel club dei virtuosi sotto il 3% del Pil. Per farlo punta su una sforbiciata della spesa pubblica di 60 miliardi nei prossimi cinque anni con una definizione delle priorità per ogni ministero e il blocco del turnover per 120mila funzionari. «La sua sopravvivenza politica – afferma Marzinotto – dipende dal successo che operazioni come la spending review possono avere. Il recupero degli sprechi e il taglio della spesa improduttiva sono funzionali all’attuazione del suo programma».
Prima di lui ci ha provato Hollande, annunciando un piano di riduzione della spesa di 50 miliardi dal 2014 al 2017. Ma nell’anno elettorale ha ridimensionato la portata degli interventi che dovrebbero raggiungere alla fine del 2017 risparmi per 40,5 miliardi. La Corte dei conti transalpina sembra nutrire qualche dubbio e ha avvertito che la massa salariale dell’amministrazione pubblica crescerà nel 2017 di oltre il 3%, il livello più alto degli ultimi dieci anni. Mentre la Commissione Ue, nella sua pagella annuale diffusa a metà maggio, ha sottolineato che i risparmi potrebbero aumentare significativamente allargando la spesa oggetto di revisione.
Fra i tre big considerati la Spagna è quella che ha compiuto la sforbiciata più significativa: oltre 5 punti di Pil negli ultimi cinque anni nell’ambito di manovre all’insegna dell’austerity per risanare i conti pubblici. Tra le misure varate, tagli alle spese dei ministeri, congelamento o riduzione dei salari dei funzionari pubblici, stipendi bloccati e riduzioni della tredicesima, stretta alle spese degli enti locali e taglio dei sussidi. Tutte misure che si sono susseguite dal 2011 a oggi e hanno portato alla soppressione di circa 800 enti inutili. Gli sforzi, però, non bastano e Bruxelles nelle ultime Raccomandazioni ha invitato il governo di Madrid ad andare oltre per mettere in atto una spending review generalizzata e individuare aree di efficienza. «Qui – fa notare Galli – hanno pesato l’incertezza politica e l’assenza di un governo stabile, che negli ultimi anni hanno impedito di realizzare un piano di revisione complessivo in grado di andare al di là dei semplici tagli». Nel programma di stabilità 2017-2020 inviato alla Ue Madrid annuncia azioni più incisive e ha incaricato l’Airef, l’Autorità indipendente di responsabilità fiscale, di una revisione della spesa pubblica. A fine agosto l’Autorità preparerà un piano d’azione e a fine 2018 verranno tirate le prime somme.
Chi più ha interpretato lo spirito della spending review come strumento di riflessione sulla spesa è stata ancora una volta la Germania. Più tranquilla sui conti pubblici – il Paese ha un bilancio in surplus -, Berlino ha avviato una spending review a partire dal 2015. A curare la regia è il ministero delle Finanze di concerto con gli altri ministeri interessati. Il primo ciclo ha riguardato la politica dei trasporti e l’apprendistato, il secondo si è concentrato su energia e clima. Tra il 2017 e il 2018 otto ministeri passeranno ai raggi X la spesa per approvvigionamento di beni, aiuti umanitari e prevenzione dei rischi. Tutto, come spiega un documento del Finanzministerium, viene condotto alla luce di una doppia lente: in relazione alle scelte politiche e all’impatto sui conti pubblici per analizzare le aree di intervento nella loro interezza senza i confini stretti delle singole voci di spesa. L’esperienza tedesca insegna che la spending review non fa sempre rima con i tagli. Nel programnma di Stabilità recapitato a Bruxelles la Germania promette piuttosto un incremento della spesa pubblica del 3,3% annuo per arrivare al 45% rispetto al Pil nel 2018 e 2019.
Il dibattito ha superato i confini nazionali e anima le riunioni dell’Eurogruppo, che lo scorso settembre ha adottato linee guida comuni. Per mettere l’accento non solo sulle sforbiciate, ma anche sulla qualità della spesa e i suoi effetti sulla vita dei cittadini, con azioni all’insegna della trasparenza e del monitoraggio continuo dei risultati raggiunti.