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 2017  giugno 25 Domenica calendario

APPUNTI PER GAZZETTA - I BALLOTTAGGI DELLE AMMINISTRATIVE 2017REPUBBLICA.ITAFFLUENZA E CONSIDERAZIONI GENERALIROMA -  I timori della vigilia sembrano essere confermati (anche se il conto si farà alle 23): alle 19 si è registrato un crollo dell’affluenza del 10 per cento rispetto al primo turno

APPUNTI PER GAZZETTA - I BALLOTTAGGI DELLE AMMINISTRATIVE 2017

REPUBBLICA.IT
AFFLUENZA E CONSIDERAZIONI GENERALI
ROMA -  I timori della vigilia sembrano essere confermati (anche se il conto si farà alle 23): alle 19 si è registrato un crollo dell’affluenza del 10 per cento rispetto al primo turno. Il 31,21% degli elettori si è recato alle urne, secondo il dato diffuso dal Viminale, che riguarda 98 Comuni su 103. La percentuale non tiene conto dei comuni del Friuli Venezia Giulia e della Sicilia. Le urne sono state aperte alle 7 e si potrà votare fino alle 23 per i ballottaggi nei 22 Comuni capoluogo e gli altri 99 centri con oltre quindicimila chiamati a scegliere il sindaco dopo i risultati del primo turno dell’11 giugno.

CENTROSINISTRA
Il voto coinvolge più di quattro milioni di italiani ed è guardato con interesse dai leader politici nazionali. Soprattutto dal centrosinistra, che dopo aver conquistato al primo turno Palermo e Cuneo è ora in corsa in altri 20 capoluoghi: Genova, Taranto, Monza, Piacenza, La Spezia, Alessandria, Pistoia, Lucca, Como, L’Aquila, Carrara, Rieti, Lodi, Oristano, Padova, Lecce, Catanzaro, Trapani, Gorizia (dove le urne chiudono alle 22 e lo spoglio sarà lunedì mattina) e Parma. In dodici di essi, però, la coalizione parte in svantaggio, i duelli sono ad alto rischio, e il segretario del Pd Matteo Renzi ha scelto di non prendere parte alla campagna elettorale. Peserà molto il voto degli esclusi e la regola che si è data ad esempio Si è "mai con le destre, nonostante il Pd". Ma c’è il rischio che non basti a salvare alcune roccaforti rosse.

TRAPANI
Trapani,PUBBLICITÀ invece, è un caso a parte: dopo il ritiro del centrista Fazio, Savona (centrosinistra) è l’unico candidato ma deve ottenere un’affluenza del 50% al ballottaggio e almeno il 25% dei consensi. In caso contrario il comune sarà commissariato.

GENOVA
VERONA
PARMA
PADOVA
L’AQUILA
CATANZARO

PEZZO DI POLITO SUL CORRIERE CON LE TRE DOMANDE
I ballottaggi non cambieranno il corso della politica italiana, anche perché la politica italiana oggi non ha un corso. Il 2017 è l’equivalente delladrôle de guerre: un anno di snervante attesa del conflitto vero e proprio, da tempo dichiarato ma rinviato all’anno dopo. Crisi di governo sono da escludere perché nessuno le vuole, nemmeno i parlamentari di opposizione, temendo che portino ad elezioni prima del tempo. Il governo si trova nella invidiabile situazione di non rischiare niente neanche se il partito di maggioranza perde le Amministrative. Anzi, più Renzi si indebolisce e più Gentiloni è sicuro di durare. Voterà poca gente, però i risultati di stasera possono dare qualche indizio su che corso seguirà il fiume quando riprenderà a scorrere. Azzardiamo un pronostico. GUARDA IL GRAFICO I ballottaggi nelle città

Sono tornate le coalizioni? Sì. Il primo turno ha dato un responso molto chiaro: chi si è alleato, è andato al ballottaggio. Chi è andato da solo, come i Cinque Stelle, li ha falliti tutti tranne Carrara. Il ritorno all’antico ha avuto l’effetto di uno choc sul centrodestra, da tempo impegnato a far di tutto per dividersi, nella convinzione che non restasse altro che rubarsi voti a vicenda. Come alle Amministrative di un anno fa, invece, Forza Italia e Lega hanno visto i loro elettori miracolosamente sommarsi, e ora sembrano riscoprire le virtù del passato. Berlusconi è tornato mattatore in tv col cagnolino, e Salvini si è messo a fare l’agnellino. Se stasera vincono insieme sotto la Lanterna, e magari anche a La Spezia, nel laboratorio politico della Liguria di Toti, fanno un risultato storico e si condannano a trovare un modo per stare insieme anche alle Politiche. Il popolo di centrodestra sembra più forte dei suoi leader. Anche nel centrosinistra il primo turno ha fatto cantare le sirene dell’unità, risvegliando nostalgie di Ulivo e rimettendo in cammino l’altro dioscuro del bipolarismo che fu: Romano Prodi. È stato lui, a sorpresa, il vero protagonista di questa campagna elettorale, col suo tentativo di ricostruire, sulle macerie presunte del renzismo, una grande chiesa che va da Che Guevara a Madre Teresa (nella fattispecie da Giuliano Pisapia a Carlo Calenda). Per ora senza successo.

Renzi può uscire sconfitto? Sì. Ma assorbirà il colpo. Mentre Prodi batteva l’Italia, e perfino Veltroni andava a fare un comizio a Sesto San Giovanni per non perdere la battaglia di Stalingrado di ciò che resta della sinistra, il segretario del Pd è stato in vacanza. Disimpegno quasi ostentato. Un po’ è il tentativo, come si dice oggi, di non metterci la faccia, presentendo un brutto risultato. Ma è anche la certezza che, dovesse stasera perdere perfino a Pistoia o a Lucca, il Pd(r) resta suo: nessuno può insidiarne la leadership appena ripresa con le primarie. Il segretario del Pd si trova oggi nella per lui singolare condizione di essere più popolare nei circoli del suo partito che tra gli elettori. Dal referendum perso in poi, è come se il Pd avesse divorziato dall’opinione pubblica in attesa della vera rivincita elettorale, quando il leader spera di poter convogliare su di sé tutti i voti contro Grillo. La improvvisa competizione del Cavaliere sullo stesso terreno anti-grillino e il ritorno della tela di Prodi, creano però più di una complicazione al piano.

È l’inizio della fine del M5s? No. Per niente. Guai a confondere le elezioni. Queste sono amministrative, si sceglie tra candidati sindaci, e il Movimento l’ha dimenticato, anteponendo le vendette interne alla credibilità esterna. Così ha perso Genova, che poteva essere sua, si è condannato all’irrilevanza a Palermo, capitale della Sicilia che vorrebbe conquistare a novembre, e ha fatto harakiri a Parma, dove si è lasciato stracciare dal suo ex sindaco, Pizzarotti, cacciato solo perché è un essere pensante. Ma se guardate ai sondaggi, capirete che le elezioni politiche sono un’altra cosa. Il M5S è un animale strano, un predatore che approfitta delle debolezze altrui e prospera in un ambiente adatto alla caccia. Solo una robusta ripresa economica, un forte calo della disoccupazione giovanile, una stretta su corruzione e malaffare, potrebbero segnarne un rapido declino. Tutte condizioni auspicabili ma, ne converrete, difficili da realizzarsi entro l’anno nuovo

MARIA TERESA MELI E IL PD
Non si respira certo grande ottimismo nel quartier generale del Pd, alla vigilia delle Amministrative. Secondo una ricerca dell’istituto Cattaneo due terzi dei ballottaggi sono all’insegna dell’incertezza. E al Partito democratico stanno sui carboni ardenti. È vero che nel comune più importante per dimensioni abitative, cioè Palermo, il centrosinistra ha già vinto al primo turno, ma i dirigenti del Nazareno sanno che non è quella la città su cui si misurerà la tenuta del Pd e di tutta la coalizione di centrosinistra. Lì ha vinto Leoluca Orlando, non i partiti che lo sostenevano.

La roccaforte rossa ora rischia

È Genova, la roccaforte rossa che ora rischia di essere consegnata al centrodestra, il capoluogo su cui sono puntati i riflettori. Queste elezioni per il Pd e il centrosinistra in genere, perché non bisogna dimenticare che in molti comuni democrat e scissionisti si presentano insieme, si vincono o si perdono a Genova. Una sconfitta nel capoluogo ligure potrebbe essere attutita, ma non certamente cancellata, da una vittoria in almeno due di queste tre città chiamate oggi al voto: L’Aquila, Parma e Padova. È sopratutto sulla prima e sulla terza che il Pd punta. Mentre una «tripletta» farebbe dire ai dem che le elezioni sono finite in pareggio. Comunque, un dato che preoccupa lo stato maggiore del Pd è quello della grande incertezza dei ballottaggi in regioni tradizionalmente rosse: Emilia-Romagna, Toscana, Umbria, Marche. Anche questo, come l’eventuale sconfitta a Genova, viene visto come un campanello d’allarme, un avviso di cui dover tener conto. Un risultato elettorale oltremodo deludente dimostrerebbe anche che l’alleanza tra il Pd e la variegata sinistra esterna a quel partito (e proprio Genova è un esempio indicativo in questo senso) non è la formula vincente come invece ritengono alcuni critici di Renzi. Il che imporrà sia al segretario del Pd che ai suoi avversari a sinistra una riflessione su come attrezzarsi per le prossime, ben più importanti, elezioni, nel 2018.

CENTRODESTRA SUL CDS

PAOLA DI CARO

La madre di tutte le battaglie è Genova, e nel centrodestra sono quasi convinti di averla già vinta. Il candidato Bucci si è sbilanciato («Finirà 57 a 43») e Silvio Berlusconi ha annunciato che arriverà presto a «festeggiare», perché se una delle ultime roccaforti della sinistra cambierà colore, il senso politico del voto sarà chiaro. «Tira un buon vento per noi», dicono infatti dal centrodestra, puntando a conquistare almeno 10 dei 23 Comuni capoluoghi al ballottaggio. E Berlusconi l’ha fiutato, se è vero che negli ultimi giorni si è tuffato nella campagna elettorale (tutta in tv) dopo settimane in cui era parso piuttosto disinteressato. Insomma, se bene sono andati finora i candidati — dicono nel centrodestra — è grazie a se stessi, alla formula della coalizione unita dalla Lega ai centristi, Salvini, Meloni, e per FI ai vari Toti in Liguria, Gelmini in Lombardia, Mugnai in Toscana, degli uomini di Tajani, di Gasparri, dei tanti sul territorio con Fiori a coordinare. Sforzo che potrebbe valere la conquista, oltre a Genova, di La Spezia, magari Lucca, Piacenza e Monza, Como, Lodi, a Sud Catanzaro e Lecce.

Le altre sfide

Più delicate le sfide venete: a Padova Bitonci deve mostrare i muscoli della Lega, a Verona sarà dura contro la tosiana Bisinella. Ma comunque vada, se soprattutto a Nord il fronte reggerà, a cantare vittoria saranno in primo luogo i «tre tenori» Toti-Salvini-Meloni, poi tutti quelli che — meno esposti — pure pensano che solo con un centrodestra unito e col maggioritario si vince. Berlusconi, che ha capito l’aria, lo proclama in tv, ma insiste a voler trattare con il Pd sul proporzionale. E spara sul M5S, che non è ai ballottaggi e i cui elettori vengono corteggiati dai candidati: «Ma così ci facciamo autogol!», protesta con i suoi Salvini, irritato pure per essere stato «candidato» al Viminale in un ipotetico governo. Insomma, se sarà vittoria sarà pure battaglia: tra un Berlusconi tornato centrale, ma circondato da alleati e azzurri che vogliono contare molto di più.

GENOVA DI MARCO IMARISIO (VENERDI SCORSO)

Marco Bucci vende un sogno, anzi una vision . Il manager tornato a Genova dopo vent’anni d’America su chiamata diretta di Edoardo Rixi, l’uomo forte della Lega Nord, segue l’utopia della Genova wonderful , numero uno del Mediterraneo, grazie alle aziende estere che correranno a frotte senza pagare tasse, e le infrastrutture che verranno costruite «in 3 anni, massimo 4» grazie agli investimenti privati. Genova ha smesso da tempo di sognare. L’ultima roccaforte rossa arriva al ballottaggio per inerzia. Dopo l’astensione record del primo turno, la chiamata alle urne contro il «candidato leghista» non pare aver prodotto mobilitazioni di massa. La disillusione è stata alimentata con cura dal Pd più litigioso d’Italia, che negli ultimi anni ne ha combinate più di Bertoldo in Francia, sfiduciando la propria sindaca, perdendo le primarie a cui l’aveva costretta, dimostrandosi poi incapace di sostenere Marco Doria ma riuscendo invece a dare un contributo notevole alla sconfitta del centrosinistra alle regionali. Ma il Pd sta facendo le cose in grande anche a La Spezia, altra città da sempre rossa, dove c’erano almeno 5 candidati nell’area di sinistra. Giovanni Toti, il presidente della Regione, teorico dell’alleanza tra FI e Lega, sta dando lezioni di politica a una intera classe dirigente di centrosinistra. Negli ultimi 15 giorni in Liguria non si è fatto vedere nessuno, da Matteo Renzi in giù. L’importante è che le eventuali sconfitte siano di padre ignoto. Contenti loro.

VERONA

La competizione è interessante. La situazione inedita. A Verona niente è come ci si attende. Domenica si vedrà se e quanto il popolo del Pd sia cambiato, e magari pronto a votare gli ex nemici. Mentre il vescovo Giuseppe Zenti, a dispetto degli strali leghisti in tema di immigrazione, spiega che la Lega in Veneto è diversa. Al ballottaggio andranno Federico Sboarina, candidato unitario del centrodestra in vantaggio al primo turno, e Patrizia Bisinella, senatrice che nel 2015 ha lasciato la Lega insieme al suo compagno, il sindaco uscente Flavio Tosi. Per lungo tempo un babau della sinistra, considerato e dipinto come uno dei sindaci sceriffi in odore di razzismo.

Ma i tempi sono molto cambiati. È così, all’indomani della sconfitta della candidata dem, Orietta Salemi, il responsabile enti locali del Pd Matteo Ricci ha fatto pubblica apertura nei confronti di Bisinella. Non un apparentamento formale. Ma di certo un’indicazione trasparente per chi, nel Partito democratico, la volesse ascoltare.

A movimentare la scena, inoltre, ieri è arrivata l’intervista di monsignor Giuseppe Zenti. Che, dopo aver già proposto nei giorni scorsi l’istituzione di un assessorato alla Famiglia, a Vvox ha detto di distinguere «sempre molto nettamente tra Salvini e la nostra Lega. La Lega del Veneto, nella sua maggioranza, nel suo insieme, non è Salvini. È molto più moderata. In questo senso Zaia rappresenta la Lega del Veneto».

TRAPANI

FELICE CAVALLARO

R imasto unico partito in corsa, il Pd a Trapani per il «ballottaggio» più pazzo del mondo non va solo a caccia di voti, ma anche di votanti. Perché le disavventure giudiziarie hanno azzoppato gli altri concorrenti e a gareggiare per questo strambo spareggio con un solo corridore in pista è Piero Savona, sostenuto anche dalle liste civiche «Cittadini per Trapani» e «Trapani svegliati». Nella scheda c’è ormai soltanto il suo nome, dopo il ritiro del più votato al primo turno, Girolamo Fazio, sotto inchiesta per lo scandalo dei traghetti. Ma per spuntarla Savona dovrà riuscire a saltare due muri, altissimi. Il primo è il quorum del 50 per cento dei votanti. Se alle urne se ne presentano meno, la competizione si annulla. E accade lo stesso se il candidato, anche un candidato solitario, non riesce a oltrepassare la soglia del 25 per cento dei suffragi. Ecco perché a molti sembra un ballottaggio fra Savona e l’ombra di un commissario che la Regione invierebbe in caso di flop per fare le veci di sindaco e giunta in vista della prima data utile per nuove elezioni. Il consiglio comunale risulta invece regolarmente eletto con il voto dell’11 giugno quando a contendersi la poltrona di primo cittadino c’erano pure l’ex sottosegretario D’Alì e lo stesso Fazio, poi deciso al passo indietro. Una mossa che farebbe saltare tutto in assenza di quel 50 per cento che tanti sperano si raggiunga. Compreso il vescovo Pietro Maria Fragnelli che, pur con il dovuto distacco, lancia un invito a tutti, anche agli elettori, «ad assumersi le proprie responsabilità». Intanto dal suo blog Beppe Grillo lancia un appello ai trapanesi a non andare a votare, contraddicendo il Movimento Cinque Stelle che fino a pochi giorni fa aveva lasciato libertà ai propri elettori.

SESTO SAN GIOVANNI

P erché Sesto è: la Stalingrado d’Italia, la roccaforte inespugnabile, la città operaia. Nell’immaginario collettivo della sinistra, Sesto San Giovanni resta cristallizzata a queste immagini. Anche se la Stalingrado d’Italia ormai è diventata ex, di roccaforti non ne esistono più (Bologna, Guazzaloca docet) e le fabbriche sono sparite. Simbolicamente però Sesto è Sesto. E l’ombra di una sconfitta del centrosinistra diventa un incubo sempre più opprimente per il sindaco uscente del Pd Monica Chittò che al primo turno ha preso il 30,9 % dei voti contro il 26% del candidato del centrodestra, Roberto Di Stefano. Una differenza di soli 1.484 voti. Ma la decisione del terzo arrivato, il candidato civico Gianpaolo Caponi, di apparentarsi con Di Stefano portando in dote potenziale il suo 24% per cento, ha fatto suonare l’ennesimo campanello d’allarme. Il Pd è corso ai ripari. Mobilitazione generale, volantini, porta a porta, big che si sono presentati a Sesto (da Pisapia a Veltroni), apertura ai 5 Stelle. Dall’altra parte sono arrivati Salvini e Meloni. La campagna è diventata velenosa. Finti volantini con Chittò pro Islam, vecchie fotografie che ritraggono Salvini in moschea. E ieri si è arrivati alle carte bollate con Di Stefano che ha denunciato Chittò che gli ricordava una causa pendente con la Corte dei conti. Ma anche se Sesto è Sesto, ci sono altre città ad alto rischio per il centrosinistra. Ballottaggi in bilico a Como, a Lodi e anche a Monza anche se nella città brianzola sono abituati all’alternanza.

TOSCANA

Per elaborare lo choc dell’emorragia di voti al primo turno, Samuele Bertinelli, laurea in Filosofia, sindaco pd che ha contribuito a far diventare Pistoia capitale della cultura, si è dovuto prendere qualche giorno di riflessione e consultare gli ultimi positivi sondaggi. Già, perché essere eletto al primo mandato con il 59% dei voti e poi precipitare al 37,52% avrebbe depresso anche il politico più cinico e disincantato, caratteristiche che Bertinelli proprio non ha. Così, nonostante il candidato del centrodestra al ballottaggio Alessandro Tomasi (26,68% al primo turno) sia certo di vincere, in casa dem è arrivato un po’ di ottimismo pur nella consapevolezza che il risultato si preannunci molto incerto. La sfida meno prevedibile dei ballottaggi toscani si gioca a Carrara dove ci potrebbe essere un effetto Livorno. Il primo turno è stato vinto (con il 27,27%) dal candidato pentastellato Francesco De Pasquale, insegnante d’italiano alle medie, grillino sino all’osso. Il Pd si è spaccato in due e il candidato ufficiale, Andrea Zanetti (arrivato secondo col 25,28) adesso è ad alto rischio sconfitta perché gli elettori del ribelle dem, Andrea Vannucci (15,16) e dell’alfiere del centrodestra Maurizio Lorenzoni (12,17%), potrebbero votare De Pasquale. In bilico anche il ballottaggio di Lucca. L’attuale sindaco Alessandro Tambellini (37,48%), sfida il giornalista Remo Santini (34,96%).

DA REPUBBLICA DI OGGI

COME VOTANO I NAZISTI NOSTRANI

NAZIONALE - 25 giugno 2017CERCA6/7 di 6825/6/2017le elezioni amministrative Da Verona a Monza, gli ultrà del saluto fascista con forzisti e Lega PAOLO BERIZZI IL CASO. “FORTEZZA EUROPA” APPOGGIA SBOARINA, IN BRIANZA SCHIERATI I CAMERATI DELLA PARATA AL CIMITERO MAGGIORE. MA A PARMA CP INDICA IL PD SCARPA MILANO. Saluti romani sui ballottaggi. Con pacchetti di voti sicuri o indicazioni a favore dei candidati di centrodestra. Allo spareggio di oggi, in varie città, le sigle dell’estrema destra - in alcuni casi di stampo nazionalsocialista e antisemita - giocano un ruolo da co-protagoniste. Per poi andare all’incasso. Da Genova a Verona, da Monza a Todi, i “camerati” potrebbero essere determinanti. Uno dei casi più interessanti riguarda Verona. Si chiama “Fortezza Europa”: è una neonata formazione neonazista. Il nome deriva dal termine impiegato dalla propaganda del Terzo Reich durante la seconda guerra mondiale per indicare l’Europa continentale. “Fortezza Europa” nasce da una scissione della sezione veronese di Forza Nuova: uno strappo derivato da contrasti proprio per il sostegno dei candidati sindaco. Perchè a differenza dei forzanovisti, “Fortezza” appoggia il candidato del centrodestra, Federico Sboarina, contrapposto alla senatrice Patrizia Bisinella fidanzata del sindaco uscente Flavio Tosi (a sua volta da sempre appoggiato dall’estrema destra). Ma chi sono quelli di “Fortezza Europa” (sui quali il deputato dem Emanuele Fiano presenterà un’interrogazione)? Il capo è Yari Chiavenato, già segretario provinciale di FN, naziskin e ultrà del Verona arrestato nel ‘96 per avere appeso in curva un manichino con la faccia dipinta di nero, impiccato e simboleggiante il giocatore olandese di colore Michel Ferrier che la società scaligera voleva acquistare. Maglie nere con croce celtica, i “fortezzini” si ritrovano in zona San Zeno dove sorge un negozio di abbigliamento, “London Calling”. Alternativa sia a FN che a CasaPound, “Fortezza Europa” ambirebbe a diventare una comunità nazionalsocialista locale (sul modello dei Do.Ra. di Varese). Da Verona a Genova: qui il candidato pd Gianni Crivello ha denunciato di avere assistito a cori e saluti fascisti durante un confronto con l’avversario Marco Bucci da parte di sostenitori dei quest’ultimo (che ha smentito). Più articolata la situazione Monza: Dario Allevi, candidato di FI, Lega e Fdi, ha il sostegno dei neonazisti di Lealtà Azione (parata al cimitero Maggiore del 29 aprile). Dovesse vincere, a qualcuno di loro - lo segnala l’Anpi potrebbe arrivare una delega assessorile. Poi c’è Todi. Dopo il clamoroso 4,8% al primo turno, qui CasaPound si è apparentata con la Lega per sostenere Antonino Ruggiano. Cresciuti ovunque, i “fascisti del terzo millennio” a queste amministrative hanno scelto di andare da soli. Ma ai ballottaggi non fanno mancare il loro appoggio ai candidati di centrodestra in diverse realtà. Eccezione curiosa: Parma. Qui i capi locali di CasaPound hanno invitato a votare (in chiave anti-Pizzarotti) il pd Paolo Scarpa. ©RIPRODUZIONE RISERVATA CORTEO DI CASAPOUND ANTI IUS SOLI: IN PRIMA FILA NINA MORIC Un migliaio con CasaPound a Roma contro la cittadinanza ai figli di migranti. Sugli stendardi lo slogan “Prima gli italiani”

COME SI MUOVONO I CINQUESTELLE
ANNALISA CUZZOCREA SU REPUBBLICA DI SABATO
CUZZOCREA ROMA. Le piazze piene di Canosa e Mottola hanno talmente confortato Luigi Di Maio e Alessandro Di Battista che la comunicazione del Movimento 5 stelle ha postato le foto ovunque. Per dire ce la possiamo fare, per scongiurare l’incubo “zero titoli” che è lo spettro di questi ballottaggi. Non come l’anno scorso, quando – per dirla con il deputato torinese Ivan Della Valle – «avevamo il vento in poppa e li abbiamo presi tutti, 19 su 20. Praticamente un en plein». I ragazzi di Beppe Grillo per due settimane sono saliti in pullmino, senza allenatore, e hanno girato l’Italia per toccare tutti e dieci i comuni, grandi e piccoli, in cui sono riusciti a strappare il secondo turno. Il fondatore è rimasto a guardare. Brucia la sconfitta di Genova. Bruciano ancora di più i guai di Virginia Raggi a Roma. Ieri Luigi Di Maio ha chiuso ad Asti, unico capoluogo nel quale i 5S sono in corsa e dove il Movimento è passato per una manciata di voti, ricontati. Ma il 16 per cento di partenza sembra potere poco rispetto al 48 del candidato di centrodestra. Eppure il vicepresidente della Camera ci è andato, per la seconda volta in dieci giorni. Ad Acqui Terme, altro comune piemontese al voto – benché molto più piccolo – il primo turno è andato meglio, ma il secondo si annuncia complicato, perché anche lì la lista di centrodestra è in netto vantaggio. E viste le ultime posizioni assunte dal Movimento su immigrazione e Ius soli, è a sinistra che si temono le perdite più sanguinose (è uno dei motivi che, oltre alle convinzioni personali, spinge il capogruppo alla Camera Roberto Fico a cercare di riequilibrare, attaccando Matteo Salvini, dicendo “mai con la Lega” e spiegando di essere favorevole alla cittadinanza per i bambini stranieri). Ieri era in Puglia, Fico, a Canosa, Mottola e Santeramo (toccate il giorno prima dal duo Di Battista- Di Maio). «In Puglia andiamo molto bene - raccontava alla Camera qualche giorno fa proprio Di Battista – e ho molte speranze su Fabriano, nelle Marche, che è un comune interessante, un centro industriale». Ammette che aveva sperato in molti più ballottaggi, colui che Beppe Grillo definisce il guerriero, ma spiega che va bene così: «Non diremo mai sì agli apparentamenti con altre liste civiche. Se poi qualcuno delinque, chi è responsabile? La nostra è una filosofia: vogliamo portare i cittadini a votare un programma anche per le città. Non le persone. Non gli amici». Molte speranze sono riposte nei comuni intorno a Roma, Ardea e Guidonia. «Perché se vincessimo qui – spiega la deputata Roberta Lombardi, fresca di comizio alle porte della capitale – avremmo più comuni nel Lazio che in Sicilia. Il che ci farebbe ben sperare anche per le regionali ». L’altro motivo è testare, ancora, l’effetto Raggi. Capire quanto i problemi di Roma possano condizionare il voto locale. A Guidonia, peraltro, terzo comune del Lazio, buona parte dei cittadini sono pendolari che lavorano nella capitale. Il test ha valore anche per questo. Ma la grande speranza è Carrara. «Lì abbiamo un gruppo storico che ha lavorato bene, un meet up che ha festeggiato dieci anni di vita», spiegano entusiasti tutti quelli che ci sono passati a fare campagna elettorale. «Nella mia città M5S è la prima forza e io sono il candidato sindaco più votato », scrive sul blog Francesco De Pasquale. Mostra un video del Monte Sagro, si rivolge «a tutti i cittadini delusi dal Pd e a chi al primo turno non ha votato convinto che non fosse possibile cambiare le cose». Il post si intitola «Il 25 giugno sarà una liberazione». L’obiettivo è strappare Carrara al centrosinistra, e ripartire da lì.