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 2017  giugno 25 Domenica calendario

Intervista a Giuliana De Sio: «Botte, baci, lutti, successi e lacrime. Però mi sono goduta tutto troppo poco»

Tende anche davanti l’ingresso, quadri, scatti in posa, foto sul caminetto, la porta socchiusa di una stanza (“di la c’è un’amica che per ora vive qui. Io non posso stare da sola”); il Telegatto, i due David di Donatello, il Nastro vinto a Venezia, e ancora premi, ricordi, libri sistemati sulle mensole. Un caos ordinato (“e pulito. Ci tengo alla pulizia”). È il perfetto ossimoro di Giuliana De Sio, la sua casa rispetta la sua essenza. Sessant’anni solo per l’anagrafe, una carriera iniziata prestissimo, nel 1977, quindi storie d’amore tormentate, lutti, liti, lacrime e pochi sorrisi (“Non mi sono goduta molto la vita”), la psichiatria sviscerata in ogni sua forma; eppure quando racconta ha poche difese, pochi diaframmi con la vita.
Insomma, lei mai da sola…
Mai. Neanche in viaggio, non sono in grado. Soffro di crisi di abbandono. È impossibile.

Da sempre?

Sì, poi con il passare degli anni queste esigenze aumentano.
Quest’anno è stata uno dei momenti cult della tv, quando voleva “abbandonare” “Ballando con le stelle”…
Si sono pure inventati che ho sfondato un camerino…
Non era vero?
Per fermare le stupidaggini sono andata dall’avvocato.
E…
Tutto risolto, mica posso passare da pazza isterica, ed è quello che volevano dall’inizio della trasmissione: il loro massimo godimento è arrivato quando in diretta ho detto “non ne posso più”.
Doveva andare fuori giri…
Sì, secondo un’immagine stereotipata nata in qualche fiction, mentre nella vita sono un’altra persona. Mi hanno fatto piangere.
Addirittura…
All’inizio immaginavo prese in giro, pensavo avrebbero solleticato la mia autoironia, invece mi sono beccata di tutto, da sei una merda a fai schifo e scimmia.
E giù lacrime…
Una trasmissione violentissima. (Pausa) Se ripenso a quei mesi, è stato bellissimo.
Come bellissimo?
Sì. La parte marcia è quella autoriale, mentre il nostro lavoro era serio, composto da disciplina e passione, contatto fisico, fiducia e con la possibilità di scoprire la gioia della danza. Ballavamo sei ore al giorno, mi sono sentita come dentro a Dirty Dancing.
Emozioni…
Continue. E con un maestro di ballo meraviglioso.
In sostanza?
Un bagno d’umiltà. Tornavo a casa e mi addormentavo sul divano con sopra il cappotto.
Oltre alla scena a “Ballando”, in tv ha bacchettato una giornalista per una domanda su Petri…
Perché me lo chiedono sempre! Non ne posso più, così come raccontare dei morti della mia vita, o dei quattro aborti che ho avuto.
Mentre il ballo è vita.
Sì, non devi parlare, scattano abbracci meravigliosi, romantici… Io sono romantica. E ci siamo innamorate tutte dei nostri ballerini, ma è normale, scontato, ovvio…
A lei il contatto fisico non dà fastidio…
Con gli strafighi no, mica sono matta.
Margherita Buy ha dichiarato al Fatto di non sopportare le scene d’amore…
Si vede, le fa proprio schifo.
Sempre la Buy spiega: “In quei casi gli uomini vanno fuori giri per dimostrare la loro mascolinità”.
Ma quale? Almeno il cinquanta per cento degli attori con i quali ho lavorato è gay.
E l’altro cinquanta…
La questione è un’altra: queste scene sono spesso noiose, in particolare quelle di sesso, i movimenti sono quasi sempre gli stessi. Uno sopra l’altro. Ti giri di qua, poi di là. Rotolino sul letto. Se trovi come partner un maschio di bell’aspetto, ciò non è sgradevole.
Esempio di maschio di bell’aspetto…
Il mio primo uomo baciato sullo schermo è stato Marcello Mastroianni.
Ottimo inizio.
Un piano sequenza lunghissimo, di un quarto d’ora per una scena d’amore tra me e lui; un momento chiave provato per quattro giorni.
Dopo di che?
Abbiamo girato. Ma quando con il piano sequenza sbagli una virgola, va ripetuto tutto. Risultato: ci siamo baciati una settimana intera, e che baci! Marcello metteva la lingua, mica si tirava indietro.
Un ricordo…
Bellissimo. E comunque certe scene le ho girate anche con altri grandissimi.
In uno dei primi film era accanto ad Alberto Sordi.
Era un artista a dispetto di sé, un po’ noioso, come tutti i comici, pure reazionario, oltre al suo celebre maschilismo. Bastava portarlo a tavola, e scatenava l’appetito: doveva mangiare, pranzo e cena.
Il suo è un curriculum importante.
Sì, però in troppi tendono a dimenticarlo e sottovalutarlo, guardano solo all’oggi, quello avvenuto prima non è esistito, rientra nel “chi se ne frega”.
Mentre…
Il mio percorso più importante si è sviluppato negli anni Ottanta; ultimamente non sono accettata dal sistema…
Perché?
Non lo so, la domanda rientra sotto la sfera del mistero, il mistero più odioso. E ho girato con Wertmüller, Monicelli, Comencini, Streheler e Nuti… Tutti i più grandi. Oltre ai successi in tv.

Milioni di spettatori.

Il mio primo sceneggiato intitolato Una donna (la vita di Sibilla Aleramo), fece 20 milioni di spettatori, e io ero la protagonista. Festeggiai i 18 anni sul set.
Partenza folgorante.
Per questo mi stupisce non essere diventata quello che è Isabelle Huppert per il cinema francese.
Lei rispetto alle sue colleghe…
Alt! Non faccia nomi. Io conosco le persone, conosco tutti, so qual è il loro livello di recitazione, il talento se c’è o meno, sono a conoscenza dei loro problemi, segreti, frustrazioni. Però su questo taccio.
Quindi?
Niente paragoni, voglio continuare a soffrire in silenzio.
Si censura.
Eccome! E ho imparato con l’età, a volte può venir fuori il mio disagio, sono una disadattata rispetto al sistema, ma al tempo stesso me la sono cavata alla grande.
È una partita a tennis.
Sono una tennista compulsiva, anche quattro o cinque volte la settimana.
Brava?
Tutti sono convinti di esserlo, quando sono delle pippe, poi guardi fenomeni come Nadal o Federer e capisci le reali potenzialità.
Loro sono professionisti.
Come diceva Woody Allen: “Se mi devo rapportare con qualcuno, lo faccio con Dio”.
Quanti copioni le arrivano?
Neanche uno. Va molto meglio con il teatro, però a me piace più il cinema.
Tutto è partito grazie ad Alessandro Haber…
Verissimo. Ancora oggi, quando ho le prime al teatro, si alza dalla platea e dice: “Sono stato io, l’ho lanciata io! È tutto merito mio!” Lui mi ha portata ad alcuni provini, tirandomi per i capelli.
Haber è celebre per la faccia tosta.
Per anni ha rotto le palle a tutti i registi italiani, una sorta di stalker, se non avesse avuto talento sarebbe stato schizzato da chiunque, e magari buttato pure in galera.
Alla fine ha ragione lui…
Siamo stati fidanzati per tre anni, dai miei 18 ai 21 ed ero introversa, chiusa, non sarei mai andata a chiedere qualcosa a qualcuno. Oddio, ancora oggi sono un po’ così…
Invece Haber…
Fermava per strada i registi, anzi mi portava nei ristoranti o nei posti dove sapeva di poterli incontrare, e con la sua voce affannata li investiva al grido: “Sono un attore, sono bravissimo, anche lei lo è. Siamo bravissimi!”.
E lei?
Mi chiudevo nei portoni, piangevo, poi urlavo: “Ti lascio, sei una merda! Mi vergogno!” Figuracce assolute.
Litigavate molto?
Ci tiravamo addosso qualunque cosa, sfasciavamo tutto, poi arrivavano quelli del 113 e magari trovavano il televisore con un buco nello schermo…
Botte vere.
Ci picchiavamo, ma lui non capiva: io mi vergognavo! Ma allora era border line… (silenzio, riflette) anche oggi un po’ lo è. E lo posso dire, oramai siamo come parenti. Comunque lui è un vero artista.
Lei si sente artista.
Sì.
Quali sono le caratteristiche fondamentali?
Una forma dolorosa e involontaria di anarchia. E questa forma la paghi, uno si sente sempre un po’ coglione e fuori posto nella vita e a volte anche in scena.
E si sente bella?
Mai. Quella emozione non è pervenuta, non tanto nella vita, quanto sullo schermo. Una volta a 18 anni mi sono rivista, dallo choc ho pianto l’intera notte.
Negli anni successivi non ha cambiato idea?
Peggio. In altre occasioni ho sbirciato i giornalieri (le riprese della giornata), e turbata iniziavo a dare calci e urlare, poi andavo a letto e mi svegliavo depressa. Alla fine me li nascondevano.
Quindi non rivede i suoi film…
Solo quelli che ho dovuto doppiare; se li trasmettono in tv reggo dieci minuti, non di più. Pochi giorni fa sono incappata in quello con Troisi (Scusate il ritardo). Mi è preso un colpo.
Un cult forse invecchiato…
Può darsi. Per montarlo fu un problema: i film di Massimo erano tutti lunghissimi, Scusate il ritardo durava sei ore.
Neanche Sergio Leone…
Non aveva il senso del cinema, erano dei monologhi infiniti e difficili da tagliare; gli altri attori erano spesso in difficoltà, non sapevamo quando inserirci. Però, attenzione: lui è stato un grandissimo. (Altro silenzio) Comunque no, non li riguardo, soffro.
Cosa, in particolare?
In quel periodo stavo malissimo, mentre giravamo moriva Elio Petri (suo ex compagno, ndr), e poi ripenso a Massimo stesso. Insomma, quel film mi dà un senso di morte.
E i film con Nuti?
Lasciamo perdere, anche lì c’è una tragedia dietro. Altre lacrime.
Sempre lacrime.
Sì, ho passato la mia carriera piangendo, in definitiva non mi sono goduta quasi nulla, eppure ho girato il mondo, ho conosciuto chiunque, partecipato a ogni Festival, spesso come giurata.
Ma niente…
Sono così. Ho conosciuto registi fondamentali e neanche capivo chi avevo di fronte.
Un nome?
Con Michael Haneke sono stata corpo a corpo per venti giorni, eravamo giurati in un Festival, alla fine mi ha lasciato il numero di telefono. Quando sono tornata e ho visto i suoi film, ho sbiancato, mi è preso un colpo. Avevo già perso il suo telefono.
Oltre a lui?
Stessa cosa con la moglie di Spielberg. Sono una dissipatrice.
Il contrario di Haber…
Me lo ha detto pure uno dei miei psicoanalisti.
Quanti terapeuti ha cambiato?
Cinque o sei.
L’analisi funziona?
No. Assolutamente. Però educa all’ascolto.
Che tipo di terapia?
Ho provato tutto l’arco costituzionale, da Freud a Jung in poi. Ah, ho avuto un’analista che mi leggeva Lacan in francese, mi facevo due scatole cubiche, tutti neologismi, incomprensibile.
Non ha funzionato.
Mi ha dato una forma di dipendenza con la quale mi intrattenevo.
Quante volte la settimana?
In alcuni momenti, anche cinque: dovevo superare dei lutti, situazioni tostissime, ne avevo bisogno. Poi studiavo libri, andavo a convegni e conferenze.
In ogni situazione lei punta all’assoluto, è totalizzante.
Ma bisogna agire in questo modo!
Chi era così, sua madre o suo padre?
Mia mamma era pazza, donna difficilissima. Sono felice di avere avuto lei, mi ha trasmesso la sua follia, mi ha reso integerrima e integra, pulitissima. Mio padre una bravissima persona, ma se n’è andato presto, ha preferito viaggiare per il mondo, parla 12 lingue, a novanta e passa anni gioca a tennis e scia, oltre ad aver disseminato quattro mogli.
Quindi più sua madre…
Un mese fa è morta perché aveva deciso di morire: si è messa a letto e piano piano si è spenta. Non aveva alcuna patologia.
Da dissipatrice ha mantenuto le amicizie?
Sì, però anche se sto per crepare, non chiamo nessuno per gridare “aiuto”.
Mai?
Solo quando sono uscita dalla clinica per una grave trombosi, stavo per morire eppure il primario era convinto fosse una mia pazzia, non aveva capito nulla, quando mi hanno ricoverata, guarda caso, si è messo in ferie.
Dopo dimessa?
Ero veramente distrutta, fisicamente e psicologicamente, per qualche mese sono rimasta seduta ai tavolini di un bar, sempre lo stesso bar, dalla colazione fino alla sera, a volte pure la cena.
E gli amici?
Si davano il cambio, c’era sempre qualcuno con me.
Per lavorare nel cinema, cosa conta oggi?
Far parte di un clan, o di destra o di sinistra, non importa, basta stare dentro. Anzi, mi correggo, forse sono peggio quelli di sinistra.
La casa è piena di premi.
Ho vinto sei Telegatti, ne è rimasto uno, gli altri rubati.
Com’è possibile?
Uno è stato preso dai ladri durante una rapina a mano armata subita dentro questa casa, un’esperienza terribile, e non ho capito neanche il motivo, visto che i Telegatti non sono d’oro; un altro se l’è preso Michele Placido, uno l’ho regalato a Comencini, il terzo se l’è fregato una delle protagoniste del Bello delle donne, poi non ricordo…
Non ci sono solo i Telegatti.
Su quella mensola c’è di tutto, anche statuette vinte in Germania o Francia. Ma a quanto pare non contano…
Una sua colpa?
Uno dei miei analisti mi consigliava: “Si deve dare delle arie!”. Ma io non ci riesco…
(Canta Vasco Rossi in “Sally”: “È tutto un equilibrio
sopra la follia”).
Twitter: @A_Ferrucci