La Gazzetta dello Sport, 24 giugno 2017
Vettell: «Sono felice alla Ferrari: sul contratto non ci saranno sorprese»
È il campione della porta accanto, uno che si sveglia al mattino e si rilassa a falciare il prato di casa, che dice «la felicità della vita è nelle piccole cose», che raccomanda a se stesso di «mantenere sempre i piedi per terra» nonostante sia circondato da un mondo dorato, che non ha un profilo Facebook e si stupisce quando i tifosi gli chiedono un selfie da condividere sui social «perché è più bello stringere la mano a una persona». Sebastian Vettel, 29 anni, quattro volte iridato di F.1 e pilota della Ferrari, ti fissa negli occhi e ti parla con una profondità di pensiero molto rara per gli sportivi di qualsiasi latitudine. È stato il Verstappen dei suoi tempi, vincendo giovanissimo a Monza con la Toro Rosso e dominando un’epoca con la Red Bull, ora al terzo anno con la scuderia di Maranello è in testa al Mondiale dopo 7 gare e di nuovo in corsa per il titolo.
Seb, la sua sembra la storia di un predestinato, ma quando andava a scuola da bambino ha mai desiderato essere qualcun altro, magari un calciatore?
«Michael Jackson».
Come?
«Non scherzo, da ragazzino avevo davvero una voce molto bella. Ma appena è cominciata la pubertà, ho perso ogni chance come cantante. Così ho puntato tutto sulle corse».
Ha molte passioni, fra cui le moto d’epoca, cosa prova a guidarle?
«Innanzitutto, se decido di uscire in moto, è per il puro piacere di farlo. Ci deve essere una bella giornata, il sole deve splendere e mi devo godere il clima, la vista dei paesaggi, le strade e ovviamente la moto. Le mie sono vintage (Bmw, Kawasaki e altre; ndr), per cui vado piano. In genere sono contento se torno a casa senza intoppi. Mi è anche successo di restare a piedi per una perdita d’olio. Ma per fortuna oggi viene in soccorso il telefonino».
L’esperienza di viaggio più bella?
«Ci sono tanti percorsi stupendi sulle montagne fra la Svizzera, l’Austria e l’Italia. Vorrei andare in moto lungo la Tremola, sul passo del San Gottardo, dove sono stato solo in macchina. Magari mi farò aiutare da una guida».
Che cosa la affascina di più della figura di Enzo Ferrari, da quello che ha letto?
«In passato non avevo letto molto, ma adesso sono attirato da qualsiasi pubblicazione che parli di lui. Mi colpisce il fatto che sia stato un uomo con una visione. Oggi il marchio del Cavallino è conosciuto in tutto il mondo, ha un significato globale, ma allora nessuno poteva immaginarlo. Ed è incredibile pensare che tutto questo sia scaturito dalla mente di una sola persona. È un peccato che Enzo Ferrari non ci sia più. Qualcuno dirà che sono fortunato, perché era molto severo nel giudicare i piloti (sorride; ndr), ma le sue idee e i suoi principi sono ancora attuali e sopravvivono attraverso le persone che lavorano a Maranello».
A lei è capitato perfino di dormire nella casa di Ferrari, all’interno del circuito di Fiorano, alla vigilia del suo primo test con la rossa. Lo ricorda?
«È stato speciale trovarmi lì. Anche se, mancando lui, in fondo ero suo ospite e al tempo stesso non lo ero. È un posto simbolico, unico, come Disneyland per un bambino. Se avessi un giorno libero, prenderei una bella macchina e andrei lì solo per il gusto di giocare».
Perché, quando è arrivato alla Ferrari, ha deciso di mettere i colori della bandiera tedesca sul casco?
«Negli anni della Red Bull, che mi ha appoggiato come sponsor fin dagli inizi, utilizzavo il loro disegno e ci aggiungevo qualcosa di mio a ogni gara. Però, quando ho firmato con la Ferrari, non avevo riflettuto sul fatto che avrei dovuto cercare un’altra grafica. Così, al primo test a Fiorano, nel novembre 2014, mi sono presentato con un casco tutto bianco. Mi piaceva, perché ricordava quello con cui correvo nei kart, quando non avevamo i soldi per pagare qualcuno che lo verniciasse. Poi ho avuto l’idea della bandiera tedesca. Amo i disegni semplici e classici, come quelli di Damon Hill, David Coulthard e il primo di Michael Schumacher, perché sono immediatamente riconoscibili. Il casco, da allora, è rimasto lo stesso, con piccole modifiche».
Essere famoso le permette di avere una vita normale, uscire per strada, andare al supermarket, portare le sue figlie a scuola?
«Le mie bimbe non hanno ancora l’età per andarci, quindi è presto. Ma, in generale, la mia vita è quella di una persona normale. È vero, non è facile sentirsi sempre a proprio agio, quando tutti in giro ti riconoscono, ma penso che siamo noi a decidere come vivere. Io vado dappertutto senza problemi, se qualcuno mi chiede attenzioni e sono a cena con la mia famiglia, dico di no con gentilezza e la gente capisce. Alla fine scopri che ci sono meno ostacoli di quello che pensavi. Perciò, è bene non porsi limiti. Ciascuno è il capitano sulla propria barca».
Dopo la vittoria di Singapore 2015 cantò via radio “L’Italiano” di Toto Cutugno. Qual è la sua compilation ideale?
«La musica mi piace da matti e cambio abitudini, gusti e preferenze di continuo. Al momento sto riascoltando i successi degli Anni 80. Ma è difficile fare una hit parade. Se vogliamo sceglierne una, direi che “We are the champions” non è male, per quello che significa…».
Che cosa sta prendendo dall’Italia?
«La passione per il cibo, la cultura, lo stile di vita, il piacere della compagnia, l’atmosfera familiare. La vita è fatta per essere goduta e in questo senso c’è tanto da imparare da voi».
Ama i dipinti come il suo ex pigmalione Helmut Marko?
«Apprezzo l’arte contemporanea, qualche volta vado alle mostre e visito i musei, ma non sono uno che osserva un quadro astratto e si sforza di trovarci dentro qualcosa. I dipinti devono piacermi a prima vista, poi cerco di incontrare l’artista che li ha realizzati e di avere da lui un’interpretazione».
Anche Lewis Hamilton ha detto di avere acquistato un Dalì. Vi dividono 12 punti in classifica e molto di più nel modo di essere. Lui ama i social e la vita da rockstar, lei sembra l’esatto opposto…
«Effettivamente è un po’ come accostare il bianco e il nero (e fa una smorfia autoironica sapendo di avere detto una freddura; ndr). No, scherzo. Mi è difficile rispondere, perché in realtà Lewis non lo conosco. Non passiamo molto tempo insieme. Forse l’unico momento in cui siamo vicini è quando lottiamo in pista. Però gareggiamo dai tempi della Formula 3 e non abbiamo mai avuto contrasti personali. Ci sono tante cose, nel modo di vivere di Lewis, che io non farei. Ma probabilmente lui direbbe lo stesso di me».
Che pilota è il rivale della Mercedes?
«In realtà non posso “vedere” molto della sua guida. Per rispondere dovremmo essere nella stessa squadra e guidare la stessa macchina. Potrei al massimo fare un paragone con Raikkonen, il mio compagno alla Ferrari, e dire dove è più forte lui e dove lo sono io, oppure con Ricciardo e Webber per averci corso alla Red Bull. Ma con Lewis è difficile».
Qual è il più bel ricordo di Schumacher e che cosa la lega a lui come persona?
«Io penso di avere avuto l’occasione di conoscere Michael due volte. La prima quando stavo crescendo e lui era il mio eroe, per un bambino è stato come incontrare Dio; poi quando ero diventato grande anch’io e sapevo molto di più della F.1. Uno era il campione, l’altro la persona. Ho conosciuto “che cosa” era Michael e “chi” era. Non l’ho mai visto fuori forma, arrabbiato, qualche volta semmai l’ho visto dopo che aveva bevuto parecchi drink (sorride; ndr), ma non gli ho mai sentito dire qualcosa che non avesse senso. Riusciva sempre a mantenere il controllo. Lo stesso quando guidava, in F.1, nei kart o su un buggy alla Corsa dei Campioni: era sempre sicuro di sé e padrone della situazione».
È impossibile superare il suo record di 7 titoli mondiali?
«Non ci penso, non è una cosa che sento di dover fare. Michael è stato una enorme fonte di ispirazione per me, ma se ti metti a scorrere i suoi numeri, le pole, le vittorie, i mondiali, non c’è partita (mima il gesto delle braccia che cascano; ndr). Di sicuro, la mia più grande ambizione al momento è diventare campione del mondo con la Ferrari. Ho già conquistato quattro titoli, sono fortunato come pochi, ma voglio riuscirci ancora».
Le hanno fatto piacere le parole del presidente Sergio Marchionne: “Seb può restare alla Ferrari quanto vuole”?
«È bello sentirlo. Negli ultimi anni c’è chi lo ha criticato, sostenendo che ci mettesse troppa pressione addosso, ma pochi sono al corrente di quello che succede davvero nella squadra. È chiaro che Marchionne vuole vincere, è un uomo ambizioso, ma ci sta aiutando il più possibile, fornendoci tutti i mezzi di cui abbiamo bisogno. Ci sono due aspetti di lui: da un lato il tifoso appassionato di corse e di F.1, dall’altro il top manager molto intelligente e capace. Saremmo degli stupidi a non ascoltarlo. Però, come ho detto, il contratto al momento non è la priorità. Siamo tutti concentrati per vincere».
Sarebbe disposto ad accettare qualsiasi compagno di squadra?
«Devi essere pronto a lottare con chiunque, perché è il team che decide chi metterti vicino, non sono io che comando alla Ferrari. Se potessi scegliere, terrei Kimi per il semplice fatto che abbiamo molto rispetto reciproco e questo di per sé risolve tanti problemi. È come all’asilo, quando due bambini si contendono un dolce o un giocattolo: non si metteranno mai d’accordo su chi merita quel premio. Noi, però, ci rispettiamo così tanto che spesso, dopo una qualifica o una gara, ci sediamo a tavola e ci diciamo chapeau. Se io sono andato meglio, lui non è felice. E viceversa. Ma siamo abbastanza uomini da stringerci la mano e ammettere che l’altro quel giorno è stato più forte, anche se odiamo la cosa e non vorremmo accettarla. Fa parte della maturità, dell’onesta e anche della grandezza di uno sportivo».
Può promettere ai tifosi italiani che resterà alla Ferrari anche l’anno prossimo e in quelli a venire?
«Non ho niente di cui lamentarmi. Di solito i tedeschi si lamentano sempre, anche quando vengono in vacanza in Italia e il cibo e il clima sono fantastici, hanno sempre qualcosa da ridire. In questo senso, io non sono molto tedesco. Sono felice alla Ferrari. Non c’è niente che parli a sfavore. Credo che non ci saranno grandi sorprese. Non sono preoccupato io e non ha fretta la Ferrari».