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 2017  giugno 23 Venerdì calendario

Suicida lo stalker assassino di Ester: gli sms testimoniano le molestie

TERAMO Il poster dei centri anti violenza, in bella mostra sulla bacheca proprio di fronte all’ambulatorio oncologico della dottoressa Pasqualoni, suona beffardo. Così come, di fronte alla sabbia sparsa nel parcheggio semideserto per coprire il sangue e nel percorrere di primo pomeriggio, proprio come faceva la dottoressa, dieci chilometri senza incontrare un’auto, in aperta campagna, vengono i brividi al pensiero della paura che Ester Pasqualoni doveva provare ogni giorno, all’idea che Enrico Di Luca fosse lì a spiarla. Ieri mattina, il nucleo investigativo carabinieri del comando provinciale di Teramo, coordinato dal capitano Roberto Petroli, ha trovato il cadavere del persecutore di Ester Pasqualoni in un appartamento di Martinsicuro, sulla costa. Nel parcheggio del condominio, la Peugeot bianca che era stata vista vicino all’ospedale di Sant’Omero, dove mercoledì pomeriggio la dottoressa è stata massacrata con un oggetto tagliente, probabilmente una roncola. I carabinieri hanno dovuto ispezionare molti appartamenti prima di trovare Di Luca, perché l’ex investigatore privato faceva da manutentore nel condominio e aveva le chiavi delle seconde case di chi arriva a Martinsicuro per le vacanze. Ha avuto nell’uccidersi la stessa determinazione che aveva mostrato nel perseguitare Ester Pasqualoni, si è strangolato con due fascette di plastica.Gli indizi a suo carico e il movente fanno di lui il probabile assassino, dal punto di vista investigativo la vicenda è pressoché chiusa, dal punto di vista umano resta un drammatico groviglio. A cominciare dalla personalità di Di Luca, un uomo invisibile per i residenti di Martinsicuro che si radunano a un passo da casa sua intorno alle barche dei pescatori o al campo di bocce, una persona “squisita” per i vicini. Tiziano Di Biagio, uno dei residenti estivi del condominio, lo considerava un amico: «Era sempre disponibile, chiacchieravamo ogni tanto. Aveva venduto l’appartamento che aveva qui perché non si trovava bene in Italia, mi aveva detto che voleva andare all’estero». Di Luca aveva già vissuto in Francia, dove era arrivato da Isola del Gran Sasso, nell’entroterra. All’estero si era sposato e aveva avuto un figlio, lavorava come tecnico elettricista ed era ritornato con un gruzzoletto, investito in case per vacanze. Ester Pasqualoni l’aveva conosciuta nel 2005, probabilmente in ospedale. La dottoressa solare, sempre pronta ad ascoltare pazienti e familiari, la donna che pensava sempre agli altri prima che a sé avrà forse avuto con lui lo stesso atteggiamento che aveva con tutti, ma lui aveva voluto interpretarlo in maniera diversa.
«Non c’è stata una relazione – dice l’amica di Ester, Caterina Longo – all’inizio ridevamo anche dell’infatuazione di quest’uomo che sembrava fuori dalla realtà. Le scriveva messaggi d’amore, come se stessero insieme “Amore mio, mi manchi, quando ci vediamo?”. Ester ha avuto paura e nel 2014 è andata dai carabinieri ad Atri, non a Roseto, dove viveva, né dove lavorava. «Non voleva che si sapesse» dice l’amica. E non ha sporto denuncia, ha fatto un esposto, l’unico, perché, dice sempre Longo «pensava che ignorandolo lui avrebbe smesso».
Dopo l’esposto i carabinieri hanno ritirato il porto d’armi a Di Luca e l’hanno diffidato dall’avvicinarsi alla dottoressa. Ma la vicina di casa di Ester racconta che lo vedeva passare di continuo davanti alla villetta dove oggi le due biciclette dei figli di Ester sono abbandonate nel giardino.E c’è chi afferma di averlo visto filmare con una telecamera. Si era placato quando l’aveva notata con il nuovo compagno, ma la morte tragica del vero amore di Ester lo aveva convinto che quella donna doveva essere sua. La dottoressa, come tante altre donne, purtroppo si è vergognata e ha taciuto.
Il capo della polizia, Franco Gabrielli, dice che «la vicenda è una sconfitta per tutti» e che «serve una prevenzione soprattutto di natura culturale». A uccidere Ester è stata anche la convinzione che la violenza di Di Luca fosse un fatto personale e non, come dice Gabrielli «il frutto di un contesto sociale che non riconosce i diritti delle donne».