Il Sole 24 Ore, 23 giugno 2017
La Storia sepolta tra le macerie di Mosul
Scavando tra le macerie dell’Iraq e della Siria tra qualche anno sembrerà persino anacronistico parlare di “responsabilità” e indagare su vincitori e vinti di un conflitto che coinvolge tutte le potenze regionali e internazionali.
Baghdad accusa l’Isis di avere fatto saltare la moschea del 12° secolo di Al Nouri a Mosul – dove Al Baghdadi nel giugno 2014 proclamò il Califfato – per impedirne la riconquista, i jihadisti sostengono che sono stati i raid Usa, gli americani smentiscono.
La verità è brutale: da anni è in corso la distruzione di intere nazioni e del loro patrimonio artistico, archeologico e culturale che ciascuna delle parti in guerra rivendica di volere “proteggere” in nome delle più diverse bandiere ma in realtà contribuisce a sgretolare, giorno dopo giorno. Per il Medio Oriente questi conflitti contemporanei sono ancora più devastanti della seconda guerra mondiale quando qui le ferite dei bombardamenti furono assai più limitate che in Europa.
Al viaggiatore che conosce da decenni la regione oggi si stringe il cuore. E lo sguardo, che un tempo si alzava verso il cielo ad ammirare i monumenti di tante civiltà millenarie, adesso si abbassa sconsolato al suolo per scrutare con angoscia le macerie che riempiono le strade e le piazze di città come Aleppo, Homs e Palmira in Siria, Mosul e Ninive in Iraq.
Non abbiamo più la moschea costruita nel 715 dagli Omayyadi ad Aleppo, insieme alla Qalat, la cittadella, e al bazar, sono stati sbriciolati i leoni, le colonne e i templi di Palmira, abbattuti dall’Isis che ha fatto saltare anche le mura di Ninive, saccheggiato le rovine assire di Dur Sharukkin, la città di Hatra, la Chiesa Verde di Tikrit, uno dei più antichi monumenti della cristianità, i mausolei sciiti di Mosul e Tikrit con 40 tombe omayadi, il monastero di Sant’Elia a Qaryatain in Siria.
Ma questo è un elenco assai incompleto. Insieme ai monumenti i jihadisti hanno dato alle fiamme anche i libri e dove si bruciano i libri, come diceva il poeta Heinrich Heine, si bruciano anche gli uomini. Un’estate incendiarono la biblioteca di Mosul, come era già accaduto a Sarajevo nel 1992 e a Baghdad nel 2003 quando per giorni le fiamme inghiottirono antichi manoscritti e l’archivio del regime baathista. Eppure proprio in Mesopotamia quattromila anni fa furono aperte le prime biblioteche con le tavolette d’argilla di Sumeri, Assiri e Babilonesi. A Ninive venne fondata dal re Assurbanipal la più grande biblioteca del mondo antico, ricca di ventimila tavolette tra cui quelle recanti la narrazione dell’epopea di Gilgamesh. Una conservazione del sapere proseguita con la civiltà araba degli Abbassidi quando a Baghdad si contavano 63 biblioteche. A spazzare via tutto nella capitale ci pensarono i mongoli nel 1258. I volumi gettati nel Tigri erano così numerosi da permettere il passaggio, per lungo tempo, da una riva all’altra attraverso le cataste di libri affioranti sulla corrente.
Sotto queste macerie contemporanee non si stanno seppellendo soltanto i popoli, con centinaia di migliaia di morti e milioni di profughi, ma anche la ragione stessa della loro esistenza futura e le speranze delle nuove generazioni: i monumenti sono la testimonianza concreta e visibile di una storia e di una memoria che le guerre stanno cancellando. Erano queste pietre con la loro presenza la motivazione intima che faceva dire a ogni abitante: «Sono di Mosul, sono di Aleppo». Distruggere il passato vuol dire rubare il presente e il futuro.
La guerra mondiale del Medio Oriente coinvolge in pieno le superpotenze, Stati Uniti e Russia, rende ancora più acceso lo scontro Iran-Arabia Saudita, tra sciiti e sunniti, lacera tutto l’universo musulmano e fa coltivare pericolose tentazioni di conquista, di rivincita ed eliminazione degli avversari. Convivenza e tolleranza, le parole della cultura, sono abolite da chi vuole nuove frontiere, muri e territori. L’estremismo scorre come un veleno mortale nelle vene aperte di questa regione, l’occupazione di truppe straniere diventa una presenza forse necessaria ma umiliante, le società sono frammentate da conflitti settari, etnici, economici e di potere. Le distruzioni materiali sono eclatanti, quelle morali forse lo sono ancora di più e tra qualche tempo sembrerà persino assurdo rintracciare le colpe.