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 1977  agosto 27 Sabato calendario

Signor ministro, non si vergogna?

Ministro Lattanzio, alcuni partiti e giornali – e noi tra questi – sostengono che lei dovrebbe dimettersi dopo la fuga di Kappler.
«Per quale ragione?»
Per ragioni di colpa obiettiva: un ministro è comunque responsabile degli errori e delle inadempienze dei suoi subordinati.
«Sono di diverso avviso. Non per ragioni personali, mi creda. Un ministro, secondo me, è responsabile quando gli ordini che impartisce si rivelano insufficienti, inadeguati, sbagliati.
Non è questo il caso. Le istruzioni che io avevo impartito erano precise circa la custodia di Kappler, e non lasciavano adito ad equivoci.
Per di più, qualunque modifica di quelle istruzioni o qualunque difficoltà nella loro applicazione avrebbe dovuto essermi comunicata. Lì si arresta la mia responsabilità. Se noi estendessimo il concetto della responsabilità ministeriale anche alla cattiva esecuzione da parte d’un maggiore, d’un capitano o addirittura d’un piantone, la nostra vita parlamentare sarebbe turbata almeno cinquanta volte al giorno da dimissioni a catena di ministri. È questo il concetto che si vuole affermare? Ebbene, io non sono d’accordo e il Parlamento – mi pare – neppure».
Resta il fatto che il caso Kappler è incomprensibile. E resta il fatto che lei stesso non è stato in grado di dare alcuna versione sulle circostanze in cui si è verificato.
«La magistratura militare sta indagando e anche i comandi dei carabinieri. Io stesso mi sono recato l’altro ieri al Celio per rendermi conto personalmente dei luoghi e delle persone».
Che vuol dire dei luoghi e delle persone?
«Ho voluto vedere quella porta, quella stanza, quell’ascensore dai quali sarebbe passata la moglie di Kappler con la famosa valigia».
E che impressione ne ha ricavato?
«Che la storia della valigia è romanzesca, assolutamente inattendibile. La porta è stretta, nell’ascensore entrano a stento due persone in piedi. La signora Kappler avrebbe dovuto sedersi sulla valigia per starci dentro. Andiamo, tutto questo è ridicolo».
Vuol dire che la fuga è avvenuta in altro modo?
«Sicuramente».
Con complicità esterne?
«La signora Kappler non l’ha organizzata certo da sola».
Si dice che siano intervenuti i servizi segreti.
«Tutte le ipotesi sono possibili, ma questa mi pare la più avventata. La targa della macchina era del figlio della signora Kappler. Si figura un’azione organizzata dai servizi segreti che si serva dell’automobile di famiglia? Si può essere leggeri, ma non fino a questo punto».
La signora Kappler faceva parte di qualche organizzazione di spionaggio, di qualche «servizio parallelo»?
«La signora Kappler circolava in Italia da anni e, come è ovvio, trattandosi d’un personaggio di quel genere, era seguita. Noi non abbiamo mai avuto segnalazioni che la facessero ritenere un personaggio coinvolto in qualche organizzazione del tipo cui lei allude».
Non toglie, signor ministro, che è poi successo quel ch’è successo. Vuol dire che c’era qualche cosa che i nostri servizi non avevano minimamente percepito.
«È vero, questo è innegabile».
Lei ha detto in Parlamento che i nostri servizi segreti sono in disarmo...
«Non ho detto esattamente così...»
La sostanza era questa.
«Ho detto anzitutto che i nostri servizi di sicurezza sono diretti ora da persone sulla cui affidabilità democratica possiamo avere il massimo delle garanzie. Dopo tutte le vicende degli anni scorsi, i servizi sono in fase di riorganizzazione. Il Parlamento sta discutendo la legge e mi auguro l’approvi con la massima urgenza, ma se ci fossero ritardi, dovrò provvedere in via amministrativa. Certamente, fino a quel momento, non possiamo pretendere di avere dei servizi che operino al meglio delle possibilità. Fanno un lavoro, diciamo, d’ordinaria amministrazine»
Da qualche fonte si è sostenuto che Kappler non fosse così ammalato come sembra. Che cosa può dire in proposito?
«Lo escludo. Appena fui nominato alla Difesa, proprio perché ritenevo il caso Kappler assai delicato, feci fare numerosi controlli clinici affidandoli alla direzione della Sanità militare e ad alcuni medici di primaria competenza. Furono tutti concordi. In seguito, le visite divennero periodiche. L’ultimo rapporto ufficiale mi fu trasmesso dalla Sanità militare l’11 luglio. Diceva che lo stato del prigioniero era estremamente grave».
Fu fatto un esame istologico?
«Fu fatto e confermò la diagnosi clinica. Non c’è possibilità di dubbio sulla natura e sulla gravità del male».
La suora del Celio chiamata a testimoniare ha fornito però una versione alquanto diversa.
«La suora ha confermato quanto dico. In seguito è stata interrogata da giornalisti e si è rifiutata di rispondere. Nonostante ciò, alcune fonti giornalistiche hanno attribuito a lei una versione completamente diversa. A me risulta che si tratta di versioni inventate».
Signor ministro, è vero che durante la sua visita al Celio lei ha incontrato la suora?
«Sì è vero».
L’ha interrogata?
«Le ho chiesto alcuni particolari. Lei aveva le chiavi delle stanze del piano superiore a quello dove alloggiava Kappler, e si trattava di stanze non abitate. Volevo vedere quelle stanze e ho chiesto le chiavi alla suora».
Non le sembra singolare che il ministro della Difesa – che in questo caso è parte in causa direttamente – interroghi o comunque prenda personalmente contatto con un testimone dell’inchiesta?
«Mi sembra perfettamente normale. Sul mio onore – l’ho già detto alla Camera e lo ripeto – non ho affatto parlato con la suora sul tenore delle dichiarazioni da lei rese al magistrato».
Nell’Arma dei carabinieri c’è molto disagio per i trasferimenti disposti dal comandante generale in seguito alla fuga di Kappler (1). Qual è la sua posizione in merito?
«Premetto che i trasferimenti di cui si parla non sono una misura disciplinare, ma un provvedimento di opportunità. Dovevamo svolgere un’inchiesta su quanto era accaduto e da essa potevano emergere specifiche responsabilità. Sarebbe stato molto anomalo che l’inchiesta venisse svolta dalle stesse persone che, in ipotesi, potevano esser colpevoli di errori e di trascuranze. D’altra parte, nell’Arma dei carabinieri questa è la prassi e mi stupisce che qualche alto ufficiale dell’Arma lo dimentichi. I trasferimenti mi furono chiesti dal comandante generale, il quale mi disse: «quando su una nave succede qualche cosa è regola che, come primo provvedimento, il comandante sbarchi». Questo è stato fatto. E credo che fosse inevitabile. Posso comprendere qualche amarezza. Posso anche comprendere che, essendosi verificato appena pochi giorni prima un mutamento importante al vertice dell’Arma, questo fatto abbia creato stati d’animo e attizzato rivalità. Tutto ciò è umano, ma non dev’essere né ingigantito né strumentalizzato».
Di quale mutamento parla, signor ministro?
«Della promozione del generale Ferrara a vice-comandante generale dei carabinieri. Il generale Ferrara è stato per molti anni capo di Stato maggiore dell’Arma. Poi, per ragioni di rotazione previste dalla legge, ha dovuto lasciare il posto. Ciò ha creato qualche malumore, è naturale».
La carica di vice-comandante generale non è superiore a quella di capo di Stato maggiore?
«Lo è come rango. Il capo di Stato maggiore ha poteri operativi, il vice-comandante generale è un altissimo consulente del comandante generale».
Le risulta che attorno al generale Ferrara si stia coagulando il malcontento dell’Arma nei suoi confronti e nei confronti del comandante generale?
«Non mi risulta affatto. Ho stima del generale Ferrara e penso che non si presterà ad alcuna strumentalizzazione. I carabinieri sono una delle istituzioni più serie di questo paese. Incorrono in errori, come tutti. Ma la lealtà e la capacità dell’Arma è fuori discussione. Una cosa i carabinieri sanno bene: che in un regime democratico non c’è posto per i cosiddetti corpi separati. Le istituzioni militari, anche le più prestigiose – e i carabinieri sono certamente tra queste – operano sotto la vigilanza del potere politico, del governo e del Parlamento. Ma non è materia controversa: i carabinieri imparano queste cose fin da quando entrano a far parte del corpo».
Che cosa dice, signor ministro, dell’atteggiamento del governo tedesco?
«Il governo tedesco si è comportato in modo che non posso definire altro che «nazionalistico». Non è stata una sorpresa: in ogni visita, in occasione d’ogni incontro e a tutti i livelli, ci avevano chiesto un provvedimento di clemenza L’avevano chiesto i democristiani tedeschi come i socialdemocratici. Evidentemente, abbiamo su questi argomenti modi di vedere le cose molto diversi. Noi possiamo rispettare il loro modo di vedere, anche se non lo condividiamo».
Le risulta che il governo tedesco sia preoccupato dall’isolamento internazionale che si è manifestato in questa vicenda?
«Credo di sì».
Avete chiesto la collaborazione di altri servizi segreti dopo la fuga di Kappler?
«Sì. Abbiamo chiesto ai servizi dei paesi amici di fornirci tutte le informazioni possibili. Con nessun risultato, però».
È vero che vi siete rivolti anche al servizio israeliano?
«Sì, è vero».
Per lei la vicenda è dunque chiusa?
«Mi sono impegnato a fornire al Parlamento tutti i documenti disponibili, ed è quanto farò. Il presidente del Consiglio ha inoltre deciso proprio oggi, d’accordo col presidente della Camera, di far svolgere un dibattito in aula alla ripresa dei lavori. Io sono a disposizione del Parlamento. Altro non ho da dire».

Note: (1) In seguito alla fuga di Kappler, il comandante generale dei carabinieri, Enrico Mino (morirà due mesi dopo a bordo di un elicottero precipitato) trasferì il comandante della VI brigata di Roma, generale Carlo Casarico, il comandante della legione Roma, colonnello Ennio Fiorletta, il comandante del gruppo «Roma prima», colonnello Vincenzo Oresta, e il comandante della compagnia Celio, capitano Norberto Capozzella. Il provvedimento provocò una violenta reazione da parte del generale Arnaldo Ferrara, vicecomandante generale dell’Arma, il quale non esitò a mettere sotto accusa lo stesso Lattanzio dopo che questi, rispondendo il 23 agosto alla Commissione Difesa del Senato, aveva gettato sui carabinieri tutta la responsabilità della fuga.