Dieci anni di Repubblica, 18 agosto 1977
L’esultanza dei tedeschi
Herbert Kappler è sotto la protezione della polizia federale: si teme un attentato – dice la radio tedesca – e si vuole anche evitargli lo stress di una eccessiva curiosità. Il Procuratore della Repubblica di Lueneburg ha aggiunto che le misure di protezione sono state sollecitate dalla moglie Annelise, ed ha ribadito che nessun reato è imputabile, nella Rft, ai coniugi Kappler: entrambi quindi liberi e protetti.
«A suo tempo», afferma il procuratore, «sarà aperta un’inchiesta». Si chiederà allora il materiale in Italia, sarà tradotto, quindi analizzato, infine spetterà al potere discrezionale del magistrato decidere un’eventuale istruttoria. Passeranno anni ma è questa l’unica «concessione» che le autorità federali sono disposte a fare all’Italia. Più che altro una concessione formale, se si pensa che sul piano sostanziale gli accenti sono, anche oggi, sempre più chiari e decisi: nessuna estradizione, nessun arresto e nessuna perseguibilità giuridica.
Herbert Kappler continuerà quindi la sua vita in libertà, in questo villaggio tedesco immerso nei boschi e nella pioggia della Bassa Sassonia: in una linda casetta di legno e cemento – come se ne costruivano molti anni fa – dall’aria rispettabile. Lo attende una popolazione eccitata e compatta nel dargli il benvenuto: capannelli di gente in continuazione davanti alla porta, mazzi di fiori sulla soglia. Eguale compattezza ed eguale eccitazione anche sulla stampa federale, che oggi ha abbandonato le alchimie giuridiche per cercare di fornire a Kappler anche una facile protezione storica e morale. Riaffiorano così, prepotenti, i vecchi pregiudizi di sempre e le contraddizioni di un paese che – come scrive Boll – non ha intenzione di fare i conti con il proprio passato.
Per il General Anzeiger – il giornale tedesco più vicino agli ambienti del governo – la Resistenza italiana «è stata inventata come un momento epico solo per sedersi al tavolo dei vincitori»: «Si dimentica» scrive il giornale, «che i 32 morti di via Rasella che costrinsero Hitler alla ritorsione erano sudtirolesi, quindi italiani: ma gli attentatori sono celebrati ancora come eroi. Così sottili sono talvolta i confini tra eroismo e criminalità... onori e medaglie a coloro che bombardarono Dresda, mentre Kappler diventa un simbolo della criminalità nazista (1)». I comunisti – sostiene quindi il giornale – dovrebbero protestare «per i crimini dei loro compagni» e gli italiani ricordare quanto sostiene Montanelli secondo cui «l’Italia importa adesso le sue orgogliose tragedie dalla Germania, come la Germania importa frutta e verdura dall’Italia».
«Ora l’Italia, patria del fascismo», scrive il giornale, «pretende che noi riscriviamo il suo passato. Ma sono affari suoi». In nessun giornale tedesco c’è un minimo tentativo di cercar di capire le motivazioni della protesta italiana e delle emozioni suscitate dalla fuga di Kappler.
Tutti, concordi, sostengono che se l’Italia avesse concesso la grazia – «in pieno accordo con il diritto internazionale», afferma il General Anzeiger – non si troverebbe in questa situazione. Per i giornali considerati più dialettici e sensibili – come la Frankfurter Rundschau e la Kolner Stadt Anzeiger – l’Italia è stata «fuorviata dai partigiani, gli ebrei ed i comunisti». Un accostamento di antica estrazione che suggella quel «muro di immunità» – fino alla protezione della polizia – il cui cemento è chiaramente nei nodi e nelle irrisolte emozioni di questo paese. L’aggressività della stampa è accompagnata dal totale silenzio del governo: a tre giorni dalla fuga di Kappler il suo portavoce continua a rifiutare qualsiasi presa di posizione, il ministro Genscher è partito oggi per la Grecia e l’ambasciatore italiano – seppure viene ancora ricevuto – tratta con un oscuro segretario dal nome vagamente olandese, Van Well. Eppure è stato proprio il governo federale – da Adenauer a Kissinger a Brandt a Schmidt – ad imporre il «caso Kappler» nel contenzioso diplomatico tra i due paesi, fino a farne il problema di maggior spessore nelle relazioni bilaterali. Ora invece, quando il modo come esso ha trovato soluzione imporrebbe almeno una «presenza diplomatica», tace in un silenzio che suscita numerosi interrogativi.
L’unica personalità politica di rilievo che si sia pronunciata, è Helmut Kohl, residente della Dc tedesca. «Gli italiani», ha detto, «di cui comprendiamo con rispetto i sentimenti, dovrebbero a loro volta comprendere i sentimenti dei tedeschi... Dopo trent’anni, questo dramma deve concludersi, deve prevalere la pietà».
Questo silenzio significa solo totale rifiuto delle richieste italiane, o nasconde complicità o perlomeno imbarazzo di una conoscenza preventiva della fuga di Kappler? Sono interrogativi a cui per ora è difficile dare una risposta. Di certo il governo federale intende risolvere il caso nella tranquilla ospitalità di questo tipico villaggio tedesco, dove perbenismo, nazionalismo ed orizzonti ristretti – paradossalmente la «miscela culturale» su cui fece presa il nazismo – offrono a Kappler sufficienti protezioni dal proprio passato. Nella piccola casa di Wilhelmstrasse numero 6 – nel centro del paese – tutto è pronto per riceverlo: tendine e fiori alle finestre, la discrezione della popolazione, la considerazione sociale di cui gode la moglie Annelise, fisioterapista ed ex crocerossina di guerra sul fronte più duro e disumano della seconda guerra mondiale: quello Orientale.
Di Annelise Kappler, oggi il Bild Zeitung pubblica una prevedibilissima dichiarazione. «Sono stata io sola», dice la donna, «a far fuggire mio marito. Herbert era disperato, voleva uccidersi, la sua volontà di vita era spezzata... Herbert è un credente molto devoto: è stato un segnale d’allarme molto pericoloso per me il fatto che egli non desiderasse più vivere». Così, «l’ho preso letteralmente sotto il mio braccio e sono fuggita. Ripeto: l’ho fatto da sola e senza alcun aiuto esterno».
Le parole della moglie di Kappler sono state smentite dai fatti poche ore dopo, quando dall’Italia si è appreso che almeno due complici l’hanno aiutata a far fuggire da Roma il criminale nazista.
Note: (1) Dresda fu bombardata dagli inglesi il 13 febbraio del 1945, benché non costituisse affatto un obiettivo militare. Sotto 1.500 tonnellate di bombe esplosive e 1.200 tonnellate di ordigni incendiari trovarono la morte duecentomila sfollati tedeschi che fuggivano verso Ovest incalzati dall’Armata rossa. A causa del bombardamento la città fu devastata da un incendio che durò sette giorni consecutivi.