Dieci anni di Repubblica, 17 agosto 1977
Una dama bionda e tre carabinieri
Polizia e carabinieri brancolano nel buio, assolutamente incapaci – per il momento – di ricostruire le fasi della fuga di Herbert Kappler (1) dall’Ospedale militare del Celio. Il nervosismo che domina al vertice dell’Arma dei carabinieri (e che ieri si è espresso in una serie di trasferimenti degli ufficiali coinvolti più da vicino nella sorveglianza dell’ex colonnello delle SS) suggerisce anzi che l’episodio Kappler rappresenta lo smacco più grave e mortificante che le forze dell’ordine e i servizi di sicurezza italiani abbiano conosciuto in questi anni difficili.
A due giorni dall’evasione, infatti, le indagini non hanno approdato al minimo esito. Non si sa «come» Kappler sia uscito dal Celio, da chi – oltre che dalla moglie – sia stato aiutato nella fuga, in che modo i fuggitivi siano riusciti a raggiungere il nord della Germania, e cioè il paese di Soltau, in Bassa Sassonia, dove sembra che si trovino in queste ore. La beffa è dunque di dimensioni clamorose e il riscontro viene dalla Repubblica Federale, dove la Tv e i giornali interrogano i passanti sull’evasione ricevendone risposte divertite, o addirittura di scherno, sul conto delle nostre forze di polizia.
Ma vediamo ora come si sono svolti i fatti, la dinamica della fuga di Herbert Kappler. All’ex colonnello delle SS era stata concessa, com’è noto, dopo una serie di pressioni politiche del governo di Bonn, una «sospensione della pena» a causa delle sue condizioni di salute (2). Così, a marzo dell’anno scorso era passato, dal carcere di Gaeta dove scontava l’ergastolo, all’Ospedale militare del Celio.
Qui Kappler occupava una grande stanza al terzo piano, nel Reparto «Chirurgia ufficiali», a poche porte dalle stanze di due protagonisti delle trame nere, il colonnello Amos Spiazzi e il capitano Salvatore Pecorella, ambedue coinvolti nel golpe Borghese (3).
Le condizioni in cui l’ex SS ha vissuto quest’ultimo anno non avevano quasi nulla, ormai, che ricordasse la condizione d’un recluso. La moglie andava e veniva, e numerosi (come ha dichiarato ieri il ministro della Difesa Lattanzio) erano i visitatori tedeschi. L’unica misura di sicurezza era la presenza di tre carabinieri dinanzi alla porta, presi da un nucleo di dodici uomini della compagnia «Celio» che si alternavano alla guardia di Kappler.
Ed infatti, all’una della notte tra domenica e lunedì, tre carabinieri si trovavano nel corridoio del Reparto «Chirurgia ufficiali» all’altezza della stanza del tedesco. A quell’ora la porta s’è aperta ed è comparsa la moglie del sorvegliato, Annelise Kappler, una bionda sui cinquant’anni, alta, di corporatura robusta. La donna, hanno riferito i carabinieri, trascinava con evidente sforzo una valigia di grosse dimensioni.
Poggiata la valigia nel corridoio, Annelise Kappler s’è fermata un momento per affiggere sulla porta della stanza del marito un biglietto su cui era scritto: «Non disturbare sino alle dieci».
Quindi, sempre trascinando la valigia, ha raggiunto l’ascensore ed è scesa al pianterreno. Qui, nel cortile dell’ospedale, era posteggiata una 132 Fiat rossa che la donna aveva noleggiato venerdì a mezzogiorno dall’agenzia della «Herz» a Fiumicino. Percorso un tratto di circa trenta metri, la Kappler ha raggiunto l’auto e, dopo aver deposto nel portabagagli la valigia, ha messo in moto. Un carabiniere di guardia al portone dell’Ospedale s’è fatto avanti, ma non ha chiesto spiegazioni; la donna gli ha dato anzi una lettera indirizzata a un ecclesiastico (tale Montera o Montenni), chiedendogli di inoltrarla; il militare l’ha presa e la 132 rossa è uscita sulla piazza del Celio. Se Kappler (come sembra che ritengano gli inquirenti) era nella valigia, l’evasione era ormai cosa fatta.
La beffa presenta a questo punto i suoi momenti più pittoreschi. I tre carabinieri incaricati della sorveglianza avevano l’ordine di gettare uno sguardo a varie riprese, durante la notte, nella stanza di Kappler. Lo hanno fatto attraverso l’apposito spioncino, e hanno intravisto sul letto la sagoma d’un uomo che dormiva. La verità è che, mentre la 132 rossa aveva imboccato la rete delle autostrade tra Roma e il Brennero, sul letto del reparto «Chirurgia ufficiali» c’erano soltanto un paio di cuscini e una parrucca a simulare il sonno del responsabile del massacro delle Fosse Ardeatine.
Qual è la credibilità dell’ipotesi (la fuga nella valigia) che per ora sembra prevalere tra gli inquirenti? Di fronte alla scarsità degli elementi concreti a disposizione, pronunciarsi non ha senso. La cosa certa è che l’ultima volta che Kappler era stato pesato dai medici dell’Ospedale, raggiungeva appena 48 chili e il cappellano militare del Celio, don Gabriele Martino, lo definisce «una larva». Il tumore intestinale – apparso quasi due anni fa – aveva fatto cioè la sua strada, debilitando fortemente l’ex ufficiale nazista. Ma se lo scarso peso avvalora l’ipotesi che la moglie se lo sia letteralmente portato via, sembra d’altra parte molto difficile che un uomo in condizioni di salute così precarie abbia potuto sopportare il trasporto in una valigia dalla sua stanza a fuori l’ospedale, e quindi un viaggio di dieci-dodici ore in automobile per uscire dal territorio italiano.
Il 13 e il 14 scorsi (la moglie, ricordiamolo, era giunta a Roma il 12 noleggiando la 132) Kappler aveva detto ai medici del Celio d’essere afflitto da forti emorragie intestinali. Con molta probabilità la cosa non era vera, e l’ex SS la denunciava nell’intento di far alleggerire la sorveglianza attorno alla sua camera d’ospedale. La fuga doveva essere stata insomma ben concertata dai due coniugi, con l’appoggio di qualche complice esterno, per esempio dell’uomo che ha poi guidato l’automobile nel lungo viaggio sino al Brennero e poi, attraverso l’Austria, sino a Soltau.
Le informazioni che vengono dalla Rft fanno credere che Kappler abbia effettivamente raggiunto la Germania. Ma, certo, il fatto che la 132 rossa sia introvabile, e che agli aeroporti non si sia presentata alcuna coppia di nome Kappler, non è sufficiente ad escludere che l’evaso si trovi ancora in Italia. E infatti, sia pure con scarsa convinzione, gli inquirenti seguono anche questa traccia.
Ma quel che più s’intravede, guardando alle indagini, è lo sconcerto dei comandi, la confusione non ancora superata da quando, ieri mattina, è stata scoperta la fuga. La scoperta era avvenuta pochi minuti dopo le dieci, quando la porta della stanza è stata aperta (come appunto aveva «prescritto» la signora Kappler) e s’è visto che il degente non c’era più. C’è poi voluta un’ora perché venisse avvertito il Comando generale dei carabinieri, e due ne sono occorse perché l’evasione venisse ufficialmente ammessa. Alle 13.10 il Ministero degli Interni comunicava ancora non essere in grado di confermare la fuga di Kappler, facendo presente che «continuano le ricerche all’interno dell’ospedale perchè non si può escludere un allontanamento dalla stanza». L’indagine, comunque, era cominciata con un ritardo inspiegabile (almeno inspiegabile come l’atteggiamento dei tre carabinieri che hanno fatto passare la signora Kappler con la sua «enorme valigia»). Soltanto alle 11.37 – infatti – la sala operativa della Questura faceva scattare i controlli di frontiera. Era stata persa cioè un’ora e mezza, forse il tempo sufficiente perché la 132 targata Roma S 97790 passasse il confine.
Note: (1) Herbert Kappler (1905-1978), colonnello delle SS, responsabile dell’eccidio delle Fosse Ardeatine, in cui persero la vita 335 persone. Dopo la guerra gli inglesi lo consegnarono all’Italia e qui il criminale venne condannato all’ergastolo. Varie volte la Repubblica federale tedesca ne aveva chiesto la liberazione. Una petizione In questo senso era stata presentata al Presidente della Repubblica Giovanni Leone da 204 deputati tedeschi. In Baviera esisteva un’ «Associazione degli amici di Kappler» che contava 6.500 iscritti. (2) Kappler soffriva di un tumore all’intestino. (3) Junio Valerio Borghese (1906-1974), già comandante della X Mas e idolo del fascisti vecchi e nuovi, era accusato di aver tramato, tra il 1968 e il 1970, per rovesciare le istituzioni. In particolare il golpe, che avrebbe dovuto instaurare una dittatura militare, doveva aver luogo nella notte tra il 7 e l’8 dicembre 1970. Per il golpe Borghese furono condannate, nel 1979, 46 persone a pene fino a dieci anni. Tra i cospiratori c’erano anche Amos Spiazzi, tenente colonnello dell’esercito e Salvatore Pecorella, tenente colonnello dei carabinieri, che la notte del fallito golpe comandava il distaccamento di servizio al Viminale.