La Verità, 21 giugno 2017
Gli esami di maturità. Copiando si impara, persino le scuole usano i nostri Bignami. Intervista a Ignazio Bignami
Sotto i folti baffi dell’ingegner Ignazio Bignami, si cela una storia aziendale che si avvia a spegnere le 100 candeline. Un’epopea imprenditoriale cullata in famiglia che, per quasi un secolo, ha accompagnato le angosce degli studenti italiani, scortandoli tra i banchi di scuola verso la tanto sospirata «maturità». Era il 1931 quando Ernesto Bignami, insegnante di lettere al liceo classico Giuseppe Parini di Milano, nonché zio dell’attuale amministratore delegato, si inventò le edizioni Bignami grazie all’imbeccata di un alunno. «Ernesto era solito preparare delle dispense per i ragazzi», racconta Ignazio, 65 anni, che oggi guida la ditta di Sesto San Giovanni dalla sua tenuta francese nel dipartimento del Varo, dove si è trasferito alcuni anni fa. «Fu proprio uno degli alunni a domandargli perché non trasformasse quegli appunti salvavita in una collana di libri stampati». Nacquero così i Bignami, la cui fama si è diffusa in proporzioni tali da far entrare ilcognome di famiglia nel linguaggio comune e il sostantivo bignamino nei dizionari. «Dire “passami il Bignami” è come dire “dammi la biro” riferendosi a una qualsiasi penna a sfera». Non esiste adolescente che, nel prepararsi agli esami di maturità, non si sia affidato almeno una volta alle pagine dei celebri bigini, soprannome la cui etimologia sfugge perfino allo stesso Bignami. «Alcuni sostengono che derivi dal verbo bigiare, ovvero saltare la scuola, in milanese. Altri dicono che si rifaccia all’aggettivo bigio per richiamare il colore caratteristico delle nostre prime copertine». Qualunque sia la versione esatta, le dispense create dal professore Ernesto (passate, poi, come un testimone nelle mani del fratello Lorenzo, prima di arrivare infine a suo nipote Ignazio nel 1986) sono diventate un feticcio per generazioni di studenti, ottenendo l’endorsement di intellettuali insospettabili. «Con un buon professore e il Bignami si poteva andare avanti», osservava il semiologo Umberto Eco, «i tre bignamoni sulla Divina Commedia erano più approfonditi delle tavole di Gustarelli». Più esplicito lo scrittore Luciano De Crescenzo, che senza peli sulla lingua confessava: «Giunto agli esami di maturità, su un quaderno a quadretti dalla copertina nera buttai giù un estratto di ciò che avevo copiato leggendo i Bignami e ottenni, in tal modo, un riassunto del riassunto delle cose da ricordare».
So che esiste una leggenda su quel marroncino scelto da suo zio per la copertina dei bigini. Me ne parla?
«Pare che Ernesto avesse fatto uscire i volumi di quel colore affinché si confondessero coi banchi di legno, permettendo agli studenti di consultarli sfuggendo allo sguardo arcigno dell’insegnante seduto alla cattedra».
Di leggendario, quindi, ci sarebbe ben poco.
«Mah... qualcuno ha sostenuto che si trattasse di una favola in quanto un ragionamento di quel tipo non sarebbe stato in linea con la mentalità di un grande studioso quale era Ernesto. Ma mio zio era un tipo sportivo: pensava che copiare fosse, anch’esso, un modo per imparare. Peraltro, si perdeva più tempo a preparare i bigliettini che a studiare su un tascabile».
Ai tempi di Ernesto esisteva già il sottobanco?
«Non sono abbastanza vecchio per risponderle, ma il Bignami era piccolo, si poteva sistemare tra le gambe senza bisogno del sottobanco. Lì, nessun professore avrebbe avuto il coraggio di mettere le mani».
In effetti...
«Scusi, lo saprà anche lei... Non ha mai copiato?».
Anche fosse, è un reato caduto in prescrizione. Piuttosto, stavo pensando che il concetto di bigino è particolarmente attuale: una specie di startup ante litteram.
«Beh, se la mettiamo in questi termini, tante aziende nate dal nulla potrebbero essere definite allo stesso modo. Sicuramente, mio zio ebbe un’intuizione unica, poi sviluppata da grandi collaboratori. Su tutti, Antonietta».
Ovvero?
«La sorella di Ernesto. Docente di economia aziendale all’università e di ragioneria al liceo. Ferratissima: per preparare un libro della sua materia, si faceva comprare tutti i testi più venduti, li leggeva e li trasformava in bigini. Lavorò fino a 92 anni, quando se ne andò».
Le rivelerò un segreto: mia madre, alle superiori, ebbe la signora Antonietta come professoressa di ragioneria. Pare che fosse capace di dare voti anche sotto lo zero, ma che alla fine promuovesse sempre.
«Lo vede? Era una donna straordinaria».
Chi si occupa dei contenuti, oggi?
«Abbiamo un gruppo di professori che cura i testi aggiornandoli periodicamente. Ogni libro viene ristampato due volte l’anno, non di più. È il caso di vendere quelli in magazzino, prima (sorride, ndr)».
Avete anche una sezione digitale?
«C’è una collana intitolata proprio Bignami digitale. Attualmente, i libri disponibili sono 12. Contiamo di estendere la copertura agli altri volumi entro un anno, anche se credo che il Bignami cartaceo rimarrà un cult. Certo, poter consultare il bigino sullo smartphone in qualsiasi momento può essere utile».
Quanti sono i testi in catalogo?
«Circa 250. Uno degli ultimi è Benvenuti in Italia, un libretto per gli stranieri che vogliono imparare la nostra lingua».
Ricorda il primo volume stampato?
«Si intitolava L’esame di italiano, 150 pagine. Sarà costato una lira a dir tanto. Oggi siamo sugli 8 euro circa, ma stiamo pensando di alzare un po’ i prezzi».
In un momento in cui tutti svendono? Non sentite la crisi...
«Certo che la sentiamo. Pensi che, negli anni d’oro, i nostri Promessi Sposi vendevano 100.000 copie all’anno. Sono numeri da best seller. Adesso ne stamperemo 5.000 al massimo, ma abbiamo la fortuna e il merito di esserci creati una nostra nicchia di mercato».
Nessuna concorrenza?
«Qualcosa c’è, ma si tratta perlopiù di competitor che danno fastidio per tre anni e poi chiudono. Uno forte è Alpha test, che ha creato una collana analoga alla nostra. I volumi sono esteticamente belli, più dei nostri, ma il contenuto non è paragonabile».
Quanto è importante «l’abito», Ignazio?
«Un dirigente della casa editrice Le Monnier, una volta, mi disse che un libro si vende, al 60 per cento, grazie alla copertina. Noi siamo riusciti a sfatare questa teoria».
Ma si può davvero andare avanti studiando sul Bignami, come sosteneva Umberto Eco?
«Diciamo che se un alunno studia bene sui bigini ce la fa. E anche con un buon voto. Vede, la nostra logica è sempre stata quella di condensare i contenuti senza mortificare la cultura. Qualche anno fa, una scuola del Veneto ha adottato i nostri bigini. Rendo l’idea?».
Non siete mai stati accusati di vellicare gli scolari più indolenti?
«Altroché. All’inizio, gli insegnanti non ci potevano vedere. Ma è stata la nostra fortuna: avevamo il fascino trasgressivo del frutto proibito. I professori di oggi, invece, sui bigini ci hanno studiato: non possono certo demonizzarli. Come vede, alla fine l’abbiamo sfangata».
Intellettuali a parte, potete annoverare qualche sostenitore anche tra i politici?
«Al Salone del libro, il mese scorso, è passato vicino al nostro stand il ministro Dario Franceschini. Quando ha visto i Bignami, è tornato indietro per salutarmi e darmi la mano. Ho interpretato il suo gesto come una tacita dichiarazione di riconoscenza».
Senta, Bignami, avete riassunto qualsiasi cosa. Perfino le storie dei calciatori Gigi Riva, Gianni Rivera e Sandro Mazzola.
(Ride). «Ah, sì. Pensi che, nel 2011, l’Adidas ci commissionò un bigino intitolato Esame di sneakers da offrire come omaggio ai clienti che acquistavano le scarpe da ginnastica. Dopo anni, ci sono ancora ragazzi che ci scrivono per averlo, ma non siamo autorizzati a venderlo».
La nuova frontiera qual è? Creare bigini dei bigini, come faceva De Crescenzo?
«Lei scherza, ma ci abbiamo già pensato con Le schede: una serie di depliant contenenti le nozioni essenziali per ogni materia. Sintetizzare è una cosa diffìcilissima. Mi viene in mente un celebre verso di Blaise Pascal: “Mi scuso per la lunghezza della mia lettera, ma non ho avuto il tempo di scriverne una più breve”».