Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2017  giugno 20 Martedì calendario

Chi sei? Lo dice il tuo odore

Per i topi l’odore della paura è una molecola nell’urina dei gatti: li allerta a darsi alla fuga. Se una femmina fertile di maiale percepisce una particolare sostanza nella saliva di un maschio, si prepara a porgere il didietro per l’accoppiamento. E così via. Per gli animali il naso è essenziale alla sopravvivenza, ma l’adagio è che per noi umani il primitivo olfatto sia stato surclassato da funzioni più complesse, come l’intelligenza. Se possiamo ragionare sul mondo e spiegarci a parole con i nostri simili, non c’è motivo di annusarci. Eppure, lentamente, stanno emergendo sempre più indizi che non solo il naso umano è più potente di quanto immaginavamo (v. riquadro nelle prossime pagine), ma che può condizionare il nostro comportamento, anche senza che ce ne accorgiamo e addirittura permetterci di percepire le emozioni degli altri (e quindi la loro personalità).
SCORCIATOIA. Si sa ormai che c’è un filo diretto che collega il naso al cervello, una “corsia preferenziale” che gli altri sensi non possiedono. «Uno stimolo visivo ha bisogno di sette sinapsi (collegamenti tra neuroni diversi) per raggiungere l’area in cui verrà analizzato», spiega Valentina Parma, ricercatrice alla Scuola di studi avanzati di Trieste, che si occupa del ruolo dell’olfatto nelle interazioni sociali. «A uno stimolo olfattivo ne bastano tre». Un viaggio con meno “scali”, quindi.
Dal bulbo olfattivo, la zona del cervello in cui i neuroni presenti nelle pareti delle narici proiettano i loro prolungamenti, esiste un collegamento diretto con l’amigdala, la struttura a forma di mandorla sede delle emozioni, e con l’ippocampo, centrale operativa della memoria. Una via privilegiata che ha aiutato i nostri antenati per la sopravvivenza (l’odore di marcio, per esempio, può dare l’informazione: “cibo guasto: non mangiarlo”) ma la cui funzione non si è del tutto esaurita.
STRANE PROVE. Negli ultimi dieci anni sono aumentati gli studi su quanto e come gli esseri umani riescano a scambiarsi messaggi e informazioni attraverso l’olfatto. E per arrivare al cuore della questione, gli scienziati devono mettere in piedi degli esperimenti davvero curiosi: la maggior parte consiste nel fare annusare alle persone gli indumenti che altri hanno indossato mentre svolgevano certe attività. Se c’è un messaggio che il naso può percepire, deve essere contenuto nell’odore del corpo, e in particolare nel sudore, in cui si riversano molecole del metabolismo. Tutta questa procedura è arrivata a un alto grado di standardizzazione nei laboratori, per far sì che il labile messaggio, se c’è, non sia coperto da puzze o profumi estranei.
I volontari devono accettare di non lavarsi con i propri prodotti, ma solo con quelli forniti dagli sperimentatori, non usare deodoranti nel periodo dell’esperimento, dormire da soli, magari indossare gli stessi indumenti per diversi giorni (ma solo di notte). Le magliette usate, o materiali assorbenti applicati sotto le ascelle, finito l’esperimento vengono maneggiate con i guanti, sigillate in buste di plastica e congelate. E vengono addirittura pesate per accertarsi che si siano impregnate di almeno qualche microgrammo di sudore. Poi la parte corrispondente all’ascella viene tagliata e sottoposta agli annusatori, oppure la sua essenza è vaporizzata con un olfattometro, in stanze dove la ventilazione è regolata.
Tante precauzioni per minimizzare il rischio di interferenze e capire se davvero la comunicazione tra umani via naso sia possibile. Ma funziona: oggi sappiamo quali e quanti messaggi olfattivi un corpo possa trasmettere. Uno è la paura. Il sudore delle ascelle di uomini che hanno guardato gli spezzoni più terrificanti del film Shining (1980) messo sotto il naso di volontari che non avevano idea di che cosa si trattasse, ha suscitato espressioni impaurite sui loro volti, misurate con tecniche di riconoscimento dei movimenti dei muscoli facciali. Anche il disgusto può essere trasmesso. In queste caso, l’odore delle magliette di spettatori di TheJackass (2000-2002), una serie tv americana che mette in scena scherzi grotteschi, ha provocato espressioni schifate a chi lo annusava, senza ovviamente sapere di che cosa si trattasse.
LACRIME ANTISEX. Ma c’è anche altro: l’odore di chi è salito sul ring per una sessione di boxe ha suscitato sentimenti di ansia in coloro (del tutto all’oscuro della provenienza) che l’hanno sniffato, mentre chi ha fiutato il sudore di una corsa non ha avuto la stessa reazione. Anche la tristezza sembrerebbe arrivare dritta attraverso il naso al cervello. In questo caso, uomini che hanno messo le narici su una boccetta contenente lacrime di donna (senza sapere che lo fossero) si sono dichiarati meno attratti da immagini di corpi e volti femminili, e i loro livelli di testosterone si sono abbassati.
Più arduo sembra percepire attraverso il fiuto la felicità altrui, anche per la difficoltà di mettere a punto l’esperimento adatto a dimostrarla. «E complicato far sudare le persone mentre esprimono sentimenti positivi», chiarisce Parma. «Ma la difficoltà potrebbe anche essere dovuta al fatto che l’olfatto, da un punto di vista evolutivo, è orientato soprattutto al riconoscimento dei pericoli che non riusciamo a vedere, più che a comunicare sentimenti positivi».
Ricerche recenti hanno inoltre suggerito che sia possibile perfino avere un’idea della personalità di un individuo solo a partire dal suo odore. In un esperimento allestito da alcuni ricercatori dell’Università di Wroclaw, in Polonia, cento uomini e cento donne hanno annusato tre T-shirt ciascuno, che erano state indossate da altre persone. Con la sola sniffata, sono stati in grado di giudicare se la maglietta apparteneva a una persona estroversa, nevrotica o dominante. E lo hanno fatto nello stesso modo, o perfino meglio, di chi aveva espresso un’opinione guardando un video sul comportamento delle stesse persone.
VOGLIA DI CONTROLLO. Non bisogna però pensare che con l’olfatto si possano giudicare le persone: sniffare non è bastato ad azzeccare se l’altro fosse una persona aperta, coscienziosa, amichevole più di quanto sia servito sparare a casaccio. Forse perché queste caratteristiche non hanno odore. Inoltre, nelle condizioni di vita reale, saponi, profumi e deodoranti potrebbero mascherare il vero odore corporeo. Un successivo esperimento dello stesso gruppo di ricerca ha tenuto conto anche di questa possibile obiezione. Risultato: com’era forse prevedibile, se i volontari utilizzavano prodotti cosmetici, chi annusava non era più in grado di valutare il loro grado di ansia. Sulla tendenza al controllo sugli altri, però, nessun profumo è stato in grado di confondere il giudizio: con o senzE profumi, chi la sente è in grado di riconoscerla. In ogni caso, anche se pare ormai accertato che l’olfatto sia un canale con cui riceviamo informazioni importanti, si sa molto meno su quale sia il meccanismo che ce lo consente. Per dirla inbreve, nessuno ha ancora trovato una sostanza nel sudore che corrisponda a segnali specifici, come paura, disgusto, ansia. Non sappiamo quindi quali molecole trasmettano il messaggio, e quali recettori del cervello siano in grado di captarlo. «Il fatto che non le abbiamo trovate non significa che non esistano», commenta però George Preti, ricercatore al Monell Chemical Center di Philadelphia (Usa) e uno dei più autorevoli esperti della chimica degli odori corporei.
Quello che sappiamo con sicurezza è che ciascuno di noi ha una odorprint, una firma olfattiva, personale quanto un’impronta digitale, formata da almeno 200300 composti chimici, e determinata in parte dai geni. E che, nei vari gruppi umani, le firme hanno alcune caratteristiche in comune: le persone con origine estasiatica hanno per esempio profili olfattivi meno intensi rispetto alle persone di origine caucasica.
Da questa firma olfattiva i nostri simili possono ricavare numerose informazioni. Un uomo riesce a capire se una maglietta è stata indossata da un individuo del suo stesso sesso o del sesso opposto. Tutti saremmo più o meno in grado, se messi alla prova, di valutare dal suo odore se una persona è giovane o anziana. E perfino se si è appena ammalata. Inoltre è noto da tempo che tutti i neonati riescono a riconoscere la loro mamma dall’odore.
CONTRO L’AUTISMO. C’è ancora molta strada da fare per capire come funzioni la comunicazione attraverso gli odori corporei, ma queste ricerche suggeriscono la possibilità di usarli per favorire l’elaborazione di informazioni sociali ed emotive, per esempio possono essere utili nel trattamento dell’autismo, disturbo caratterizzato proprio da una capacità ridotta di percepire e comprendere gli stimoli sociali.
Gli esperti sanno che la visione inganna il cervello autistico, ma l’olfatto sembra potergli venire in aiuto. Valentina Parma, per esempio, in collaborazione con altri ricercatori dell’Università di Padova, ha dimostrato che l’odore familiare della mamma ha aiutato ragazzi autistici tra gli 8 e i 13 anni a imitare in modo automatico le azioni degli altri, cosa che di solito non riescono a fare spontaneamente. Un po’ come se l’odore, conosciuto e ritenuto positivo, trasmettesse una disponibilità al contatto.