Libero, 21 giugno 2017
Italiani, inventori senza memoria. Così trascuriamo i nostri creativi
Siamo un popolo di santi, poeti, navigatori. E anche di inventori. Innovatori. Ma siamo spesso anche un popolo senza memoria. Che non sa valorizzare al meglio ciò che crea. E ce ne dimentichiamo. Ci scordiamo non di Sant’Antonio, Leopardi, Cristoforo Colombo, ma del fatto che molte invenzioni e scoperte importanti abbiano origine e marchio di fabbrica nel genio italico.
Quanti sanno o si ricordano, ad esempio, che l’esistenza del vuoto in natura è stata scoperta e dimostrata nel 1644 da un allievo di Galileo Galilei, il matematico e fisico romano Evangelista Torricelli? E che i brevetti non hanno matrice anglosassone, come spesso si ritiene, ma sono nati nella Serenissima Repubblica di Venezia sul finire del 1400, con le prime leggi a tutela della proprietà intellettuale? Mentre il primo brevetto in assoluto può essere considerato quello riconosciuto nel 1421 a Filippo Brunelleschi, per avere ideato un nuovo e ingegnoso sistema per il trasporto dei marmi sulle imbarcazioni fluviali.
È lunga e variegata la lista di grandi innovatori e cervelli nostrani, dal 1200 a oggi, che spesso non fanno parte della nostra cultura, scientifica e scolastica.
I primi occhiali, al tempo definiti «oculi de vitro cum capsula», sono nati anch’essi nell’intraprendente territorio veneziano verso la fine del XIII Secolo. Non a caso, il convento domenicano di San Nicolò, a Treviso, conserva un ritratto del 1352 che è il primo quadro al mondo in cui compaiono degli occhiali. Seppure nella loro forma arcaica, vale a dire senza le stanghette. E forse non è un caso che proprio in Veneto, molti secoli dopo, si sia sviluppato il distretto di eccellenza dell’ottica italiana, e il colosso dell’occhialeria Luxottica. Segno che un’antica competenza e vocazione artigiana, in questo caso, non è andata dispersa.
L’elenco delle invenzioni e innovazioni con un’origine Made in Italy molto trascurata può continuare, ad esempio, con il pianoforte, ideato, e poi sperimentato, da Bartolomeo Cristofori, clavicembalista del Settecento. E quindi primo pianista della storia. Per poi passare alla matita, pensata per la prima volta, con la sua anima di grafite rivestita di legno, dai coniugi Simonio e Lyndiana Bernacotti. Fino a giorni più recenti, ad altre idee e intuizioni germogliate dalle nostre parti, come l’aliscafo, il libro tascabile, il copyright e il microchip. Fino all’Olivetti degli Anni ’80, in quel periodo un’azienda all’avanguardia nel settore dell’informatica e dei personal computer. E a Claudio Bordignon, genetista che 25 anni fa sperimentò in anteprima mondiale l’uso delle cellule staminali del sangue a scopi terapeutici. Dando avvio a ricerche e scoperte che oggi permettono di curare malattie ereditarie e i bambini con gravi immunodeficienze congenite.
Per ricordare, e ricordarci, i tanti casi di puro talento innovativo passati sotto traccia, Massimo Sideri, giornalista del Corriere della Sera e direttore del Festival dell’Innovazione Galileo di Padova, li ha raccolti nel libro La sindrome di Eustachio. Storia italiana delle scoperte dimenticate (Bompiani, pp. 176 pagine, euro 11).
Bartolomeo Eustachi è l’anatomista del Cinquecento scopritore del condotto tra orecchio e faringe che da lui prende il nome di tromba di Eustachio.
«Purtroppo, consegnatolo all’eternità dell’anatomia, tutti si sono dimenticati di lui. Il suo è solo uno dei casi rileva Sideri di un lungo Spoon River di innovatori dimenticati dalla propria stessa patria, dai libri in cui si studia, dai media che dovrebbero contribuire a formare e, infine, dal nostro orgoglio. Siamo innovatori, ma senza memoria. Viviamo questa anomalia culturale».
Un altro aspetto rilevante riguarda il fatto che, oggi come in passato, siamo dei grandi inventori, ma queste intuizioni non sappiamo poi valorizzarle e trasformarle in grandi risultati industriali. Un caso esemplare per tutti è quello del fiorentino Antonio Meucci, che scienziato non era, ma puro e geniale inventore. Una volta emigrato a New York, con mezzi di fortuna nel suo laboratorio ricavato nello scantinato di casa, creò attorno al 1860 i primi prototipi di telefono. Che venne però brevettato dall’americano Alexander Graham Bell, con cui l’abile Businessman fece una fortuna. Mentre Meucci morì defraudato della sua invenzione e in povertà. Il libro indica poi un’altra schiera di casi più o meno simili.
I frutti, in pratica, vengono spesso raccolti da altri e in altri Paesi. Siamo la patria non solo della fuga di cervelli, ma anche delle invenzioni.