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 2017  giugno 21 Mercoledì calendario

Strage di Brescia, l’ultimo verdetto. Ergastoli per le bombe dopo 43 anni

ROMA Adesso è una verità giudiziaria ufficiale e definitiva, confermata dalla sentenza della Cassazione pronunciata ieri a tarda sera: un ex capo del movimento neofascista fuorilegge Ordine nuovo e un ex informatore del Servizio segreto militare sono colpevoli della strage di Brescia. Il primo, Carlo Maria Maggi, «svolgendo funzioni organizzative e di direzione»; il secondo, Maurizio Tramonte, «partecipando alle riunioni in cui l’attentato veniva organizzato e offrendo la sua disponibilità a collocare l’ordigno». Era il 28 maggio 1974, Maggi aveva 40 anni e Tramonte 22, oggi sono un vecchio malandato e un signore in età da pensione. I due soli colpevoli per otto morti e oltre cento feriti.
Difficile definirlo un successo della giustizia. Eppure Manlio Milani, inesauribile motore dell’associazione familiari delle vittime, dice soddisfatto e un po’ commosso che si tratta di «una vittoria dello Stato sull’anti Stato». Perchè questo verdetto ora irrevocabile, giunto al termine di un lungo e travagliato processo che ha perso per strada altri pezzi (dal bombarolo pentito Carlo Digilio, morto 12 anni fa, all’ex ordinovista Zorzi assolto e da tempo emigrato in Giappone, e altri ancora), dice più della colpevolezza di due imputati superstiti. Ci consegna una storia più grande, di cui la responsabilità dei due condannati è solo un frammento; quasi un dettaglio, però molto significativo per quanto riguarda il movente della strage e la sua collocazione all’interno del disegno più grande. Quella «strategia della tensione» che ha condizionato un intero decennio dell’Italia repubblicana, e a piazza della Loggia ha avuto uno dei passaggi più significativi. Forse il più importante. «Il primo attentato ad essere qualificato giuridicamente come ‘strage politica’, e il peculiare contesto in cui viene realizzato non lascia adito a dubbi sulla connotazione e matrice», è scritto nella sentenza appena confermata. Un attentato che colpì una manifestazione antifascista, ma «maturato nell’identico ambiente incubatorio delle altre stragi che hanno caratterizzato la stagione delle bombe, tra il 1969 e il 1980», cioè piazza Fontana e la stazione di Bologna. Un disegno nel quale – secondo Vincenzo Vinciguerra, neofascista che per contestare e contrastare ciò che facevano i suoi camerati a braccetto con qualche rappresentante delle istituzioni realizzò una carneficina di carabinieri – hanno svolto un ruolo da protagonisti non solo i terroristi neri ma anche «strutture dello Stato che, attraverso gli apparati di sicurezza, hanno gestito gruppi e strumentalizzato ambienti politici di destra e di sinistra al fine di destabilizzare l’ordine pubblico per stabilizzare il potere politico».
Il verdetto definitivo sull’eccidio di piazza della Loggia conferma: gli attentati di quella stagione di sangue si inseriscono in un contesto di «spinte eversive accomunate dall’ obiettivo di ostacolare l’avanzata di forze innovative, sia in ambito politico che in ambito sociale». E le connivenze fra attentatori e apparati dello Stato sono dimostrate dai depistaggi che hanno ostacolato indagini e processi. Compresi quelli per la strage di Brescia: in totale 5 istruttorie e 13 dibattimenti, con prevalenza di proscioglimenti e assoluzioni. Ma un motivo c’era, ed è scritto nell’ultima sentenza.
«Lo studio dello sterminato numero di atti che compongono il fascicolo dibattimentale – si legge nella motivazione – porta ad affermare che anche questo processo è emblematico dell’opera sotterranea portata avanti con pervicacia da un coacervo di forze individuabili ormai con certezza in una parte non irrilevante degli apparati di sicurezza dello Stato, nelle centrali occulte di potere, dai Servizi americani alla P2, che hanno prima incoraggiato e supportato lo sviluppo dei progetti eversivi della destra estrema e poi hanno sviato l’intervento della magistratura rendendo di fatto impossibile la ricostruzione dell’intera rete di responsabilità».
Parole da ieri incancellabili, insieme al rammarico che a rispondere della strage siano rimasti solo un ideologo ultraottuagenario e malato insieme a una piccola pedina; «mentre altri, parimenti responsabili, hanno da tempo lasciato questo mondo o anche solo questo Paese, ponendo una pietra tombale sui troppi intrecci che hanno connotato la malavita, anche istituzionale, all’epoca delle bombe».