la Repubblica, 21 giugno 2017
Il compromesso di Berlusconi
L’esito del voto in Senato sulla Consip ha un evidente significato politico. La maggioranza, ossia il Pd, ha tenuto grazie al soccorso di un manipolo di senatori di Forza Italia e di Ala, il gruppo di Verdini. Ne deriva una fotografia illuminante, soprattutto in vista di un domani – la nuova legislatura – che si annuncia fragile e carico di incognite. In altre parole, si capisce la determinazione con cui Silvio Berlusconi rigetta l’ipotesi di un accordo elettorale con la Lega. La sua tenacia è proporzionale alla volontà di mantenere e rafforzare nel prossimo Parlamento il rapporto con Matteo Renzi. Un asse centrista tra Forza Italia come espressione del Partito popolare europeo e il Pd modellato dal suo leader a propria immagine. Nella speranza che questo binomio sia sufficiente a garantire un equilibrio.
Ieri sulla Stampa Ugo Magri ha descritto l’ostinazione con cui Berlusconi si adopera per ottenere dalla Corte dei diritti umani di Strasburgo la possibilità di ricandidarsi. Anche a costo di farlo “con riserva” ovvero drammatizzando la situazione se la candidatura gli fosse preclusa. Il fondatore di Forza Italia è un maestro nel farsi passare per vittima di un sopruso quando gli conviene. E in questo caso avremmo un ex presidente del Consiglio, capo dell’opposizione, a cui si vieta di tornare in Parlamento: sarebbe un buon argomento per una campagna elettorale giocata sulle note della nostalgia e sul richiamo personale ed emotivo che Berlusconi ancora esercita su un segmento di elettorato.
Ovvio che su questo terreno Salvini è più un ostacolo che un vantaggio. Con le sue posizioni nazionaliste ed euro-scettiche il capo della Lega è molto lontano da un Berlusconi la cui linea sull’Europa è oggi sovrapponibile a quella di Tajani, ortodosso e filo-tedesco presidente del Parlamento dell’Unione. Si dirà che in politica le contraddizioni si coprono in un attimo quando c’è interesse a farlo. Ma stavolta l’interesse di Berlusconi consiste nell’esaltare le differenze, non certo nell’attenuarle. Se vuole giocare un ruolo nei prossimi due o tre anni, l’anziano leader del centrodestra deve tentare di riaccreditarsi negli ambienti moderati continentali, ossia l’area in cui è egemone Angela Merkel. A tal fine il “lepenista” Salvini è del tutto controproducente, a meno che non accetti una piena e totale subordinazione a Forza Italia, il che è irrealistico. Di certo Berlusconi non può ammettere che l’opinione pubblica si convinca che esiste un duopolio al vertice del centrodestra. Un duopolio in cui l’impetuoso leghista, con il suo linguaggio perentorio e la sua linea priva di mediazioni, rischierebbe di essere percepito come l’elemento trainante. Altro discorso merita Giorgia Meloni, alla quale l’ex premier dedica sempre parole di simpatia. La giovane romana è titolare di un 4,5-4,8 per cento nelle intenzioni di voto e potrebbe forse essere recuperata a un’intesa con Forza Italia in qualità di ala destra di un partito che guarda al centro.
Non è chiaro a quale percentuale punti realisticamente Forza Italia. Al di là delle smargiassate, un 18 per cento sarebbe un risultato di rilievo. Vorrebbe dire, fra l’altro, che Renzi non è riuscito a conquistare molti consensi nell’area berlusconiana. Di conseguenza, il rapporto fra i due sarebbe obbligato. Con Forza Italia solida abbastanza per porre condizioni. E Renzi forse condizionato da una partita a sinistra che al momento non è chiusa e chissà se lo sarà quando andremo a votare.
Alla vigilia delle ferie estive, il bilancio politico di Berlusconi è tutt’altro che negativo. Di nuovo al crocevia dei giochi politici, rimesso in campo dalle manovre sulla riforma elettorale che hanno danneggiato Renzi e Grillo, ma non Forza Italia. Certo, al Nord l’alleanza con la Lega conserva un peso a cui non si può rinunciare a cuor leggero. Domenica i ballottaggi nelle città potrebbero dimostrare che il centrodestra vince quando è unito. E infatti sono tanti i parlamentari di Forza Italia nordisti le cui speranze di rielezione sono affidate, di qui al 2018, a una qualche intesa con Salvini. Ma se la strategia di Berlusconi non è lo scontro finale con il Pd renziano, bensì una forma di compromesso permanente, la lista solitaria ha un senso. Soprattutto con un sistema elettorale che è ormai proporzionale.