la Repubblica, 21 giugno 2017
La sindaca spiazzata dai pm. «Mi aspettavo un solo reato In un anno invecchiata di 10»
ROMA Era nell’aria. Da giorni Virginia Raggi aveva ricominciato a parlarne: con gli avvocati e gli uomini dello staff in Campidoglio. Sapeva che l’atto di chiusura indagini era «questione di poco». Solo non si aspettava questa accelerazione.
Nelle ultime 72 ore, ragionando con i collaboratori, la sindaca aveva calcolato che la Procura si sarebbe sì mossa, ma dopo i ballottaggi, «per non turbare le operazioni di voto». Perciò quando ieri mattina il difensore Alessandro Mancori l’ha chiamata per comunicarle la novità, lei un po’ ci è rimasta male.
Oltre all’ansia per gli eventuali danni arrecati al Movimento sotto elezioni, soprattutto due cose l’hanno turbata: non solo la notifica anticipata rispetto alla sua tabella di marcia ideale, a sorprenderla è stata la mancata archiviazione per l’abuso d’ufficio sulla nomina dell’ex capo segreteria Salvatore Romeo.
Raggi era ovviamente al corrente dell’indagine, tante domande le erano state poste a riguardo durante il drammatico interrogatorio del 2 febbraio, ma era convinta di aver «chiarito tutto». Di aver offerto «prove sufficienti» ad evitare il processo. E invece i pm hanno deciso di procedere pure su questo, oltre che per il falso relativo alla promozione di Renato Marra, fratello dell’allora capo del Personale.
Una circostanza che inquieta non poco la sindaca. E anche i suoi legali. Incontrati al mattino in Campidoglio per definire la strategia difensiva. Che prevede, innanzitutto, di scoprire le carte dell’accusa. «Prima di decidere cosa fare dobbiamo vedere il fascicolo», le dice infatti l’avvocato Mancori, «dopodiché stabiliremo se depositare la nostra memoria oppure no. Dobbiamo capire bene cosa hanno in mano loro». Cioè i pm. Un colloquio che tradisce un timore: che fra quei documenti ci sia qualcosa di inedito, di compromettente, non ancora venuto fuori. Tale da corroborare in giudizio l’ipotesi di aver favorito il suo capo segreteria, il fedelissimo che “Virginia” incontrava sui tetti «per sfuggire alle cimici piazzate dentro il palazzo», ammise a suo tempo lo stesso Romeo.
Soprattutto di questo parla Raggi con i due tutor, Alfonso Bonafede e Riccardo Fraccaro, accorsi a palazzo Senatorio per mettere a punto una controffensiva, anche mediatica. Gli ufficiali di collegamento con i vertici del Movimento, Grillo e Casaleggio, che l’hanno già blindata con la svolta garantista impressa al Codice etico «e continueranno a farlo», le giurano i due parlamentari, purché però si dia una mossa. Perché il garante – le spiegano i dioscuri – più che dalle inchieste, è infastidito dalla palude romana, dall’immobilismo dell’amministrazione comunale. Anche se pure fare una campagna elettorale per il governo nazionale con la sindaca della capitale sotto processo, non è proprio l’ideale.
L’ultimo dei pensieri di Raggi, in questo momento. Dopo aver ricevuto i reali d’Olanda, con tanto di selfie sul balconcino con vista Fori, si chiude nel suo studio – insieme al capo della comunicazione Rocco Casalino – per preparare l’intervista serale con Bianca Berlinguer su Rai3. Il vice Luca Bergamo spedito sul fronte dei cronisti per rassicurare le truppe: «Ovviamente, andiamo avanti tutti», taglia corto il numero due. «La sindaca è tranquilla, non c’è nulla di particolarmente inatteso». L’ossatura della narrazione da proporre al grande pubblico: finirà tutto in una bolla di sapone. Ma tra i consiglieri di maggioranza qualcuno trema: «Speriamo sia così», ragionano nelle chat, «il codice etico ha alzato l’asticella e ora Virginia non deve più dimettersi neanche se la rinviano a giudizio, ma se la condannano sarà inevitabile. E se cade lei andiamo a casa tutti».
La linea è stabilita. Raggi va in tv a ribadirla. Dopo aver ammesso «di essere invecchiata di 10 anni in un anno» e di aver «perso la mia vita privata» da quando è sindaca, replica netta alla domanda se intende dimettersi in caso di rinvio a giudizio: «Mi atterrò al codice etico». Tanto più che «non stiamo parlando del fatto che io abbia rubato soldi o abbia corrotto», precisa. «Parliamo di una firma su un documento e di una nomina, che ho fatto seguendo una procedura già applicata in anni precedenti e mai stata contestata». E pazienza se l’ex assessora Paola Muraro, costretta a lasciare in seguito a un avviso di garanzia, denunci il doppiopesismo grillino: «Io mi sono dimessa, poi però il M5S ha cambiato pelle». Per l’inquilina del Campidoglio, quella è un’altra storia. La sua, è convinta, avrà un lieto fine. «Spiegherò e durerò 5 anni».