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 2017  giugno 19 Lunedì calendario

Rana: «La fabbrica hi-tech del tortellino con brevetti segreti come alla Nas»

Le vending machine, l’invasione dei biker del cibo come Uber Eats, Foodora, Deliveroo& co. Il mondo del food è investito dalla rottura tecnologica, come tutto il resto dell’economia. Ma le black factory, dove comanda la tecnologia e le persone scompaiono, finiscono a San Giovanni Lupatoto, nel veronese, dove sorge il quartier generale del Gruppo Rana. Entrare in questa fabbrica è privilegio per pochi. Bisogna consegnare tutto, effetti personali, cellulare, macchina fotografica. Quello che c’è dietro il regno del tortellino è top secret. In questo stabilimento, ci sono macchine che esistono solo qui. Gian Luca Rana, ceo del gruppo, le ha disegnate di suo pugno, ha creato una divisione mettendoci dentro ingegneri in grado di progettargliele. Ha chiesto ad aziende dell’automotive, del settore della carta di produrre ad hoc i componenti che servivano. «Sono macchinari tutti coperti da brevetto», dice. Come alla Nasa. Nel percorso si incontrano enormi grattugie che dividono pecorino e parmigiano dalla scorza e ne sbriciolano a quintali, una padella gigantesca dove si appassisce la cipolla e si cuociono i porcini sfumandoli con il vino bianco, una sorta di maxi Bimbi che mescola i ripieni. Alla fine delle linee, prima di entrare nell’area protetta del confezionamento c’è una pentola che bolle. «Ogni 15 minuti cuciniamo i tortellini prima che vengano chiusi – dice Rana – Dobbiamo sapere come sono». Tanta tecnologia ma sono le persone, parola che Rana ripete ossessivamente, ad aver fatto del suo gruppo quello che è. Persone che chiama e che lo chiamano tutte per nome. «Sono loro che gestiscono la complessità di un gruppo che crea oltre 300 tipologie di prodotti differenti. Freschi. Noi produciamo oggi per domani e nell’arco della stessa giornata possiamo avere improvvisi cambi. Le macchine devono essere switchate, e una linea che faceva una cosa deve all’istante mettersi a fare altro». Per comprendere le dimensioni della complessità di gestire la supply chain di un gruppo che produce ed esporta pasta fresca in 38 paesi nel mondo, con una gamma di sapori vastissima, basta un numero: 5mila chilogrammi all’ora. Questa è la capacità produttiva di una sola linea. Dentro alla fabbrica Rana nulla è già preparato. Tutto è fatto al momento. Il prodotto viene realizzato dalla materia prima. Prima dell’accesso alle linee si controllano tutti gli ingredienti, vengono assaggiati formaggi, prosciutti, mostarde che verranno inseriti nel ripieno. «Una macchina può darmi l’analisi qua-litativa, le proprietà chimiche di un cibo, ma il sapore, il giusto punto di stagionatura di un gorgonzola, la dolcezza di una mostarda, la delicatezza di una burrata la riconosce solo una persona. Perché i nostri ripieni devono avere sempre lo stesso sapore», spiega. È così che Rana ha conquistato l’Europa e gli Stati Uniti e si appresta a prendersi altri paesi. Ora sta lavorando per ampliare la gamma dei prodotti pronti, dopo tutte le rivoluzioni di gusto che ha portato nel mondo della pasta fresca. Ma dietro agli oltre 550 milioni di fatturato, dipendenti quintuplicati in dieci anni, da circa 600 ai 3500 di oggi, c’è altro. Una famiglia, prima di tutto. Non solo il noto volto televisivo di Giovanni Rana e il suo talento per la pasta fresca, ma l’intuizione, la tenacia e la passione di suo figlio Gian Luca: schivo e riservato, un low profile indossato come un completo elegante di ordinanza; una vita divisa tra Verona, New York e Chicago. Gian Luca la passione per la cucina l’ha ereditata. Il talento per il business lo ha coltivato. «La conquista dell’estero è iniziata con una improvvida campagna. Una mia iniziativa. Dopo aver collezionato una serie di sconfitte – racconta – davanti al mio ultimo cliente dissi: non ti chiedo di comprare i miei prodotti. Fammi venire a casa tua, cucino io, se quello che mangerai ti piacerà deciderai». Da allora questa è diventata una formula, un format: “Mi-da-ti” l’hanno chiamato. «In veneto significa io da te a cena. Io e i miei manager cuciniamo i nostri prodotti. Così ci hanno scelto e così continuiamo a fare». Grande motivatore della sua squadra, da giovane imprenditore, in meno di dieci anni, ha lanciato il guanto di sfida al concorrente Buitoni (di proprietà della Nestlé) rubandogli in tempi brevissimi lo scettro in Europa. È colui che ha sfidato un mercato complicato come gli Stati Uniti tornando vittorioso in quattro anni. Ma è rimasto in fondo un ragazzo di San Giovanni (il piccolo centro del veronese) che ha un grande amore per la cucina e per le cose fatte bene. «Qui in Rana, lo siamo un po’ tutti in realtà», conferma Gian Luca. Quello che a 18 anni, figlio del titolare di un’azienda che fatturava 25 miliardi di lire, il padre ha messo a fare i turni in stabilimento. «Dalle cinque all’una per fare gli impasti e poi dall’una alle nove con un vecchio furgonie 238 Fiat andavo a consegnare i tortellini al Lago di Garda». Gli studi all’estero, la cultura manageriale sono stati solo attrezzi per costruire questa azienda speciale. Ma prima della ricerca e sviluppo, il marketing, i numeri, ci sono le persone. I più fidati manager che gli stanno accanto lavorano con lui da 25 anni. Li ha scelti lui. «Il direttore di tutti gli stabilimenti (quello che lo slang chiama Coo) è Alberto Venturini, ha iniziato registrando le fatture. Ho chiesto qualcuno che mi aiutasse, mi hanno mandato lui. Se non sapeva fare una cosa, se la inventava la soluzione». Matteo Bertolaso, capo dell’R&D, la divisione che crea le diverse ricette Rana, è stato un altro talento scovato così. «Siamo stati a pesca – dice – e lui ha cucinato un lavarello. Si sentiva l’aroma del rosmarino, ma sul pesce non c’era. Lo aveva messo nell’olio del condimento, così la carne non diventa amara, mi aveva spiegato. Ecco, non credo che due così li avrei potuti comprare al mercato degli head hunter».