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 2017  giugno 20 Martedì calendario

Il mondo umile di Andrea Dovizioso: «Io, mia figlia e i cartoni animati. Rossi non è più un’ossessione»

FORLÌ Gli striscioni appesi al cancello di casa stanno già scolorendo al sole, ma dopo il trionfo di Barcellona le parole restano: “Te lo meriti. Per l’umiltà, per aver lottato sempre”. Firmato: “Gli amici del paese”. Tutto intorno, il silenzio e la tranquillità semplice della campagna romagnola, così diversa dal chiasso luccicante della riviera. Benvenuti da Andrea Dovizioso, 2 vittorie consecutive in MotoGp con la Ducati Gp17, secondo in classifica e candidato al titolo. Un uomo normale che fa cose eccezionali: tipo rischiare la vita ogni giorno, a 350 all’ora. E l’esatto contrario, lontano dalla pista. «Sono appena tornato dal mercato: vanno bene due spaghetti con un sugo di pesce?». Cucina lui.
Andrea ha 31 anni, ne aveva 4 quando papà Antonio lo fece salire su un Malaguti rosso che è ancora in garage insieme alla minimoto del primo campionato italiano del ’97. Ha vinto un mondiale in 125 nel 2004 su una Honda. Coi risparmi, niente fuoriserie o appartamento a Montecarlo: nel 2009 ha costruito questa villetta divisa in 3, «per sistemare anche la mamma e mia sorella Valentina». E poco dopo ha avuto una bambina. Sara, oggi 7 anni. «Io e sua madre, Denise, non stiamo più insieme da tanto. Ma c’è un buon rapporto. Quando non sono fuori per le gare o i test, la piccola sta con me. Anche se il tempo non è mai abbastanza». Sveglia alle 7, per portarla a scuola. «Va alle elementari qui vicino, le stesse che frequentavo io». Il pomeriggio bisogna portarla in palestra. «Ginnastica artistica». La sera, i compiti. «L’aiuto con l’inglese, anche se in grammatica non sono un campione». Prepara la cena. «Guardiamo un po’ di cartoni animati, e a letto presto». Ma Sara lo sa, di aver un padre eccezionale? «Credo sia contenta quando vede che c’è tanta attenzione intorno a me, e i genitori delle sue compagne mi fermano per chiedermi dell’ultima gara. Paura? No, non si rende conto di quanto siano pericolose le corse. Nemmeno io, del resto: altrimenti non sarei qui». Strana storia, per un pilota famoso. «Lontano dai circuiti la mia è una vita normalissima. Anche quando arriva il successo, uno cambia solo se vuole cambiare. Altrimenti resta come è sempre stato. Io sono così, solo che con Sara mi devo organizzare bene con gli orari, per potermi allenare bene». Per fortuna c’è Alessandra Rossi, la – bellissima – fidanzata. «Mi aiuta in tutto. Anzi, se è d’accordo le facciamo preparare il pranzo e io parlo un po’».
Si apre una porta-finestra, all’interno di una stanza c’è una signora che sta passando lo straccio per terra. Sorride. «Vi presento Anna, mia madre». Perché stupirsi? Dovizioso dice che secondo la sua famiglia sarebbe “inconcepibile” che altri facessero le pulizie domestiche. «Me ne sono sempre occupato io, ora per la nostra parte di casa ci pensa Alessandra». Racconta di un’infanzia felice, ma non facile. «I miei genitori imbottivano e mettevano le cinghie ai divani. Non guadagnavano molto, spesso si doveva cambiare abitazione. Il periodo più bello l’ho passato quando avevo 2 anni, in una casa di Panighina, sulla via Emilia, sotto Bertinoro. Mio padre aveva costruito accanto una piccola pista di motocross». Poi la crisi del settore mobili, il fallimento di alcune aziende, i genitori che si separano. «Sono rimasto con Valentina e mia madre, costretta a un doppio lavoro per mantenerci, a vivere in un piccolo appartamento del centro. Ma andavo forte in moto, verso i 16 anni ho cominciato a provvedere io alla famiglia».
Il rifugio dell’uomo normale dovrebbe essere il garage. In quello di Dovizioso ci sono un calciobalilla, una decina di tute appese, una moto e una bici da cross, una Panigale, le minimoto dell’infanzia. Una bandiera della Honda, riempita dagli ideogrammi e le firme di tanti ingegneri. «I giapponesi. C’è ancora un buon rapporto anche con loro». Andrea ha un buon rapporto con tutti, basta vedere quanti sinceri complimenti gli sono arrivati dal paddock in queste settimane d’oro. Il più amato dei piloti. Pure il grande pubblico ha cominciato ad innamorarsi. «Mi fanno piacere le attenzioni dei tifosi. E sono contento quando mi fermano per un selfie. Però preferirei scambiare due parole, piuttosto che fare una foto e via. A volte temo che le persone perdano del tempo prezioso solo per far vedere agli altri – attraverso i social – che fanno qualcosa di “figo”, senza approfondire le relazioni. Ma naturalmente il mio è un punto di vista privilegiato». Giura che è dal 2011, che non legge articoli che lo riguardano. «Stavo troppo male: salivo sul podio, e i giornali parlavano solo di Rossi. Ho imparato a non preoccuparmi più del giudizio degli altri. E vivo molto meglio».
Nel cortile di solito è posteggiato il motorhome del Dovi, che non è mica una di quelle cattedrali a 4 ruote: «È un grosso camper. Quelli della Irta insistono: fattene uno come gli altri, altrimenti li metti in difficoltà. Ma a me basta». Arriva un furgone: lo guida papà Antonio. Giusto in tempo per il caffè. «Andiamo a fare motocross?», dice al figlio con un ghigno di sfida. «Sta solo aspettando che compia 40 anni per poter correre contro di me, nella categoria veterani. È talmente fissato da non rendersi conto che a quel tempo lui ne avrà 70», se la ride Andrea. Da domani sera sarà ad Assen: il gran premio di domenica potrebbe essere decisivo nella corsa al mondiale. «Non ci penso, al titolo. Continuo a lottare, come sempre». Con eccezionale normalità. Con umiltà, come scrivono quelli del paese.