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 2017  giugno 20 Martedì calendario

La prudenza politica di Marrazzo nel reportage sul Medio Oriente

«Sei giorni, mille guerre» è il titolo del reportage che Piero Marrazzo, corrispondente della Rai per il Medio Oriente, ha realizzato per Speciale Tg1 (sabato, 23.30).
In tutta sincerità, mi aspettavo qualcosa di più approfondito e non il solito compitino fatto di interviste – un colpo al cerchio e uno alla botte —, della classica prudenza di chi o non si vuol sbilanciare o non conosce bene i fatti e la posta in gioco.
Sembrava un servizio allestito più da un politico che da un giornalista (del resto, come molti ricorderanno, Marrazzo è stato governatore della Regione Lazio e, finito il mandato, è tornato in Rai). Nel 1967 Israele vinse la guerra semplicemente per continuare ad esistere, per non essere cancellato dalla faccia della Terra.
Come ha ricordato Giulio Meotti: «L’Egitto, già alleato militare della Siria, strinse un patto militare d’emergenza con la Giordania, l’Iraq, l’Algeria, l’Arabia Saudita, il Sudan, la Tunisia, la Libia e il Marocco, i quali cominciarono a inviare contingenti militari per partecipare al combattimento imminente. Mentre truppe e blindati andavano ammassandosi su tutte le frontiere d’Israele, le trasmissioni radio e televisive da ogni capitale araba annunciavano giubilanti l’imminente guerra finale per lo sterminio d’Israele. “Distruggeremo Israele e i suoi abitanti”, proclamava l’allora capo dell’Olp Ahmed Shuqayri».
L’operazione Moked («Focus») segnò l’inizio della Guerra dei Sei Giorni, cinquant’anni fa: forse il più spettacolare Blitzkrieg della storia, nel corso del quale un Paese minacciato d’estinzione da un fronte più o meno compatto dei Paesi arabi si ritrovò per le mani una vittoria schiacciante e un territorio quattro volte più grande, benché fatto in larga maggioranza di sabbia e sassi del deserto del Sinai.
Il dopo dipende tutto da quei sei giorni, l’alternativa sarebbe stato un altro genocidio.