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 2017  giugno 20 Martedì calendario

Le casse dei professionisti in rosso perché investono troppo sul mattone

Due milioni di italiani, tra lavoratori e pensionati, iscritti alle 22 Casse di previdenza private, che ne amministrano 73 miliardi di risparmio pensionistico, sono nelle mani di chissà chi. È la denuncia di Roberta Lombardi, la deputata Cinquestelle che della riforma delle Casse ha fatto una propria bandiera politica e che in un’intervista di pochi giorni fa ad Affari Italiani ha rilanciato la sua idea: accorpare la gestione delle Casse in un’unica struttura o almeno, in alternativa, in diverse aree di competenza soggette però a obblighi di trasparenza ben più stringenti di quelli attuali: «Occorre andare verso una riduzione di poltrone di consiglieri d’amministrazione e sindaci, perché in questi anni non hanno ben amministrato e controllato. Meglio pochi ma buoni», dice la grillina. Che ridà fuoco alle polveri di una situazione carsicamente critica, oggetto in molti casi del lavoro di varie Procure. 
Bersagli ricorrenti delle critiche della Lombardi, l’Enasarco e l’Inpgi, ma anche l’Enpam. Comun denominatore, la scarsa trasparenza nelle scelte dei gestori e quindi nelle strategie e negli esiti degli investimenti. Con un problema in più: gli enti previdenziali restano molto “investiti” in immobili, anzi troppo, nonostante la raccomandazione di uno dei due ministeri vigilanti, quello dell’Economia sfociata in una bozza di decreto di imminente varo che prescrive di ridurre entro il 30% del patrimonio totale gli investimenti in immobili. 
Disfarsi degli immobili non è facile, quando sono affittati. E ne sa qualcosa l’Inpgi, i cui inquilini protestano quando si vedono chiedere di comprare o andarsene. Ma è difficile anche perché le connection tra chi nelle Casse decide a chi affidare la gestione degli immobili e i gestori due caste sono molte, ramificate, potenzialmente inquinate, come tanti episodi hanno dimostrato. 
Non a caso, proprio la Lombardi ha presentato un esposto alla Procura per denunciare le «pesanti irregolarità» rilevate «attraverso lo studio dei bilanci e dei documenti contabili», di varie Casse. Senza che la Covip, la commissione per la vigilanza sugli istituti previdenziali, abbia «strumenti coercitivi e sanzionatori per pretendere dalle casse gli schemi degli accordi tra queste e le Società di gestione del risparmio cui si affidano». 
Il nervo più scoperto è sempre quello dell’Enasarco, dopo la denuncia di tre anni fa da parte dell’ex vicepresidente, poi dimissionario, Andrea Pozzi, circa una serie di opacità gestionali e in particolare circa il rapporto con il gruppo finanziario Gwm, che è tuttora tra i gestori patrimoniali dell’ente per scelta dell’allora presidente (e tuttora consigliere, ancorchè di minoranza) Brunetto Boco. 
Ma anche l’Enpam lascia perplessi gli analisti per alcune operazioni troppo spinte proprio sull’immobiliare, nonostante l’ente abbia addirittura ricevuto dei premi privati per la diversificazione del portafoglio. Con i suoi 5 miliardi di investimenti diretti e indiretti nell’immobiliare l’Enpam ha scommesso forte sul mattone. Acquistando ad esempio, per ben 245,7 milioni di euro, il 50% di un immobile a Londra il Principal Place dove sta predendo sede Amazon. Bene, peccato che l’acqisizione sia stata firmata prima del referendum sulla Brexit e quindi i valori in gioco siano inquinati dal cambio sfavorevole. Regista dell’operazione era stato Ofer Arbib, uomo d’affari italo-israeliano, cugino di Daniel Buaron, celebre immobiliarista italiano, inventore sempre per Enpam della Antirion Sgr che gestisce tre fondi immobiliari: Antirion Global (due comparti: core e hotel) e Antirion Aesculapius. Ed è proprio Antirion Global che ha incrementato pre-Brexit il suo portafoglio con il palazzo londinese. Ma il rapporto Enpam-Aibib resta blindato al punto che il finanziere starebbe per strappare a Idea Fimit la gestione del Fondo immobiliare più ricco di Enpam, Ippocrate, con un patrimonio di circa 2 miliardi e un portafoglio di 21 palazzi destinati ad uffici tra Lazio e Nord Italia. Per Idea Fimit sarebbe una batosta. Ex fund-manager di Ippocrate, ironia della sorte, è proprio il cugino di Arbib, Buaron. 
Per carità, a far impallidire queste coincidenze c’è il buon bilancio 2016 di Enpam, che ha registrato una crescita del 7,2% del patrimonio netto a 18,4 miliardi e un utile record superiore a 1,3 miliardi. Ma resta il vizietto del troppo mattone e la grande dipendenza dagli stessi personaggi-chiave. Che è un po’ lo stesso inghippo di Enasarco: nonostante l’ex presidente Boco sia isolato in consiglio, nonostante il direttore finanziario Roberto Lamonica sia stato licenziato per aver assunto iniziative senza l’autorizzazione del Cda, le scelte gestionali sembrano ancora ispirate dai due. Per esempio il rapporto con Gwm, che amministra 780 milioni della Fondazione con una commissione dell’1,5%, il quadruplo della media del mercato delle Sgr (Fimit o Coima applicano commissioni intorno allo 0,3%). Tenuto conto che il contratto in essere scade fra 27 anni, Enasarco dovrà sborsare di sole commissioni ben 300 milioni, circa 12 milioni ogni anno. 
La liason Boco-Gwm risale peraltro al 2012, quando il primo affidò senza gara al secondo 1,4 miliardi di investimento alla Sgr che faceva capo a Sigieri Diaz della Vittoria Pallavicini, e per il 20% a Massimo Caputi. Proprio tra i prodotto di Gwn c’era l’obbligazione strutturata Anthracite da 780 milioni, garantita si fa per dire dalla fallita Leheman Brothers. La durata (e le profumate commissioni) del contratto con Gmw nascono dal fatto che come garanzie collaterali Enasarco ottenne un Btp a scadenza 2039 durata che indusse a stipulare il contratto di gestione fino alla stessa scadenza che però a un certo punto Gmw ha venduto per guadagnarci il massimo e rimborsare perdite sui titolispazzatura per 500 milioni: bene, peccato che siano stati comunque assai meno del valore nominale degli investimenti rischiosi di Anthracite. Che per la parte restante sono scoperti dalla solida garanzia di quei Btp. Mentre la super-durata del contratto non è stata revocata. 
È il tipico genere di “connection” che ricorre tra successi e rovesci in molte, troppe vicende gestionali delle Casse. Contro le quali i grillini sono all’attacco.