Il Sole 24 Ore, 20 giugno 2017
L’Argentina lancia un titolo a 100 anni. Nuovo test per misurare la ritrovata credibilità del Paese sudamericano tra gli investitori
A sedici anni dal maxi-default del 2001 e dopo un isolamento dal mercato dei capitali internazionali che durava da 10 anni l’Argentina è tornata a emettere bond. Nell’ultimo anno il Paese ha raccolto circa 16 miliardi di nuovo debito e ieri ha fatto un’emissione fino a qualche mese fa considerata impensabile: un’obbligazione con scadenza di 100 anni. Un «Matusalem bond» denominato in dollari che è stato venduto tramite un sindacato di banche con la promessa di una cedola del 7,9 per cento. Irrisoria considerata la storia creditizia del Paese sudamericano.
Non è ancora chiaro quanto il mercato abbia risposto all’offerta del Paese sudamericano che da molti osservatori è stata giudicata forse troppo prematura. Di certo sarà un test interessante per misurare la ritrovata credibilità del Paese sudamericano che, con il nuovo presidente pro-business Mauricio Macrì, lo scorso anno ha chiuso l’annosa disputa con i creditori sul maxi-default del 2001. Il fatto che un Paese come l’Argentina possa permettersi di collocare un bond centennale è in ogni caso indicativo di come in questi anni sia cambiato il clima sugli emergenti. Se tra il 2014 e il 2015 queste economie hanno sperimentato una pesantissima fuga di capitali, dovuta principalmente al crollo delle materie prime, al rallentamento della Cina e alla politica monetaria della Fed, da un anno e mezzo a questa parte i capitali stanno tornando ad affluire.
I fondi equity emergenti – segnala Epfr Global – da inizio anno hanno raccolto 30,4 miliardi di dollari di flussi netti. Quelli obbligazionari 36. Questi ultimi hanno registrato una crescita decisamente migliore del totale della masse gestite: +11 per cento. Secondo una stima dell’IIF (Istitute for international Finance) basata sui numeri dei primi mesi i Paesi emergenti quest’anno attrarranno quasi mille miliardi di capitali esteri. Il 35% in più del 2016.
Come mai tutta questa euforia? E poi perché la stretta sui tassi di interesse della Fed, evento che in genere si accompagna a forti turbolenze sul segmento emergente, per il momento non sembra penalizzare troppo questa classe di investimento? Partiamo da quest’ultimo punto per dire che è vero che le mosse della Fed in genere influenzano molto l’andamento di bond, Borse e valute emergenti (si pensi alle turbolenze che scatenò nel 2013 l’annuncio del “tapering” della Fed). Ma anche che ciò avviene soprattutto in conseguenza dell’aumento dei rendimenti dei titoli di Stato americani (punto di riferimento del mercato obbligazionario mondiale) e del rafforzamento del dollaro. Circostanze queste che non si sono verificate visto che, da inizio anno, il dollaro si è svalutato del 3,4% rispetto alle sue maggiori controparti, le valute emergenti si sono rafforzate (+6,1% il rialzo dell’indice Msci EM Currency) e i tassi dei Treasury sono scesi. Se poi si tiene conto che il tanto atteso ritorno dell’inflazione non si è verificato e che il mercato è tornato in questi mesi a posizionarsi con decisione sul reddito fisso si capisce anche il motivo del successo dei bond emergenti che, in un contesto generale di rendimenti bassi, offrono remunerazioni più invitanti. Oltretutto il contesto macro è migliorato grazie alla ripresa delle materie prime e della Cina. Il fatto che il terremoto del 2014-2015 non abbia sortito gli effetti nefasti che in molti avevano paventato è oltretutto una prova della capacità di aziende e Paesi emergenti di reggere bene agli shock esterni. Hanno insomma passato uno stress test vero e questo, per molti investitori, è un buon motivo per avere fiducia.