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 1977  luglio 09 Sabato calendario

Il Paradiso dei veleni

L’erba di luglio non è mai stata così verde, i fiori così splendenti, gli asparagi coltivati negli orti avvelenati così saporiti; le ciliegie nutrite di diossina, particolarmente sode, se le sono mangiate anche i militari che sorvegliano la recinzione di filo spinato e di plastica gialla delle zone che un anno fa erano le più inquinate: peccato che adesso in certi quartieri di rispetto, o addirittura sicuri, l’inquinamento è anche più alto. Nei morti squarci di deserto grigio, da cui la bonifica ha strappato 200 mila tonnellate di terra e 8000 metri cubi di fogliame contagiati, i conigli selvatici e i gatti randagi si moltiplicano: sugli alberi infetti, ma non abbastanza per essere subito abbattuti, cinguettano gli uccelli. I fiocchi rosa e azzurri segnano i cancelli, i balconi, delle case dove sono nati bambini attesi con angoscia o rabbia e che appaiono belli, intatti. Da gennaio a maggio a Seveso ne sono nati settantuno; 114 a Meda, 138 a Cesano Maderno, 163 a Desio, gli altri paesi su cui un anno fa si è abbattuta la nuvola di veleno (1).
Seveso e questa Brianza vivono così. Il conflitto desolato e umiliato contro il mondo degli altri, i non inquinati. «Io faccio il cuoco in una grande mensa di Cèrnusco e tutto il giorno gli porto carne e verdura comprata qui, così vedono anche loro che non c’è pericolo». Con la rivalsa degli untori: «L’anno scorso in certe pensioni di villeggiatura non ci volevano e adesso ci siamo comprati la roulotte, così non gli diamo più i nostri soldi». Con l’ansia di spezzare l’isolamento: «Domenica siamo andati con la banda a Galdino: abbiamo scelto i suonatori più giovani e belli, gli abbiamo fatto la divisa nuova, ci hanno fatto grandi feste».
La gente combatte una guerra sempre più irrazionale e disperata contro «l’autorità», che del resto ha fatto molto per provocare la sfiducia e il rancore. Non è con la Givaudan che li ha avvelenati che ce l’hanno: anche perché la ditta colpevole e sprezzante è riuscita a ottenere l’incarico di decontaminare le case più pericolose, trasformandosi così in benefattrice: e perché, con furbizia, ha cominciato a pagare il silenzio individuale della gente. I nemici odiati sono la Regione, il presidente Golfari, l’assessore Rivolta, gli operatori sociali, i politici, gli scienziati e i giornalisti. I perché dell’angoscia e dell’offesa sono tanti, giustificati da una mancata informazione seria, dalle decisioni contraddittorie prese dall’alto e imposte, da tutte le notizie allarmanti o tranquillizzanti, gonfiate dall’inquietudine, dalla fantasia, da una sensazione di abbandono.
«L’altra notte mi sveglio e vedo sotto casa della gente in tuta bianca che spruzza dei fumi: penso, adesso per eliminare il problema ci immergono nella diossina, ci uccidono tutti. Invece era una normale disinfestazione contro le zanzare. Non potevano dircelo?». «Questi mostri con gli occhialoni e gli stivali e le tute buttano senza dire niente nei tombini un liquido che fuma, un veleno contro i topi più potente della diossina e lì i nostri bambini ci giocano!».
La diossina non sta solo avvelenando un paese con patologie già in atto e con una imprecisabile ma non impossibile futura catastrofe genetica: lo sta del tutto disgregando. Dentro la invisibile fortezza del veleno, dietro le alte mura dell’incertezza quotidiana, si induriscono le divisioni, gli odi, le chiusure di una piccola società contadina e artigiana. C’è divisione tra gli sfollati, considerati dei privilegiati e la gente rimasta a toccare e ingoiare diossina. C’è divisione tra gli operai, che pensano di trovare lavoro e casa altrove e gli artigiani, legati tenacemente all’orto, alla casa fatta da loro, alla «roba». C’è divisione tra chi è sospettato di aver avuto soldi dalla Regione o dalla Givaudan e chi ha visto il suo negozietto incassare sempre meno. C’è divisione tra chi ancora pensa all’inceneritore e per questo è definito incongruamente «un rosso» e la maggior parte che lo teme come nuova fonte di veleno, come pretesto per trasformare Seveso nella pattumiera della Brianza. C’è divisione tra Cesano Maderno e Seveso che rifiuta di ospitare la terra inquinata del primo e tra una parte di Cesano e l’altra, sempre per via di questa terra asportata e non voluta e che i camion trasportano inutilmente da una zona all’altra.
Ma la divisione più grande è quella tra chi crede al pericolo della diossina, e sono sempre in meno, e chi non ci crede, e sono sempre in più. «L’anno scorso mi hanno fatto distruggere l’insalata e non mi hanno ripagato: allora l’ho riseminata e ne mangio quanta ne voglio». «Io di bambini con la cloracne non ne ho visti, sono sempre quei due che la televisione fa girare». «Agli esami del sangue non vado più, non servono a niente, non ti dicono niente, anche il mio medico mi ha detto che è una stupidata». «Come mai in certe case c’era la diossina e adesso non c’è più e invece dove non c’era adesso c’è?».
L’angoscia della tragedia senza soluzione viene cancellata: e la diossina è indicata come il pretesto per una misteriosa manovra speculativa in cui misteriosi personaggi per misteriose ragioni ne ricavano un misterioso profitto che i brianzoli indicano, in silenzio rabbioso, sfregando pollice e indice. «Non ci serve nessuna assistenza, tutta questa organizzazione disorganizzata porta solo discredito e confusione. Che ci diano soldi, che ci lascino in pace, ognuno qui vuole fare da sé». «Noi non siamo mai stati così bene come adesso, al massimo ci hanno innervosito con la paura».
Per ora gli esami del sangue non sono così rassicuranti: essi rivelano al secondo prelievo, in dicembre, una diminuzione dei globuli bianchi e quindi del potere immunitario e un aumento della necrosi delle cellule del fegato.
Intanto le donne delle zone contaminate continuano a restare gravide. Da gennaio a maggio sono nati undici bambini con deformità gravi, nove con malformazioni minori: nel 1976 ne erano nati 4. Contemporaneamente le nascite sono diminuite rispetto all’anno scorso di quasi la metà. Sono aumentati i neonati sottopeso: molti, e questo è allarmante, presentano sino dai primi giorni di vita l’ingrossamento del fegato. L’aborto terapeutico è stato duramente sconfitto. Dopo i 35 eseguiti dalla clinica Mangiagalli di Milano e i due all’ospedale di Desio, gli ospedali della Brianza non hanno più accettato richieste. Gli operatori dei consultori hanno dichiarato di essere stati costretti a mandare almeno 80 donne al Cisa.
Il professor Gianni Remotti, responsabile del settore ostetrico ginecologico dei consorzi sanitari della zona, non ha nascosto che gli esami delle mappe cromosomiche sono inquietanti. Tuttavia non si sa più se consigliare alle donne di non fare figli o di farli al più presto. La stessa confusione frastorna le madri dei neonati: c’è chi consiglia di non allattare, chi dice che d’estate il latte artificiale è più pericoloso di quello diossinato. Sino ad oggi, comunque, il latte materno non è mai stato esaminato. Per ora l’unica decisione sicura è questa: consigliare alle gravide di allontanarsi sino al parto: la Regione assicura un contributo ma naturalmente sono poche le donne che possono permettersi di abbandonare marito e figli per mesi.
Sotto il sole d’estate imputridiscono i grandi silos di sacchetti di plastica con dentro 40 mila carogne sciolte nella soda caustica, fogliame, masserizie, terra: il pericoloso monumento, chissà quando eliminabile, della tragedia. Seveso è ferma al 10 luglio 1976? Scrive Laura Conti, consigliere regionale per il Pci nel suo libro Visto da Seveso: «Non siamo affatto al punto di partenza: una istituzione nuova, la Regione, si è dimostrata affetta dagli stessi mali di cui è affetto lo Stato: il burocratismo, il verticismo, la disperante distanza tra le decisioni e le attuazioni; e il rapporto del cittadino lombardo con la Regione si è deteriorato, ha acquistato le caratteristiche che ha il rapporto del cittadino con gli aspetti più borbonici dello Stato centrale: è diventato scettico, diffidente. Una comunità smarrita si chiude in se stessa in una sorta di delirio di persecuzione che le impedisce di riconoscere il vero nemico e il vero pericolo, e la scaglia caparbia contro chi cerca di aiutarla».

Note: (1) Nel luglio 1976 un reattore della fabbrica ICMESA di Meda aveva provocato la fuoriuscita di diossina, sostanza altamente velenosa. La popolazione dei paesi circostanti era stata fatta evacuare. Il centro più colpito era risultato Seveso.