Vanity, 21 giugno 2017
Filippo d’Inghilterra, il principe triste
Poco prima dello scoccare della mezzanotte del 14 novembre 1948, il principe Charles Philip Arthur George diventò ufficialmente proprietà pubblica. Mentre la principessa Elisabetta, che aveva 22 anni, riposava nella sua suite a Buckingham Palace, l’erede veniva portato nella gigantesca sala da ballo dorata dalla levatrice reale.
Fin dall’inizio Carlo è stato oggetto di grandi aspettative e sguardi indagatori a differenza di sua madre, che fino ai 10 anni aveva vissuto un’infanzia relativamente spensierata. Fu solo nel 1936, appena suo padre inaspettatamente salì al trono perché il fratello maggiore re Edoardo Vili aveva abdicato, che la principessa assunse il suo ruolo in successione diretta.
Innamorata del suo primogenito, Elisabetta lo allattò per due mesi, ma poi dovette smettere perché aveva contratto il morbillo. Dopodiché lo lasciò spesso da solo durante l’infanzia, per passare più tempo possibile con suo marito Filippo, duca di Edimburgo, ufficiale nella Royal Navy, che nell’ottobre del 1949 era stato inviato a Malta.
Il principe Filippo vide ben poco suo figlio quando era piccolo ma al suo ritorno gli insegnò a pescare, ad andare a caccia e a nuotare nella piscina di Buckingham Palace. Quando il principe Carlo toccò il fondo dopo la separazione da Diana, nel 1992. confidò le difficoltà della sua infanzia infelice a Jonathan Dimbleby, che stava scrivendo una biografia autorizzata. Dimbleby lo descrisse da piccolo «spesso intimidito dalla forte personalità del padre», i cui rimproveri per qualsiasi «errore di comportamento o reazione lo portavano facilmente alle lacrime». Con il permesso di Carlo. alcuni suoi amici hanno descritto l’atteggiamento del duca di Edimburgo nei confronti del figlio «denigratorio» e a volte persino «prepotente». Lui è sempre stato meno duro nei confronti della madre, ma la sua opinione rivela una sfumatura amareggiata: «Non si può dire che fosse indifferente, piuttosto era distaccata». Carlo era molto sensibile, e le sue antenne captavano ogni minimo rimprovero o commento negativo. Osservando emergere questi tratti, Filippo temeva che il figlio diventasse fragile e vulnerabile. quindi decise di rafforzarlo con la disciplina. A 20 anni, quando gli fu chiesto in un’intervista se suo padre fosse «severo e inflessibile» e se gli avesse detto qualche volta di «stare al suo posto e chiudere la bocca», rispose senza esitazioni: «Sì. me lo dice di continuo».
Il duca non riusciva a trattenersi dal fare commenti, ed erano sempre taglienti. Era sarcastico anche con sua figlia Anna, ma la sorella minore di Carlo, estroversa e sicura di sé, riusciva a rispondere. mentre il giovane principe soffriva e si chiudeva sempre di più. Quando Elisabetta salì al trono, i doveri istituzionali la portarono ad avere ancora meno tempo per i figli, e si affidò sempre più spesso al marito per le principali decisioni di famiglia. Né lei né Filippo erano affettuosi. La carenza di contatto fisico era sotto gli occhi di tutti, oltre che straziante: nel maggio 1954, la regina e il marito dopo un’assenza di quasi sei mesi passati in visite a varie nazioni del Commonwealth accolsero i bambini con una stretta di mano. Lui aveva 5 anni. Anna 3.
Per fortuna il principe veniva coccolato dalla nonna materna, la Regina Madre, e andava a trovarla spesso al Royal Lodge, la sua dimora rosa pallido nel Windsor Great Park, soprattutto quando i genitori erano via. A due anni gli piaceva accoccolarsi sul letto della nonna c giocare con i suoi rossetti. La Regina Madre gli aprì le porte di un mondo fatto di arte e di musica, un mondo che i suoi genitori non avevano mai apprezzato un granché: «È stata la nonna che mi ha insegnato a osservare le cose», ricorda.
La Regina Madre non lesinava gli abbracci di cui il nipote aveva bisogno e incoraggiava i lati più gentili e generosi del suo carattere: la prontezza con cui condivideva le caramelle con altri bambini, o sceglieva i componenti di una squadra accogliendo subito i più deboli. Al tempo stesso, pur con le migliori intenzioni, alimentò la sua tendenza all’autocommiserazione, peggiorando uno dei tratti più marcati del principe il whinging, uno dei termini britannici più caustici per definire la «lagna».Una schiappa negli sport
Nei primi anni, Carlo fu educato a casa con la supervisione di Catherine Peebles, la sua governante originaria di Glasgow, detta anche «Mispy». Donna molto sensibile, era intenerita dalle sue insicurezze e dalla tendenza a richiudersi appena sentiva qualcuno che alzava leggermente la voce. Desideroso di compiacerla, Carlo arrancava diligentemente tra le lezioni, ma si distraeva facilmente e sognava a occhi aperti. «È troppo giovane per pensare così tanto», commentò Winston Churchill dopo averlo osservato poco prima del suo quarto compleanno.
Quando compì otto anni, la regina e il principe Filippo decisero che aveva bisogno della compagnia dei coetanei in classe e lo spedirono a scuola. Carlo diventò così il primo erede al trono a studiare fuori dal palazzo.
All’inizio del 1957, la limousine reale lo portò quindi alla Hill House Scliool, nel quartiere di Knightsbridge a Londra. Carlo era molto bravo a leggere e a scrivere ma faticava con la matematica. Purtroppo, dopo soli sei mesi, suo padre lo trasferì alla Cheam School, neH’Hampshire, dove lui stesso era stato mandato a 8 anni.
Carlo aveva poco meno di nove anni ma era molto più vulnerabile di suo padre. Aveva una terribile nostalgia di casa, spesso quando era solo stringeva il suo orsacchiotto e piangeva. Come erede al trono, era un bersaglio facile per i compagni, che lo prendevano in giro per le orecchie a sventola e perché in quel periodo era un po’ paffuto. Lo chiamavano fatty, cicciotto.
Di costituzione fragile, soffriva di sinusite cronica e nel maggio del 1957 era stato ricoverato per tonsillectomia. Più tardi nello stesso anno, quando era rimasto a letto con l’influenza aviaria, i suoi non erano andati a trovarlo (erano entrambi vaccinati, quindi non era per paura di contagio). Prima di partire per una visita istituzionale in Canada in ottobre, la regina gli inviò una lettera di saluti.
Scoordinato, lento e sovrappeso. Carlo non aveva nessun talento per rugby, cricket, o calcio, i tipici sport di prestigio. Elisabetta gli aveva insegnato ad andare a cavallo fin da quando aveva quattro anni ma era ancora timoroso, soprattutto negli ostacoli, mentre Anna era molto coraggiosa. La regina era orgogliosa della bravura della figlia, e Filippo vedeva in lei uno spirito affine tanto era sicura e impavida.
La scoperta più importante che Carlo fece in quel periodo alla Cheam fu che si sentiva a proprio agio sul palco, un vantaggio prezioso per una figura pubblica. Per il ruolo che doveva recitare in una pièce su Riccardo III. passò ore ad ascoltare una registrazione di Laurence Olivier. Era il novembre 1961. e ancora una volta i suoi erano all’estero, stavolta in Ghana. Per fortuna la Regina Madre e la principessa Anna erano andate ad applaudire l’erede al trono che recitava nel ruolo di Riccardo.
Carlo non aveva stretto nessuna amicizia durevole nei cinque anni alla Cheam. La Regina Madre fece pressioni perché venisse mandato a Eton, lo storico college vicino al castello di Windsor. Sapeva che Filippo voleva mandarlo a Gordonstoun. in una zona remota della Scozia nordorientale dove aveva studiato lui. La regina prese le parti del marito, decidendo il destino di Carlo.
La prigione del privilegio
Nel maggio 1962, quando Filippo portò Carlo a Gordonstoun, la regina non li accompagnò. Con un edificio secentesco di pietra grigia al centro, il campus aveva sette residenze in legno prefabbricate. 11 principe fu assegnato al Windmill Lodge con altri tredici ragazzi. Fu l’inizio di quella che lui definì una «prigionia». Gordonstoun era stata fondata nel 1934 da Kurt Hahn, un educatore progressista, e Filippo era stato tra i primi studenti. Il motto della scuola era «There is more in you»: in te stesso c’è molto più di quello che immagini.
La competizione fisica, utile a formare il carattere, era centrale a Gordonstoun. La sfida iniziava dalle divise calzoncini corti tutto l’anno e dalle condizioni di vita finestre sempre aperte nei cupi dormitori. La giornata cominciava con una corsa prima di colazione, seguita da una doccia gelida. Il principe si abituò così bene a quel rituale mattutino che da adulto ha continuato a fare la doccia fredda tutti i giorni, oltre al bagno caldo della sera.
Hahn intendeva creare così una società egalitaria, dove «i figli dei potenti possono emanciparsi dalla prigione del privilegio», una filosofia che Filippo aveva apprezzato.
Il direttore del dormitorio di Carlo era Robert Whitby, «un personaggio davvero cattivo», ricorda John Stonborough. uno dei compagni di Charles: «Era malvagio, il classico debole che fa il prepotente. Se non gli piacevi, se la prendeva con te. Con Carlo era terribile». Whitby, come gli altri direttori, affidava la gestione del dormitorio ai ragazzi più grandi, che imponevano una specie di legge marziale, con abusi psicologici e fisici ritualizzati, tipo legare i ragazzi nella cesta del bucato e metterli sotto la doccia fredda. Erano pochi gli studenti che andavano assieme a Carlo in classe o in mensa. Quelli che cercavano di diventare suoi amici venivano derisi mimando delle leccate.
Come alla Chearn School, era preso in giro per le orecchie a sventola. Durante le partite di rugby, i suoi compagni di squadra approfittavano della mischia per colpirlo. «Non l’ho mai visto reagire, era stoico», ricorda Stonborough.
Un sostegno quotidiano fondamentale era per lui Donald Green, la guardia del corpo reale, che nel tempo divenne per Carlo una figura paterna. Green era alto 1 metro e 96, vestiva bene, guidava una Land Rover, e sembrava «vagamente James Bond» secondo i compagni del principe. Diventò un suo amico fedele, ma poteva fare ben poco per evitargli gli abusi nei dormitori.
Nel giugno 1963, al secondo anno, Carlo era andato in mare con il ketch della scuola, la Pinta, sull’isola di Lewis. Poi i ragazzi erano stati portati al pub del paese, e il principe, quattordicenne, aveva preso un brandy alla ciliegia. «Ho ordinato il primo drink che mi è venuto in mente», ricorda, «perché l’avevo bevuto una volta, quando ero andato a caccia e faceva freddo». Non poteva sapere che nel pub c’era anche un paparazzo, e che la sua bevuta da minorenne sarebbe finita sui giornali scandalistici. Subito dopo, la Metropolitan Police licenziò Don Green, privando Carlo di un alleato e confidente. Il principe era devastato, e in seguito dichiarò: «Non sono mai riuscito a perdonarli per averlo licenziato, pensavo fosse la fine del mondo».
Sempre più desideroso di rendere suo figlio forte e determinato, Filippo prese l’insolita decisione di mandarlo in Australia per due trimestri. Il principe diciassettenne fu quindi spedito a Timbertop. la sede più remota della Geelong Church of England Grammar School, a Melbourne.
Filippo affidò a David Checketts, suo assistente militare, il compito di sorvegliare il soggiorno del figlio. Checketts, che aveva 36 anni, era middle-class e le sue maniere schiette conquistarono l’insicuro principe.
Carlo e David arrivarono in Australia all’inizio del febbraio 1966 e vennero accolti da oltre 300 giornalisti e fotografi che il principe sopportò facendo buon viso a cattivo gioco. Con il passare del tempo, però, cominciò ad apprezzare l’assenza di formalità di un Paese in cui, capì ben presto, «non esiste l’aristocrazia, né qualcosa di simile». Per la prima volta in vita sua veniva giudicato «per come la gente ti vede e per quello che prova per te». Studenti e insegnanti lo trattavano come una persona qualunque e scoprì con sorpresa di non aver nostalgia di casa. Lo prendevano bonariamente in giro chiamandolo Pommie, un termine in slang australiano per definire gli inglesi, ma non dovette subire quelle umiliazioni sadiche che erano la norma a Gordonstoun.
Le ore dedicate allo studio non erano molte: Timbertop si basava soprattutto sull’allenamento fisico, e ora Carlo non solo lo apprezzava ma aveva un successo sorprendente. Si lanciava in marce nel caldo torrido, percorrendo più di cento chilometri in tre giorni e scalando tre vette sul percorso, e passava le notti gelide nel sacco a pelo.
Dal punto di vista fìsico fu un’esperienza più dura rispetto a Gordonstoun, «ma era formativa e sotto parecchi punti di vista mi ha insegnato moltissimo, oltre a piacermi». Facendo di testa sua, nelle circostanze favorevoli, riuscì a far emergere la sua forza di carattere e a dimostrare al padre che non era un rammollito.
Carlo riuscì davvero a godersi i sei mesi in Australia «principalmente perché era in netto contrasto con tutto quello che non sopportava di Gordonstoun», ha affermato uno dei suoi consiglieri, ricordando gli atti di bullismo che l’avevano angosciato per tutta la scuola. In più, dimostrò la sua forza di carattere in più di cinquanta impegni ufficiali, la sua prima esperienza da solo di fronte alle folle: «Mi sono buttato, andavo a parlare con la gente. E ho provato una sensazione completamente diversa, tanto che sono riuscito a comunicare di più e meglio con le persone». E gli australiani scoprirono in lui un «ragazzo spontaneo, intelligente, affettuoso e con un ottimo senso dell’umorismo», disse Thomas Garnett, preside di Timbertop. Quando se ne andò, nel luglio 1966, i suoi compagni lo salutarono con «Tre urrà per il principe Carlo, un vero Pommie Bastardi».
Un pesce fuor d’acqua
Carlo ritornò a Gordonstoun nell’autunno 1966, per l’ultimo anno. Il preside Robert Chew lo nominò capoclasse, con il termine di «Guardiano».
Dopo essere tornato con i suoi genitori a Balmoral alla fine di luglio nel 1967, il principe dichiarò diligentemente che Gordonstoun gli aveva «insegnato la disciplina e l’autocontrollo», e aveva dato «forma e ordine» alla sua vita, anche se di fatto era ancora molto disorganizzato. Figura sempre corretta, diligente e apparentemente matura agli occhi del pubblico, Carlo rimaneva comunque un po’ impacciato in società ed emotivamente immaturo, pur sembrando sempre più grande della sua età.
Fatto piuttosto sorprendente, i suoi genitori ammisero con l’autore della biografia reale ufficiale, Dermot Morrah, che resperimento Gordonstoun non era andato come speravano, e che in quella scuola Carlo era «un pesce fuor d’acqua». In To Be’ a King, il suo libro uscito nel 1968 sui primi anni di vita di Carlo, Morrah scrisse che quella scuola era servita solo a «farlo richiudere ancor più in se stesso». A 68 anni, oggi il principe continua a lamentarsi dei tempi infelici di Gordonstoun. E come ha osservato sua cugina Pamela Hicks: «Non riesce a lasciarsi le cose alle spalle».
(Traduzione Gioia Guerzoni)