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 2017  giugno 21 Mercoledì calendario

Lo stile vien cantando. Intervista a Gabriele Detti

Attenzione, questo è un uso privato di Vanity Fair gentile signora Paola Morini, se legge, sappia che suo figlio Gabriele Detti ha promesso durante questa intervista di laurearsi. Ha detto proprio: «Mamma, giuro che prima o poi lo faccio». Ci sono le prove, e tutto registrato, comprese le risate.
È impossibile restare seri, chiacchierando con il nuotatore livornese, bronzo nei 400 e nei 1.500 stile libero a Rio 2016: la parlantina sciolta, con le «c» sussurrate e le vocali aperte che fanno passeggiata sulla Terrazza Mascagni; le battute ancora più veloci, ripetute con nonchalancc invidiabile. Un guascone fuori dalla piscina, uno squalo in acqua: specializzato nel mezzofondo. Detti arriva da una grande stagione.Ha battuto più volte Gregorio Paltrinieri, il «gemello diverso» con cui era salito sul podio all’Olimpiade in una doppietta storica per il nuoto azzurro. Ad aprile ha strappato a Massimiliano Rosolino il primato italiano nei 400 stile libero. Ora si prepara al Mondiale di Budapest di luglio, e anche se dice che pensa solo ad allenarsi, è impossibile non immaginare una rivincita: nel 2015 aveva dovuto rinunciare a quello di Kazan per colpa di un’infezione alle vie urinarie.Ho letto che guardare in Tv i suoi compagni le diede allora la carica per riprendersi.
«No. mi ha fatto proprio girare i coglioni». Ah, ecco. Però poi si è rifatto. Che cosa le ha detto Rosolino dopo il primato?
«Lui è il mito di tutti quelli che nuotano le mie gare. Mi ha fatto i complimenti, ha detto che era quasi contento, che non devo fermarmi qui. Ho sempre ripetuto che preferisco andare forte piuttosto che battere un record. Se poi lo faccio, bene, ma e meglio vincere una medaglia».
Intanto, al Trofeo Città di Milano è andato più veloce del suo amico Paltónièri, abbonato al gradino più alto del podio dal 2013.
«Eravamo appena tornati daH’allenamcnto in altura, ogni fisico reagisce in modo diverso. Io stavo un po’ meglio, lui un po’ meno. L’importante sarà il Mondiale, lì dovremo essere al 200 per cento».
Le dà fastidio se parlano di rivalità fra voi?
«Non ci faccio più caso. Lui e e sempre sarà uno stimolo per migliorare. Ci siamo trasferiti entrambi al Centro federale di Ostia a 17 anni, abbiamo fatto insieme anche la scuola. Non eravamo tanto diversi da ora: risata facile, battuta ancora più facile. Ci siamo sempre divertiti. Abbiamo imparato a conoscerci, a capirci, a lavorare insieme. L’abbiamo sempre detto: il 90 per cento del merito dei risultati va all’esserci allenati in due».
Condividete anche l’allenatore, che è suo /io Stefano Morini, «il Moro».
«Sì, ma è mio zio giusto a Natale, quando siamo in famiglia. Se no, è il mio allenatore. E se c’è da cazziarmi, mi cazzia, eccome».
È stato lui a convincere i suoi genitori a farla nuotare?
«Mia madre da giovane correva, mio padre vogava: mi hanno buttato in acqua il prima possibile, su consiglio del Moro o perche comunque faceva bene. Avevo quattro mesi, sono andato giù, ma poi sono tornato su e ridevo. Per me nuotare è entrare in un altro mondo: sono da solo, posso pensare qualsiasi cosa, mi isolo. Rifletto oppure canto quello che mi capita per la testa».
Come è stata la sua infanzia a Livorno?
«Come la vita di ora, con in più la scuola: nuotavo, andavo a lezione, nuotavo... Scherzo, non mi sono mai fatto mancare nulla. Se volevo andare a giocare invece che a nuotare, ci andavo. I miei genitori sono sempre stati molto tranquilli da questo punto di vista. Lo studio era la cosa principale, poi veniva il nuoto, che mi divertiva, e poi lo svago, che ci deve essere sempre».
Ha mai pensato: chi me lo fa fare?
«Sì, sono sincero. Però, quando decidi di andare via di casa, la motivazione ce l’hai. Fin da piccolo ho avuto i miei obicttivi, come la medaglia alle Olimpiadi, e sono questi pensieri che mi fanno andare avanti. Poi, ovvio. la mattina quando mi sveglio alle 7 penso: chi cazzo me l’ha fatto fa’? Alle 6.30 ancora peggio. Però mi piace, mi diverto».
Finda piccolo voleva fare il nuotatore professionista?
«Sì, o il fisioterapista. Ovviamente, con l’obbligo di frequenza adesso non posso».
Magari un domani.
«Magari. Se mi torna la voglia di studiare».
Che è andata via?
«Non c’è mai stata».
Quindi niente università.
«Mi iscriverò quando potrò dedicarmici facendo le cose per bene. A mia madre farebbe piacere vedermi laureato. In fisioterapia o comunque nell’ambito dello sport. Sicuramente non mi vedrete mai ingegnere».
Da bambino ha avuto un grave incidente a una gamba.
«E quasi l’anniversario, sa? Era il 23 giugno 2003, avevo otto anni e mezzo. Decidiamo di fare tutti insieme una scampagnata all’isola di Capraia – che e meravigliosa, badi bene, però la odio. Andiamo, ci divertiamo, e accanto al porto c’è una passerella che lo collega alla scogliera. Stiamo tornando sulla nave, ho davanti il mio babbo e dietro la mia mamma, mi tengono per mano. Passa mio padre e non succede niente. Passo io e crolla, uno scoglio mi schiaccia la gamba. Mi riportano a Livorno per operarmi. Sci mesi di gesso, riabilitazione. Oggi ho la cicatrice».
Ci sarà voluta molta forza di volontà per non farsi abbattere e ricominciare a nuotare.
«Forza di volontà e qualcuno vicino, cosi passa tutto più in fretta. E poi. se mi volevo riprende’, era l’unica cosa da fare. Mi hanno dato anche degli esercizi di fisioterapia, ma non li ho mai fatti».
Ai suoi futuri pazienti questo non lo racconti. «A loro li farò fare. Se qualcuno si fiderà a farsi seguire da me, potrò dirgli: non fare le cazzate che ho fatto io. che infatti oggi ho un polpaccio più grande dell’altro».
Al mare ci va o le fa un po’ paura, come a tanti suoi colleghi nuotatori?
«Da buon livornese, sì che ci vado. Però dove si tocca».
Da buon livornese, tagga anche ogni post su Instagram con Ubai addi.
«Ce l’ho messo una volta per caso, la seconda mi è spuntato come suggerimento. Ormai è una costante».
Scrive anche #amala. Interista?
«Purtroppo si. È una sofferenza».
Non tifa Livorno?
«Simpatizzo. Se qualche volta sono a casa, magari faccio un salto alla partita. Ma non è che sia proprio un fanatico del calcio».
Le piacerebbe essere famoso quanto Federica Pellegrini, nel bene e nel male, o è meglio un po’ più di anonimato?
«Tutto dipende da come si va in acqua. Se vai forte, poi viene tutto di conseguenza. Fa sicuramente piacere essere riconosciuto, ma non e una cosa che mi interessa cosi tanto. Basta fare bene e stare bene con me stesso. Quello che arriva in più. ben venga».
Intanto la paragonano al fashion blogger Mariano Di Vaio.
«Tutti mi dicono che c’è questa somiglianza, per via del ciuffo. Ma ora mi vado a tagliare i capelli e sparirà».
Li rifarà platino, come dopo Rio?
«No, quello mai più. L’avevo dichiarato: se vinco una medaglia, mi tingo. Erano tutti avvisati. Sono andato dalla mi’ mamma e anche lei era già pronta allo shock».
Vero o falso: il suo motto è hakuna matata, «senza pensieri».
«E venuto fuori parlando una volta con mio cugino: essere libero, senza pensare troppo. Vorrei anche tatuarmelo. Ho già i cinque cerchi, cosi si passa da un tatuaggio serio a una cagata».
Vero o falso: il tè freddo per lei è una droga.
«Penso di esserne il più grande consumatore in Italia».
Se qualcuno le chiedesse com’è Gabriele Detti fuori dalla piscina, come si descriverebbe?
«Sono livornese, ho la battuta pronta. Sono così come mi si vede, semplice».
Nel nuoto di che cosa ha fame?
«Di andare forte. Di continuare a divertirmi come sempre. Non che quello che ho fatto finora non mi soddisfi, intendiamoci. Però voglio di più».
Questa volta ce lo metto io: #boiadeh.