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 1976  agosto 17 Martedì calendario

Per favore niente orchidee

A Ferragosto, Giulio Andreotti ha già infilato il cappotto. Per prepararsi ai mesi duri che ci aspettano, il presidente del Consiglio è andato incontro all’inverno in Austria, a Badgastein, in un’elegante stazione di montagna affollata anche in questo periodo da coppie di mezz’età in cura nelle acque termali o soltanto in ossigenazione per conservarsi meglio. Una cintura verde di abetaie, una rapida che attraversa il paese, sale da concerto, grandi alberghi, ambiente raffinato.
Andreotti è venuto qui per pochi giorni insieme alla moglie e alle due figlie: aveva programmato questa vacanza da tempo, invece che a Montecatini, ma i nuovi compagni di governo l’hanno costretto ad abbreviare il soggiorno. Il presidente tornerà a Roma giovedì per un appuntamento che non ha mai mancato, la messa in memoria di Alcide De Gasperi, e subito dopo si rimetterà al lavoro in vista del consiglio dei ministri convocato per il 7 settembre. Entro quella data, vuole aver inviato i primi provvedimenti all’esame delle commissioni parlamentari.
Pantaloni neri, maglietta di lana blu con foulard di seta rosso scuro, Andreotti mi riceve in albergo con molta cortesia, appena sorpreso dall’incursione. Non è neppure eccessivamente infastidito, o almeno non lo dà a vedere. Lontano da Roma, a quattr’occhi, è addirittura più simpatico, perfino il suo sarcasmo e il suo cinismo sembrano allentati. 
Che fa il presidente in vacanza?
«Dormo, dormo molto», risponde con un sorriso cordiale, «recupero il sonno perduto in questi ultimi tempi, leggo e scrivo. Ieri sera, poi sono andato a sentire un quartetto mozartiano abbastanza buono».
Sta preparando un altro libro?
«No, per ora mi limito a scrivere dei bozzetti. Avevo in mente un nuovo libro, una serie di monografie per dimostrare che non sempre il bene o il male sono come appaiono e che avrei intitolato appunto «il buonocattivo», ma per adesso evidentemente deve rimanere nel cassetto e chissà per quanto tempo».
Presidente, lautunno sarà davvero molto duro per noi, come si dice?
«Bisogna intendersi. Certo, superato questo periodo particolarmente favorevole dal punto di vista valutario soprattutto per l’afflusso dei turisti, occorrerà affrontare decisamente la situazione. Penso soprattutto a misure che consentano di risparmiare nel consumo di energia e di alcuni generi alimentari. Credo molto per questo all’efficacia di una campagna di propaganda per spiegare alla gente quello che ciascuno può fare subito: mi dicono che in America hanno ottenuto ottimi risultati distribuendo dépliants palazzo per palazzo, perché i grattacieli non restassero accesi ininterrottamente giorno e notte. E io non penso affatto che gli italiani siano diversi dagli altri. Poi, bisogna evitare certi consumi voluttuari: è impossibile per esempio continuare a spendere tanti soldi per importare roba come le orchidee: si possono regalare benissimo altri fiori oppure i nostri splendidi foulards! In tutto questo campo ho molta fiducia nelle capacità del ministro Ossola. Comunque è certo che in autunno i nodi arriveranno al pettine».
Allora, innanzitutto, risparmiare di più.
«Sì, ma contemporaneamente è necessario intensificare il lavoro e utilizzare meglio gli impianti. È un discorso da affrontare insieme ai sindacati che pure hanno i loro problemi. Ma mi sembra già un buon segno la notizia che ho appreso qui, in Austria, sulla vertenza dei braccianti, conclusa con la mediazione di Tina Anselmi; è un ottimo ministro e non solo perché è una donna!» (1).
Sarà sufficientemente forte e autorevole il suo governo, presidente, per sostenere questi impegni?
«Il monocolore ha ottenuto in Parlamento significative convergenze. D’accordo, è una soluzione atipica, ma non credo sia giusto parlare di agnosticismo politico. In mancanza di una formula, abbiamo cercato il massimo di solidarietà. Ed ha proprio ragione Claudio Napoleoni quando dice, come ha fatto alla Camera durante il dibattito sulla fiducia, che il governo è senza maggioranza ma anche senza opposizione. Il fatto è che, in questo momento, noi costruiamo tutti insieme un domani che nessuno sa quale sia».
E la politica, presidente?
«Anche questo è un punto da chiarire: il governo ha fatto scelte precise, dalla politica estera alla politica economica».
Bastano per la Democrazia Cristiana?
«Per quanto mi riguarda, non mi sento affatto estraneo alla Dc, come qualcuno va dicendo. Io sono uomo di partito. Del resto, e l’ho già detto in direzione, sono sempre pronto ad andarmene come dimostrai nel ’72: ma fino a quando ho la fiducia in Parlamento, continuerò a fare il mio dovere».
Nei giorni scorsi, s’è avuta notizia di una cena a otto tra democristiani e socialisti...
«Sì, l’ho letto sul vostro giornale (2). Vede, io non credo a manovre dietro le spalle, non ho nessun dubbio sulla lealtà del mio partito e ne ho avuto conferma anche dal vicesegretario Galloni, durante le trattative per il governo, quando sostituiva Zaccagnini. D’altro canto, però, non credo si possa continuare a parlare soltanto con una parte della Dc. Bisogna fare discorsi tra partiti, nel loro insieme».
Ma, all’interno della Dc, si dà già per imminente o prossimo un avvicendamento alla segreteria.
«Io sono stato favorevole all’elezione diretta del segretario al congresso. Sono contrario perciò a cambi della guardia provocati da congiure di palazzo, anche togliendo a questo termine un significato cospiratorio. Zaccagnini poi ha appena cominciato il suo lavoro e bisogna lasciarlo continuare».
È vero, come afferma qualcuno, che avrebbe preferito fare il sindaco di Roma piuttosto che il presidente del Consiglio?
«No, non ho mai pensato di fare il sindaco di Roma. Anche se conosco bene i problemi della città, non ho sufficiente esperienza di certi meccanismi e di certi strumenti. Pensi, per esempio, che a suo tempo per farmi spiegare il piano regolatore dovetti ricorrere ad un amico, un architetto socialista, mio compagno di liceo».
Che ne pensa allora della scelta di Argan? (3).
«È stata una prova di grande responsabilità della sinistra: un comunista, diciamo, fuori del partito; un uomo di cultura. È stato molto importante poi non aver fatto la giunta di sinistra, pure numericamente possibile. In un certo senso, è una situazione analoga a quella del governo: penso cioè, che in Campidoglio si potrà fare come in Parlamento e a Palazzo Chigi (lì non volendo e qui non potendo costituire una maggioranza): affrontare i problemi, cercando di risolverli giorno per giorno, in attesa di nuove soluzioni. Vede, anch’io sono convinto che non può durare all’infinito».

Note: (1) L’accordo tra sindacati e Confagricoltura era stato raggiunto alla vigilia di Ferragosto dopo due giorni e due notti consecutive di discussioni. La trattativa andava avanti da quattro mesi. L’accordo, che trasformava in contratto il patto nazionale dei braccianti, avvicinava notevolmente, come riconobbe lo stesso ministro Anselmi, i lavoratori dell’agricoltura a quelli dell’industria. (2) Quattro democristiani (Corrado Belci, Guido Bodrato, Franco Mazzola, Giovanni Galloni) e quattro socialisti (Enrico Manca, Claudio Signorile, Paolo Vittorelli, Giovanni Mosca) cenarono insieme la sera di mercoledì 11 agosto al ristorante «Eau vive» di Roma. L’incontro servì a stabilire un clima di cordialità tra i due partiti dopo le polemiche della campagna elettorale. (3) Dopo il voto di giugno, a Roma i comunisti avevano formato una giunta con Psi e Psdi, appoggiata dall’esterno dai repubblicani. La Dc aveva annunciato una opposizione «provvisoria» riservandosi una decisione definitiva per la primavera successiva. In ogni caso, i democristiani avevano annunciato che, sul nome di Argan, non avrebbero fatto opposizione e avrebbero votato scheda bianca.