Dieci anni di Repubblica, 5 agosto 1976
Sotto la tenda per il socialismo
L’alba. Nella tenda arancione, una canadese in alto fra gli ultimi ulivi, si fa l’amore alle prime luci in un brusio sommesso. La figlia della coppia, cinque anni, lunghi capelli biondi, spalle bruciate, è già fuori. Ha fatto pipì nella selva di tiranti e paletti del gruppo di tende più in basso, e ora raccoglie mandorle che accumula in mucchi ordinati. Il barbuto e biondo Axel, che ha oliato per tutta la sera precedente una pistola subacquea, marcia a passo lento in salita con la zappala in spalla. La zappala è, per un libero campeggiatore, quel che il machete è per il cubano durante la zaffra: strumento di lavoro e di contatto con la natura. La zappala (ibrido fra zappa e pala, per la lama orientabile) serve di buon mattino per andar su pel monte, aprire un pertugio fra sassi e radici e poi per richiuderlo. Il pertugio è il più elementare water concepibile.
I torinesi della prima cinta del campo hanno creato un loro defecarium sotto la spalletta di un muro con dei prismi di cemento precompresso avanzati da un cantiere. Il campo è un campeggio libero. Si distingue da un camping perché manca di qualsiasi servizio, si è semplicemente ammessi dal contadino della zona che chiede un modesto pedaggio e, qualche volta, concede l’uso dell’acqua. Il campeggio libero è per puri. Distinti dagli odiati borghesi che si trincerano in grandi lager recintati, dove dispongono di attrezzature decadenti, come la doccia, il water alla turca, la corrente elettrica a due e venti, lo spaccio, il pronto soccorso.
Qui, nulla di tutto questo. L’età media è inferiore ai venticinque. I figli, sparsi e compostamente bradi, non hanno mai più di dieci anni. I genitori, o per meglio dire gli adulti, sono quasi tutti giovani di sinistra. Nel senso che sono genericamente extraparlamentari. I torinesi e una coppia di romani (medico lui, casalinga lei) sono di Lotta Continua. Lina coppia anziana (nel senso sopra i trenta) di Livorno è Pci ma va d’accordo con quelli di Lotta Continua. Chi invece ha rotto con gli Lc dopo una furibonda lite che stava per finire a cazzotti, è un gruppo di ragazzi napoletani pduppini.
Al limite del campo sono attendati i tedeschi: Axel con la sua zappala, la biondissima Helga, il fratello di lei Peter con la sua donna che si dice sia cecoslovacca ma non si è capito bene.
A mezza costa fra quattro ulivi, generazioni di accampati hanno stabilito risiedano le cucine. Quattro ghirbe di tela colano acqua in terra circondate da sciami di vespe assetate. Inchiodati sui tronchi specchi e legni cosparsi di avanzi di dentifricio e spazzolini. Su un grande tavolato vari fornelli a gas, collegati con grosse bombole da venti chili che vengono trasmesse in eredità previo affrancamento di alcune servitù, fra cui la caparra, il dono del caffè residuo, il barattolo dei pelati.
Al campo, ognuno è inchiodato ai suoi ruoli. Non è dato capire se per avventura, alcuna delle donne è, o è mai stata, femminista, ma certo non ne conserva traccia. La ragazza che faceva l’amore nel sommesso brusio alle prime luci dell’alba, ora è giù, alla cucina, per preparare il caffè. Il suo compagno è comparso sulla soglia della tenda solo per prendersi un costume, fra i suoi stesi lungo i tiranti. Poi si è reinserito fra le coltri: i sacchi letto polivinilici e i materassini di gomma gonfiabili, ma con perdita dal lento sibilo, refrattaria ai più drastici collanti in tubetto e alle toppe di gomma telata. A mezza costa, nella zona delle cucine, una giovane mamma, preparato il caffè con la moka, molla la prima secchissima sberla al figlio. Si pratica, come è ovvio, il turpiloquio d’ordinanza. C’è una inconfessata gara a chi riesce a intercalare più volte «cazzo» fra una parola e l’altra. Alcuni termini sono caduti in desuetudine. Così, per dire confusione, non si usa più casino, ma puttanaio. I piatti da lavare sono un gran puttanaio, la tenda da rigovernare è un puttanaio, i ragazzi sudici sono tutti un puttanaio e così via.
Il lessico è prevalentemente quello del Nord, che sovrasta quello truculento e cinematografaro dei romani. Per esempio: i maschi escono dalle tende dopo aver sorbito il caffè che le compagne hanno loro portato in tenda e chiedono «qual è oggi il giro». Il «giro» è un termine vago, che vuol dire più o meno il «programma», ma anche il turno, le cose da fare. Il giro dei maschi è andare giù ai motori dei gommoni e magari fare una sbordata oltre Capo Vaticano.
Il giro delle donne è che fanno i piatti. C’è anche il maschio femminista, ma è, secondo sua perentoria ammissione, incazzatissimo.
Il motivo è vago. Si è «ficcato ficcarsi» sta per «metter con», (cioè far coppia, stare insieme) si è ficcato con Noemi, milanese, coi capelli ricci alla black power, che da maggio ha mandato a cagare (cioè si è drasticamente disfatta) Marco che non solo è uno stronzo che ancora fa il trozkista, ma l’ha anche presa a sberle per tutto l’inverno. Così Noemi si è presa la sua piccola Natalia, il flauto, il sacco, collanine, jeans, camiciole e si è messa, cioè si è ficcata, con questo Oddo, che è forse l’ultimo a portare gli occhialini con montatura in fil di ferro, le lenti oblunghe, le stanghette che fanno un riccio dietro l’orecchio. I rapporti fra i due sono tragici, Noemi ha avuto due collassi e la bimba grida di notte, anche perché vivono tutti e tre in una minuscola canadese inerpicata su una roccia.
A mezzogiorno il campo è vuoto. C’è solo Noemi e la sua bambina che giocano con i sassi e dei balocchi di plastica colorata. Oddo, prima di scendere a mare, le ha fatto una gran sfuriata per spiegarle come va inteso correttamente il femminismo e le ha spiegato, come un teorema, perché lei non sarà mai una vera compagna. Scendendo un sobbalzo dopo l’altro, giù giù fino a mare, si apre un compunto dibattito su «questo puttanaio del prezzo dell’oro» e quei bastardi di tedeschi e degli americani. È opinione diffusa, pompando la miscela nel motore del gommone, che i comunisti di Berlinguer, come al solito, non sanno e non vogliono far esplodere le contraddizioni. Solo una usa ancora le espressioni «a monte» e «a valle», ormai obsolete. C’è però la tendenza a lanciare l’infamante accusa di economicismo («tu sei il solito economicista di merda» è la dizione esatta).
La giornata di mare è gratificante, bagni e sguazzi come da dépliant. Solo i bambini si feriscono a sassate e c’è un caso di repressione materna.
In serata al campo arrivano quattro romani, due macchine e una moto. Spargono picchetti, paletti e teli. Una delle due donne palesemente non è stata mai al campo e strafà in tutto, straparla, impreca, sparpaglia pacchi e alla fine si accascia. I due uomini cupamente vibrano mazzolate sui ferri, una ragazza gonfia i materassini. Quando il gruppo etnico di base torna dal mare, l’impatto fra vecchi e nuovi arrivati ha sussulti di aggressività, di finta permissività («mettetevi dove volete, però è meglio che non ci ammucchiamo tutti sotto gli alberi» che è come dire: mettetevi al sole), di quasi accettazione («per il gas non vi preoccupate, per cagare le buche si fanno ad almeno cinquanta metri»), di inquisizione («quello coi baffi sembra un compagno, ma potrebbe essere un intellettuale di merda; il basso invece pare un ragioniere»), di iniziazione («noi stasera facciamo la pasta con le patelle che abbiamo preso alla grotta, voi naturalmente mangiate con noi»).
Sera. Si accendono le lanterne a gas, ma si accende anche, con frastuono di locomotiva, un compressore diesel di un gruppo elettrogeno che fracasserà i timpani fino a mezzanotte. I bambini sembrano allucinati, dormono su grandi piatti di plastica e poi si allontanano verso la tenda impugnando una piccola torcia elettrica. Queste luci infantili vagolano nella sassaia, prima o poi un ragazzino inciampa in un tirante e piomba a terra. La ragazza romana arrivata di fresco prende i piatti sporchi, li accumula in un mastello e li porta via, verso il tubo dell’acqua, con passo incerto nella notte. Le donne lentamente, a una a una, tornano alle tende. I loro compagni, a tavola sparecchiata, tirano fuori una bottiglia di whisky comprata a Vibo Valentia.
Si parla ovviamente di donne (femminismo, movimento e aggregazione) e motori (dei gommoni).