Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 1976  luglio 30 Venerdì calendario

Un pic-nic con Zaccagnini

Fervono le discussioni sul significato semantico, ma soprattutto politico, del documento Zaccagnini (1) col quale è stata data via libera al monocolore Andreotti. Le astensioni del Pci e dei socialisti sono state richieste o no? Sarà un governo di «convergenze parallele» o di parallele divergenze?
Insomma: il Pci fa parte o non fa parte della maggioranza?
A molti sembrano questioni di lana caprina. Ognuno di noi ha ben altre cose cui pensare per perdere soverchio tempo nell’analisi dei testi zaccagniniani, presumibilmente scritti da Moro e corretti da Andreotti. Troppo complicato. Troppo noioso.
Ma (attenzione): non inutile. Sta infatti prendendo l’avvio in questi giorni, anzi in queste ore, un processo che durerà a lungo e che vede, in un modo o nell’altro, il Pci alle soglie del potere. Il Pci è stato fino ad ora il solo partito d’opposizione. Nel momento in cui questo ruolo scompare o diventa comunque evanescente, è importante capire che cosa subentra in sua vece.
Ho sott’occhio il titolo di prima pagina che il Corriere della Sera ha dedicato mercoledì scorso all’avvenimento. Dice: «La Dc chiede agli altri partiti la astensione non contrattata». Ma è possibile chiedere una cosa che non si vuol contrattare o contrattarla senza chiederla? Qualcosa non va in questa storia, o è sbagliato il titolo o è sbagliata la situazione, o forse tutti e due. Per raccapezzarci in questo pasticcio occorre riandare alla cronaca politica delle scorse settimane.
Cominciò in piena campagna elettorale, ricordate? La Dc diceva: coi comunisti vogliamo un civile confronto nelle sedi proprie, cioè in Parlamento; ma nessuna commistione nel governo. Berlinguer (e i socialisti) controproponevano: o tutti nel governo oppure la sinistra all’opposizione. Le direzioni dei tre partiti votarono solenni documenti nei quali le rispettive piattaforme vennero ribadite con dovizia di argomenti; centinaia di comizi confermarono dinanzi agli elettori questi concetti, semplici e precisi.
Il 20 giugno si votò ed è andata come tutti sanno: un Parlamento spaccato in due, nessuna maggioranza possibile senza che una delle due parti concedesse all’altra. In teoria si potevano ipotizzare varie soluzioni: un governo monocolore democristiano con l’astensione di tutti gli altri, un governo «laico» con l’astensione democristiana e comunista, un governo «tecnico», anch’esso sorretto dalla tolleranza generale. Oppure la grande coalizione.
Le varie ipotesi non sono state neppure sperimentate perché la Dc ha imboccato risolutamente la prima e la sinistra ha rinunciato a qualunque proposito di farle cambiare strada. Saggezza? Prudenza? Complesso d’inferiorità?
L’avvenire dirà; oggi sarebbe vano tentare giudizi. Ma ciò che non è vano è ricordare il processo di «de-escalation» che si è verificato nelle posizioni della sinistra. Si era partiti chiedendo il governo di coalizione. Si era poi ripiegato, dopo il 20 giugno, su un monocolore dc sorretto da una nuova maggioranza debitamente ufficializzata. Poi si è ripiegato ancora e ci si è accontentato d’una riunione collegiale sul programma. Respinta anche questa dalla Dc, si è chiesto (in verità più dai socialisti che dal Pci) un pubblico invito della Democrazia Cristiana ai partiti della sinistra perché si astenessero. Il direttore dell’Avanti! scrisse addirittura un fondo con la frase seguente: «se la Dc non contratterà preventivamente l’atteggiamento della sinistra, il monocolore di Andreotti non andrà in Parlamento allo sbando, ma al suicidio».
Nessuna di queste ipotesi si è realizzata. Che cosa hanno detto Zaccagnini e la direzione dc? Semplicemente questo: noi abbiamo il dovere verso il paese di formare un governo e presentarlo alle Camere; le altre forze politiche, se vogliono compiere anch’esse il loro dovere, debbono consentirgli di vivere. Decidano esse, nella loro autonomia, che cosa vogliono fare.
Un amico che si spazienta con le sottigliezze della politica, ma che vuol capire quanto accade, m’ha chiesto di spiegargli meglio questa matassa. «Prova con un’immagine» m’ha detto.
Bene, ecco l’immagine. In partenza si voleva costruire insieme un edificio e gestirlo in regime condominiale. La Dc ha rifiutato. Allora la sinistra ha detto: se la casa ha da essere di vostra proprietà ma volete la nostra presenza, invitateci. La Dc ha rifiutato ancora ed ha controproposto un pic-nic. «Troviamoci all’ora tale del giorno tale» ha detto Zaccagnini «in un bel prato. Noi saremo puntuali. Se anche voi ci sarete, non scordate di portarvi appresso pane, salame e vino. Noi faremo finta di non vedervi ma in compenso siamo disposti a mangiare il vostro salame e a bere il vostro vino». Dall’idea del condominio siamo così arrivati ad un «déjeuner sur l’herbe» sul terreno demaniale. La differenza, ammettiamolo, è rilevante.
È possibile che il vino contenga dei filtri d’amore intensi e segreti, capaci di far cambiare l’atteggiamento del convitato democristiano. È possibile, ma non è certo. Colpisce d’altra parte il fatto che nelle «concertazioni» di Portorico tra i quattro «grandi» dell’occidente si consentì per l’appunto un «déjeuner sur l’herbe», escludendosi ogni altra ipotesi. Il «suggerimento», non c’é che dire, è stato seguito alla lettera.
Con tutto ciò, non voglio affatto sostenere che la sinistra italiana debba rifiutarsi all’astensione, anche se non richiesta dalla Dc.
«Posso io dar consigli a vostra eccellenza?» diceva il conte Attilio al conte zio dei Promessi Sposi. I partiti, le loro direzioni, i loro segretari, sanno meglio di chiunque altro in che modo debbono fare il loro mestiere.
Ricordo soltanto, perché la esperienza vale pure qualcosa, che tredici anni fa il centro-sinistra cominciò anch’esso con molte speranze, in un’aria di generale «rifondazione». I socialisti ottennero non soltanto la presidenza della Camera e quella di molte commissioni del Parlamento, ma la vicepresidenza del Consiglio e sei ministeri di primaria importanza. Nenni, nel 1963, era un leader di statura europea, Riccardo Lombardi non aveva minor preparazione di Giorgio Napolitano, né Giolitti era da meno di Luciano Barca, né Mancini aveva meno grinta di Macaiuso. Purtroppo andò come andò. Non per debolezza o nequizia di uomini, ma per situazioni e comportamenti sbagliati.
Spero vivamente, e come me credo lo speri la maggioranza degli italiani, che la storia non si ripeta.

Note: (1) Nel documento, diffuso alla vigilia del voto in Parlamento, Zaccagnini precisava che «i partiti... con la loro autonoma decisione di astenersi sul voto di fiducia, potranno rendere un servizio, perché il paese possa avere un governo».