Dieci anni di Repubblica, 14 agosto 1976
La vanagloria dei vincitori
Un orribile, enorme mucchio di macerie e cadaveri. È tutto quello che resta di Tali El Zaatar dopo 52 giorni di assedio. L’eccitazione e la confusione che regnano oggi fra le varie milizie del fascismo libanese – «falangi», «tigri», «difensori del cedro» – hanno permesso a qualche giornalista di giungere fin dentro al tragico ghetto palestinese a poche ore dalla sua caduta.
Quel che abbiamo visto per mezz’ora, prima cioè che i «vincitori» decidessero di chiudere il cerchio attorno al colle per espellere ogni testimone, conferma le peggiori supposizioni fatte negli ultimi giorni. Alla prima occhiata, dalla vicina altura di Jisr El Bacha, si ha l’impressione che gli stivali di cento Gulliver usciti di senno abbiano calpestato una città di lillipuziani.
I morti, sfigurati dalle cannonate o mutilati dalle baionette, giacciono dappertutto: in mezzo alla via, tra i resti di un saccheggio; lungo i cunicoli che dividevano le baracche; nelle case, intrappolati fra pezzi di lamiera e intrecci di pergole divelte. Sono uomini e donne di ogni età, ammazzati a gruppi o isolatamente.
Così è tornato a Tali El Zaatar l’«ordine» degli estremisti cristiani e, con l’ordine, un silenzio lugubre interrotto solo da improvvise raffiche di mitra o dal vento che fa sbattere porte scardinate e brandelli di lamiera. Lo spettacolo è tale che si rinuncia alla velleità di «calcolarlo» in qualche modo. Inutile chiedersi come e quando siano morti questi infelici. Inutile percorrere per intero questo carnaio sfidandone il fetore. Inutile cogliere i dettagli. I massacri si somigliano tutti.
Ritornano in mente, sinistre, le parole udite mezz’ora prima di venire qui da uno dei figli di Pierre Gemayel, (1) Bechir: «Tali El Zaatar è stata cancellata dalla carta di Beirut, non c’è più un palestinese. Vi ricostruiremo un nuovo quartiere intolato a uno dei nostri martiri, William Hawi».
Né i falangisti né i loro alleati smentiscono gli eccidi che hanno accompagnato la fine di Tali El Zaatar. «I libanesi hanno le tasche piene dei palestinesi da anni» ci ha risposto freddamente Bechir Gemayel. «Come impedire le rappresaglie quando i palestinesi sono venuti fuori dai loro nascondigli?».
L’agonia di Tali El Zaatar è stata una tragedia nella tragedia. Dopo la resa di mercoledì sera, l’artigliera della destra ha martellato il campo tutta la notte. All’alba di giovedì, dei dodicimila sopravvissuti la metà era riuscita a raggiungere il quartiere cristiano di Dekauene (dove ha subìto la decimazione di cui parlavamo ieri), mentre l’altra metà è stata investita da una «offensiva finale». Le atrocità commesse nel corso di questo «repulisti» sono note solo in parte. Le testimonianze sono poche. Lo staff della Croce rossa ha scoperto nell’ospedale otto infermieri in camice bianco, disarmati, falciati a colpi di mitra. Molti dei «combattimenti all’arma bianca» di cui parla oggi la destra, sono stati a senso unico. Baionette contro gente inerme.
Raggiunta la zona est di Beirut per assistere alla conferenza stampa di Bechir Gemayel vi abbiamo trovato un clima di euforia. È vero, la destra cristiana mobilita molta povera gente, ma i protagonisti – politici e militari – del fascismo libanese hanno in faccia i segni dei privilegi che difendono. I miliziani sono giovanotti più marziali, meglio vestiti, meglio nutriti, più «colti» dei loro avversari, libanesi e palestinesi. I loro capi hanno uffici puliti, camminano sulla moquette e sono assistiti da stuoli di signore e signorine di buona famiglia che parlano francese e odorano di colonia.
È in questo «décor» che uno dei figli del leader falangista ha affrontato alcune decine di giornalisti per fare un discorso già udito tante volte. I palestinesi hanno dimenticato le regole che ogni ospite deve rispettare. Gli abbiamo dato un tetto e un lavoro e loro hanno creato un «secondo potere» che umilia i buoni libanesi. Hanno portato nel nostro paese, felice e democratico, la lebbra del comunismo, del terrorismo, dell’anarchia. E noi abbiamo detto basta. Ci battiamo contro un complotto comunista internazionale e abbiamo le prove che l’ambasciata sovietica a Beirut ha una grossa responsabilità nella guerra civile.
Se Bechir Gemayel rende omaggio «all’eroica resistenza dei palestinesi di Tali El Zaatar» dello stesso avviso non è uno dei «vincitori» del ghetto: un maggiore che si batte con la parte di esercito libanese rimasta con le destre. L’ufficiale, la cui identità non è stata resa nota, inizia la sua «testimonianza» dicendoci che la caduta di Tali El Zaatar dimostra una cosa: «che i terroristi palestinesi, malgrado tanta propaganda, non valgono niente. Sono dei codardi». E continua: «ripuliremo il Libano da tutti i palestinesi».
Accarezzando il calcio della sua colt e curando che la sua tuta mimetica non faccia pieghe, il maggiore spiega: «Tali El Zaatar era forse la più temibile roccaforte del terrorismo palestinese in tutto il mondo. Centinaia di banditi vi sono stati addestrati. C’è passato il famigerato Carlos. Vi è stato preparato l’assassinio di re Feisal, vi sono stati orditi dirottamenti di aerei e ogni altra mascalzonata».
Dopo aver confermato la cattura di «alcune centinaia di prigionieri», l’ufficiale ordina di portarne due davanti ai giornalisti. Incapace di cogliere il disagio, se non l’ostilità degli astanti, introduce due giovani con gli occhi sbarrati dal terrore e sorride: «Signore e signori, eccovi un campione di combattente palestinese. Non vi fate commuovere dalla loro aria triste. Fino a qualche giorno fa levavano le dita in segno di vittoria, erano allegri. Non sono solo vigliacchi, ma anche imbroglioni. Li abbiamo acciuffati mentre tentavano di squagliarsi».
Qualcuno vuole fare domande ai prigionieri. Fra le dame che assistono l’ufficiale cristiano viene scelta come interprete una brunetta, la camicia aperta sul seno e la croce, i pollici ficcati nelle tasche dei jeans attillati. Un personaggio da fumetto erotico-guerresco. I prigionieri mormorano che sono trattati bene, mangiano, bevono, fumano.
Chiediamo i nomi e il maggiore taglia corto: «Ma chi crede di essere, la Croce rossa?». Le dame strillano in coro: «Viva l’esercito libanese».
Note: (1) Pierre Gemayel, capo del Partito cristiano-falangista.