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 1976  luglio 17 Sabato calendario

Chiacchierando sulla terrazza

È la prima intervista di Bettino Craxi, segretario del Psi da appena poche ore e già irretito nella trama delle sue nuove responsabilità (è stato con la delegazione del Psi da Andreotti per il negoziato sul governo) (1). Dalla terrazza dell’hotel Raphael, tra cupole, campanili e tetti della vecchia Roma, il dramma politico consumatosi nell’atmosfera falsoamericana del Midas Palace sulla via Aurelia sembra già lontano. Eppure ad alcune domande importanti non è stata data ancora una risposta soddisfacente.
Perché proprio lei è stato eletto segretario del partito?
«É stata una cosa improvvisa, tanto è vero che appena quindici giorni fa ero stato eletto presidente dei deputati socialisti. La mia candidatura è nata all’interno di tutte le correnti. Certo, crescono le piante che si sono seminate, ma non c’è stata nessuna congiura, nessuno ha preparato piantine segrete, polpette avvelenate. Anzi, non s’è mai votato tanto, su ogni dettaglio, nei vari gruppi prima che nel Comitato centrale, con una viva tensione, in modo aperto, la gente ha detto come la pensava. Quando invece c’è clima di congiura, ci si nasconde e si colpisce in modo vile. Niente del genere».
Ma la sinistra si è astenuta sulla sua elezione a segretario. Lombardi ha detto che lei è troppo legato alla politica di centro-sinistra.
«Non sono mai stato ministro del centro-sinistra, anche se mi è stato proposto più di una volta. Comprendo l’astensione che è venuta dalla leadership della sinistra, comprendo che essa scaturisca da un giudizio d’insieme, che investe il passato e i punti di dissenso, che ci sono, sulla politica interna e su quella internazionale. Ritenevo che dopo il documento unitario approvato dal Comitato centrale, che esprime una linea mediana come la mozione finale del Congresso, potesse esserci un atteggiamento diverso ma penso di poter contare egualmente sulla fraterna collaborazione dei compagni della sinistra».
Il documento parla di alternativa di sinistra. Lei ci crede?
«Questa linea nacque al congresso da un compromesso tra le tendenze del Psi. Fu scartata la parola d’ordine «alternativa subito» e quella, fatta propria da Democrazia proletaria, del «governo delle sinistre». La strategia adottata prevede – sono parole testuali – che si individuino le linee su cui costruire, attraverso fasi intermedie, un processo che avanza per tappe verso una alternativa progressista alle direzioni politiche egemonizzate dalle forze conservatrici».
Se questo processo si perde nel tempo futuro e intanto si sviluppa l’evoluzione del Pci, non è da prevedere che si determinino prima le condizioni per l’unificazione di socialisti e comunisti?
«L’esigenza dell’alternativa è tipica delle società democratiche, è quindi un processo che si sviluppererà anche in Italia. Oggi l’alternativa alla Dc sarebbe possibile solo come alternativa laica, da realizzare cioè, oltre che con Psi e Pci, anche con Pr, Pri, Psdi e Dp, ed è un’ipotesi astratta perché c’è di mezzo il compromesso storico e l’indisponibilità degli altri partiti. L’alternativa col Pci sarebbe poi un ritorno al frontismo, quindi si torna a un processo verso l’avvenire. È all’interno di questo processo che nasce il problema dei destini del Psi e del Pci».
Lei come li vede questi destini: si unificheranno o resteranno distinti?
«Mi preoccupa una certa filosofia, anche quando viene esposta in buona fede e con le carte del congresso di Livorno in mano: la filosofia che affida la vita del Psi all’evoluzione del Pci. Nel senso che quando l’evoluzione del Pci sarà arrivata a un certo punto, il Psi sparirà. Questo è il ragionamento di chi dice al gatto di fare la guardia all’arrosto. La storia ha fatto di Psi e Pci due entità distinte e autonome. Mi auguro che l’evoluzione della sinistra mantenga vivi questi due poli di riferimento e che ci sia una convergenza sui grandi obiettivi del socialismo».
Ma intanto il Pci occupa sempre di più l’area che si riteneva socialista.
«È un fatto. Perciò dico che il Psi non è alle prese con ricambi generazionali o di riassestamento dopo la sconfitta elettorale, ma col problema della sua sopravvivenza».
Insomma, a lei fa paura il Pci?
«Mi fa paura il comunismo, non il Pci. I giovani hanno avuto il Vietnam come grande esperienza, la mia generazione si e invece formata sotto il trauma dell’Ungheria. E i traumi sono difficili da cancellare, possono talvolta portare a eccessi. Penso che il comunismo – quello esistente, come dice Breznev, non quello ipotetico – sia estraneo all’Occidente europeo».
E quello di Berlinguer?
«Ogni passo avanti verso il socialismo nella libertà è un fatto positivo. Ma Berlinguer, per sua stessa ammissione, deve risolvere molti problemi. Quando dice che l’eurocomunismo è una ricerca, vuol dire che non l’ha ancora trovato. E poi di fronte a lui non ha solo il rapporto col Psi, ma quello con tutto il socialismo democratico dell’Occidente».
Lei diventa segretario del Psi in uno dei momenti più difficili del Partito. Come pensa che il Psi si possa risollevare?
«Due indicazioni sono emerse dal Comitato centrale: sciogliere le correnti e organizzare in modo collegiale il lavoro di direzione politica. È vero, di collegialità si parlò anche dopo la caduta di Krusciov, e so che altre volte è stato detto ed è difficile farlo. Come dice un proverbio scandinavo «è più facile costruire molti camini che tenerne uno acceso».
Si parla molto di spazio esterno socialista. Quale legame si può realizzare tra il partito e quest’area?
«La struttura interna del Psi è ossificata e non consente un rapporto adeguato con la società e con quella parte di consenso che si riferisce al Psi. È un problema vecchio, da quanti anni oscilliamo sopra e sotto il 10 per cento dei voti? Se non usciamo dalle catacombe, rischiamo di diventare una setta o un groviglio di sette. O favoriamo un movimento di associazionismo (leghe, collettivi, club) e assumiamo verso di loro un atteggiamento aperto o non vedo via d’uscita. Ma ci vuole anzitutto un chiarimento ideologico-culturale nel partito, e tutto questo lo dobbiamo fare in tempi medi, per non dire brevi. Certo, il partito si infastidisce quando qualcuno si autonomina rappresentante di una non definita area socialista con l’intento di colonizzare il Psi. È un errore che provoca l’errore contrario di chi esalta il partito, solo il partito, mentre la nostra organizzazione va vista in modo nuovo».
Qualcuno ha affermato che lei è un uomo di destra.
«Se l’origine di questa affermazione è la stessa che portò a definire Nenni «socialfascista», che faccio? Faccio spallucce».

Note: (1) Giulio Andreotti stava in quei giorni lavorando alla formazione del primo governo della VII legislatura.