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 1976  giugno 23 Mercoledì calendario

Abbiamo perso vittoriosamente

Le dimissioni di Giovanni Mosca da vice segretario del Psi sono il primo segno di coraggio politico che i socialisti abbiano dato da qualche anno a questa parte. E infatti i dirigenti del partito che non cambia fino a quando non c’è più le hanno subito giudicate come isteriche, sbagliate, sciocche. I dirigenti del partito che non cambia fino a quando non c’è più preferiscono «parlarne con calma in direzione».
Dopodiché ci faranno sapere, come già hanno anticipato Mancini e Lombardi, che la colpa è degli altri, delle elezioni blocco contro blocco, dall’antisocialismo generale. Riccardo Lombardi è fermo a questo dubbio: è il partito che non ha capito l’elettorato oppure è l’elettorato che non ha capito la posta in gioco? Se Lombardi permette vorrei aiutarlo a uscire dal dilemma.
Può darsi che il Partito Socialista inteso come burocrazia politica e come direzione non abbia capito l’elettorato ma certamente l’elettorato ha capito il Partito Socialista e la sclerosi del suo gruppo dirigente. Nei mesi scorsi coloro che pensano il Partito Socialista con rispetto e con tenace amore hanno chiesto a questo gruppo dirigente di cacciare dal partito i ladri, provati o in fama di esserlo.
La risposta è stata: non ci sono ladri nel partito e voi lo denigrate. Sull’Avanti! sono comparse le sentenze di una giustizia formale che assolveva i ladri notori, dirigenti del partito. Pubblicandole l’organo del Psi in pratica diceva: «io sto con questi e contro di voi che li avete pubblicamente denunciati». Benissimo, state con quelli, ma poi le conseguenze si vedono.
Coloro che pensano il partito come una organizzazione aperta capace di guidare, di trascinare, di raccogliere le moltitudini di coloro che sono socialisti senza saperlo avevano chiesto insistentemente nei mesi scorsi che si rinunciasse una buona volta alla stretta e suicida logica della burocrazia di partito: che si aprissero le liste a coloro che nel loro lavoro, nella loro cultura, nella loro onestà hanno dato prova di meritare ampia fiducia.
Si chiedeva al partito di non ripetere su scala nazionale l’errore di Milano dove il successore di Aniasi nella carica di sindaco è stato fabbricato da un accordo di vertice con il bel risultato che fra qualche mese magari non ci sarà più un sindaco socialista a Milano. La risposta è stata il blocco feroce delle liste, la esclusione di uomini come Spinelli, Momigliano, Bobbio e chiunque godesse di buona fama e di giusto rispetto nella pubblica opinione.
Al segretario del partito Francesco De Martino è stato chiesto alla vigilia delle elezioni che senso avesse presentare due campioni come Lauricella e Viglianesi. Ha risposto che Lauricella e Viglianesi erano due combattenti delle gloriose lotte popolari.
Non mi interessa qui sapere le ragioni recondite per cui Giovanni Mosca ha dato le dimissioni da vicesegretario del Psi invitando gli altri membri della direzione a seguirlo, ma suppongo che Mosca abbia capito nell’amarezza della sconfitta che un partito che ha come vicesegretario Bettino Craxi non può seriamente pretendere di presentarsi come alternativa di governo, come alternativa di costume. Bettino Craxi ha condotto la campagna elettorale a Milano sul tema della cara, gentile mediocrità del partito.
Per sere e sere ha fatto l’elogio del piccolo burocrate, del bravo tramviere fedele alla clientela, dei bravi funzionari che ogni domenica partecipano alla pesca sportiva dei Nas di Brugherio o di Lambrate o alla narcisata di quelli di Lecco. Gli altri, quelli che immaginano un partito diverso aperto ai problemi del mondo, capace di creare una cultura e un costume alternativi, erano degli snob da salotto.
Il buon Craxi non sa neppure che i salotti milanesi del tipo liberal-socialista non esistono più dal 1969.
Il compagno Mosca ha ragione: il Partito Socialista deve ridiscutere se stesso da cima a fondo, ma non «con calma in direzione» ma in pubblico, con rabbia e con sincerità. A meno che abbia deciso di defungere, serenamente, partecipando al nuovo governo e spartendo fra gli amici le ultime bustarelle.
Vorrei concludere queste note con una mia opinione che non vedo su alcuno dei giornali della sinistra. La mia opinione è questa: la sinistra ha vittoriosamente perso, è stata sconfitta nel momento della sua maggiore crescita.
E aggiungerei questo: se la sinistra italiana non cambia può scordarsi per un altro mezzo secolo di andare al potere. Consolarsi dicendo che la Dc ha tenuto perché ha tolto i voti ai partiti laici moderati serve a poco. Il giudizio serio è quello globale: la sinistra così come è organizzata, così come si presenta non sembra capace di esprimere una solida maggioranza.
La lezione mi sembra questa: l’elettorato italiano non darà mai la sua piena fiducia a questa sinistra finché rimarrà divisa in due partiti i quali continuano a dirsi marxisti in un mondo che del marxismo non sa cosa farsene.
Diceva Forcella su questo giornale che secondo Togliatti il successo del Partito Comunista dipende dal fatto che sa essere al tempo stesso riformista e rivoluzionario. Io penso l’opposto: fino a quando il Partito Comunista e la sinistra in genere non saranno riformisti e basta, alternativa credibile e accettabile in un sistema di bipartitismo perfetto, al potere non ci andranno mai. Come è facile capire dalla composizione sociale di questo paese e dai suoi rapporti di forza reali.