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 1976  maggio 11 Martedì calendario

Silenzio, si gira la caduta di Moro

Come addetti alle onoranze funebri, mentre a Montecitorio finivano governo e legislatura, i tecnici della televisione avevano già preparato tutto nella sala stampa di palazzo Chigi, per la ripresa dell’epilogo ufficiale. Nell’aula della Camera, alla fine della replica con cui ha chiuso il dibattito parlamentare, è stato il presidente del Consiglio, Aldo Moro, a convocare i ministri del suo monocolore, appena terminata la seduta. «Prendo atto», ha scandito Moro, «che l’astensione socialista è venuta meno e che ciò è stato detto in Parlamento. Essa era ed è essenziale e determinante. La sua mancanza esclude che vi sia una maggioranza ed altera comunque il quadro politico». E poco più avanti, senza annunciare formalmente le dimissioni: «Ho ascoltato con attenzione la risposta del Parlamento e mi riprometto perciò ora di convocare i colleghi del governo per l’esame della situazione e le decisioni conseguenti».
Il discorso del presidente del Consiglio alla Camera era cominciato subito con un richiamo all’imminenza delle elezioni. «Il dibattito», aveva esordito, «non è stato quale io l’avevo auspicato, non ha condotto purtroppo a conclusioni costruttive». Dopo l’ammissione di aver scelto questa sede «senza troppe illusioni e tuttavia con sincerità di propositi», Moro ha aggiunto: «E vorrei esprimere la speranza che, al di là del confronto anche duro che probabilmente ci attende, le collaborazioni possano riprendere in condizioni propizie, su una base appropriata e solida, per il bene del paese».
La maggior parte della replica, ascoltata senza interruzioni dall’assemblea di Montecitorio e accolta come il discorso di mercoledì dagli applausi dei soli democristiani, il presidente del Consiglio l’ha dedicata al partito socialista. Lo spunto più polemico è stato il giudizio negativo sulla fine del bipartito Dc-Pri, messo in crisi da Francesco De Martino all’inizio dell’anno. Per il resto, l’intervento di Moro è apparso prodigo di riconoscimenti, con una rivendicazione anche personale a proposito della questione socialista.
«Essa», ha affermato il presidente del Consiglio alzando il tono della voce, «si è posta per noi, e per me in particolare, ben prima che avesse inizio la comune esperienza: la questione socialista è relativa all’importanza, alla essenzialità, per la garanzia e lo sviluppo della vita democratica in Italia, di un partito socialista qualificato da un forte impulso di libertà veramente qualificante. E bene è questo che noi abbiamo guardato, quando, superando le remore di una vecchia impostazione, abbiamo stabilito rapporti nuovi con il Psi».
Con il ricordo, e forse la nostalgia, di un «passato che conta», Moro non ha potuto nascondersi però che è stata «una collaborazione inframezzata di polemiche, le quali hanno raggiunto oggi purtroppo il punto più acuto». Il presidente del Consiglio, tuttavia, continua a ritenere che questo rapporto sia «essenziale» per la democrazia italiana, salvaguardando la dignità dei partiti interessati. A suo giudizio, i socialisti avrebbero dovuto compiere, come in passato, un altro atto di responsabilità con un impegno anche indiretto in questo governo. Per lui, comunque, «il Psi resta ovviamente un grande partito democratico».
Verso la fine, però, il discorso di Moro s’è caricato di toni evidentemente elettorali, nella polemica sui comunisti. Il presidente del Consiglio s’è preoccupato più volte di smentire che il dibattito parlamentare puntasse a scaricare sugli altri partiti la responsabilità della crisi: «In realtà, non ho voluto trascurare neppure la più remota possibilità. Ho fatto in modo da non dovermi rimproverare domani una qualsiasi mancanza di iniziativa, benché di esito estremamente dubbio». Ma poi ha addebitato al Psi una «grave alterazione del quadro politico», per la richiesta di coinvolgere i comunisti nella maggioranza e la proposta dell’alternativa di sinistra. Il problema, a suo parere, era invece quello di concordare tra i partiti costituzionali un programma d’emergenza, senza modificare i ruoli della maggioranza e dell’opposizione.
«Ho preso l’iniziativa di questo dibattito», è stata la conclusione di Moro, «in piena buona fede e con sincerità d’intenti: non ho pensato che fosse mio compito addossare delle responsabilità, ho cercato di evitare le elezioni anticipate, una pausa allarmante nella gestione del potere». A questo punto, per il presidente del Consiglio, «è giusto essere preoccupati». Ma la sua fiducia è che «il Paese sappia trovare in sé le energie necessarie per risorgere e respingere la minaccia della disgregazione e del disordine».