14 marzo 1957
Lo Scià di Persia ha lasciato Soraya
BONN – L’ultima notizia pervenuta ieri a tarda ora da Teheran annunciava che i ritratti di Soraya erano andati rapidamente sparendo nel corso della giornata dagli uffici pubblici e dai molti negozi in cui figuravano accanto a quelli dello Scià e ciò aveva lasciato prevedere a Bonn che, da un momento all’altro, sarebbe stato pubblicato l’atteso comunicato ufficiale sullo scioglimento del matrimonio dei due augusti coniugi. Difatti, la radio germanica diramava stamane la decisione di Teheran nella sua prima emissione delle otto. Più tardi, l’addetto stampa dell’Ambasciata dell’Iran presso la Repubblica federale asseriva che anche Soraya l’aveva appreso, come tutti gli altri comuni mortali, dalla radio e dai giornali. Questo è vero solo in parte.
Soraya non sapeva quando esattamente il comunicato sarebbe stato reso di pubblica ragione, ma era stata informata che lo si sarebbe diramato nello spazio di tre giorni, fra giovedì 13 e sabato 15. Tutto era stato concordato. Lo Scià aveva voluto che il testo del comunicato fosse sottoposto all’approvazione di Soraya e anche concordato è stato il comunicato di Soraya, diffuso successivamente per mezzo dell’ agenzia ufficiosa germanica. Se ora ci si appresta a leggere con attenzione i due comunicati, appare chiaramente, attraverso le stesse parole dei protagonisti, il doloroso dramma cui li ha condannati la ragione di Stato e al quale essi, specialmente Reza Pahlavi, avevano tentato di sottrarsi cercando vanamente una soluzione di compromesso.
Lo Scià ha annunciato lo scioglimento del matrimonio con la donna che certo ancora ama «con profondo turbamento», ne indica l’esclusiva ragione nella mancanza dell’erede al trono che Soraya non ha potuto dare, tiene a sottolineare di essersi dovuto inchinare all’opinione espressa dal Consiglio della Corona, il quale ha ritenuto indispensabile un principe ereditario «per la sicurezza della Nazione, per la conservazione della monarchia costituzionale, per evitare disordini nel Paese».
Leggi qui l’articolo di Massimo Caputo per il Corriere della Sera