Corriere della Sera, 7 febbraio 1957
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L’Occidente e la linea di frattura tra i regimi d’Oriente
Re Saud è stato accolto con grandi onori a Washington (ma non a Nuova York). In fondo, è il Presidente Eisenhower che ha da far la corte a lui, e non lui al Presidente. È vero che egli, a forza di dissipazioni e di prodigalità, è sempre a corto di quattrini. Ma l’America ha bisogno della sua amicizia assai più di quanto egli abbia bisogno di dollari. E le ragioni che rendono preziosa per l’America la sua amicizia sono tre. La prima: Dharan. La seconda: il petrolio. La terza: il fatto che il suo denaro è la pietra fondamentale su cui è costruita l’associazione dei Paesi anti-occidentali del Medio Oriente: «Egitto, Siria, Giordania, Arabia Saudiana; e, se Saud si e staccasse, Nasser si affloscerebbe come un fantoccio vuoto. La diplomazia americana si è sforzata di persuadere, uno dopo l’altro, il ministro degli Esteri del Libano, Saud e il principe ereditario dell’Irak, Abd Il-Illah, della necessità di costituire un blocco di moderati sotto la sua egida. E, per questo suo piano, punta su Saud. Questi, infatti, è nella coalizione anti-occidentale il membro che più probabilmente può essere indotto a staccarsi.
Per capire quali siano i veri interessi di Saud e, quindi, quali siano le probabilità di successo della politica che il Governo americano sta tentando in questo momento, bisogna cominciare dal dare uno sguardo alla situazione generale del Medio Oriente. Attraverso vicende che qui non è il caso di ricordare, i Paesi musulmani e di quell’area si sono aggruppati in due coalizioni. Da una parte, il «baluardo settentrionale», ossia i Paesi del Patto di Bagdad: Turchia, Iran, Pakistan, Irak (più l’Inghilterra, che è lontana). Dall’altra parte, il «baluardo meridionale»: Egitto, Siria, Giordania, Arabia Saudiana. La differenza fondamentale fra le due coalizioni è questa: che scopo della prima è la difesa comune dall’aggressione sovietica, mentre scopo della seconda è l’aggressione contro Israele. Questo non basterebbe a creare una situazione di antagonismo fra i due gruppi: che l’Irak voglia difendersi dal comunismo non dovrebbe dare ombra all’ Egitto. Ma l’ambizione di Nasser ha creato l’antagonismo.
1. – La Turchia, l’ Iran, il Pakistan e l’Irak già ricevono dall’America aiuti economici e militari, grazie agli accordi di mutua sicurezza. Inoltre, l’ Iran e l’Irak ritraggono grandi entrate dai loro giacimenti di petrolio. Come è noto, gli Stati Uniti, dopo aver sollecitato e promosso il Patto di Bagdad, non hanno voluto aderirvi. Ma il Presidente Eisenhower, qualche tempo fa, dichiarò che il Governo degli Stati Uniti avrebbe considerato un attacco a quei Paesi con la massima gravità. Successivamente, colla dottrina che porta il suo nome, ha promesso l’assistenza degli Stati Uniti ai Paesi del Medio Oriente che venissero aggrediti da una Potenza controllata dal comunismo. La sola Potenza comunista che possa attaccare Paesi del Medio Oriente, è la Russia. E i soli Paesi del Medio Oriente che siano a contatto territoriale con la Russia sono tre dei Paesi del Patto di Bagdad (Turchia, Iran, Pakistan). Quindi, la dottrina di Eisenhower è, dal punto di vista militare, un’assicurazione di assistenza ai Paesi del Patto di Bagdad: ossia un’adesione non dichiarata degli Stati Uniti al Patto di Bagdad
2. – Passiamo all’altro gruppo. Dei quattro Paesi che lo compongono, solo l’Arabia Saudiana ritrae entrate rilevanti dal petrolio: intorno a 300 milioni di dollari all’anno. Gli altri non hanno petrolio. In tutti e quattro, la popolazione versa nella più squallida miseria, anche nell’Arabia Saudiana, dove le enormi entrate del petrolio vengono sperperate in appannaggi, stipendi e pensioni ai membri della famiglia saudiana e in spese militari. L’accordo fra i quattro Governi sembra perfetto; o, per lo meno, fra tre di essi, chè la Giordania si sa che è trascinata. E recentemente, Nasser e Saud si son fatti fotografare sorridenti e tenendosi per mano. Ma la verità è ben altra. La verità è che l’accordo è sincero solo fra il Cairo e Damasco, o, meglio, fra i militari del Cairo e quelli di Damasco, fra Nasser e Sarrej. Ma il piccolo Re di Giordania e Saud e i principi sauditi hanno tutto da temere da Nasser e dal sistema di cui Nasser è l’esponente
Bisogna fare un passo indietro. In quasi tutti i Paesi arabi, in seguito al fallimento della classe dei «pascià» e dei grandi proprietari fondiarii, sono venuti su i militari. Essi si sono presentati come l’ultima difesa dall’anarchia e hanno istituito dittature vagamente colorate di socialismo. Completamente privi di nozioni politiche o amministrative, hanno governato alla militare.
Ma, poiché hanno capito di non poter realizzare le speranze che avevano fatto nascere, hanno fatto ricorso alle solite armi dei dittatori: hanno dato al popolo da odiare e da sognare. Odio contro Israele, contro l’Inghilterra, contro l’Occidente. E sogni di grandezza, miraggi di imperi, tali da ubriacare le moltitudini e distrarle dalla miseria e dalla fame. Ma questi metodi minacciano alle fondamenta il regime saudiano. E lo minacciano in due modi: per contagio e per via di intrighi. Contagio. Il regime saudiano è assai più arretrato di quello dei «pascià»; è il «wahhabismo»; o meglio, il «wahhabismo» per il popolo e la licenza e lo sperpero per i principi. Il «wahhabismo» è il movimento più austero e reazionario che sia fiorito nell’Islam. Ma la improvvisa ricchezza lo ha corrotto nelle case dei principi. E ora, di «wahhabiti», non ci sono che i sudditi: per necessità. Intrighi. Per ora, Saud non ha che un’ombra di esercito. Ma gli ufficiali sono stati addestrati in Egitto e guardano a Nasser. Quando l’esercito sarà più grande, la pressione degli ufficiali potrà essere irresistibile. Nella primavera scorsa, ci fu un principio di ammutinamento. Quando, a Geddah, alcuni egiziani fecero pubbliche dimostrazioni pro Nasser, Saud fece deportare i capi.
Saud, da una parte, dipende interamente dalle « royalties» che gli paga l’« Aramco» in milioni di dollari; dall’altra, non può non guardare con sospetto a un alleato che gli mina il terreno sotto i piedi. E in questo stato d’animo è possibile che presti ascolto agli argomenti del Governo americano, che sono altri milioni di dollari. Ma non è certo. Finora, tutto quello che il Presidente ha ottenuto è stato il riconoscimento che «le sue direttive politiche per combattere l’infiltrazione comunista sono buone e tali da meritare considerazione». Questa dichiarazione di Saud è stata considerata come una vittoria degli Stati Uniti. E qualcuno del Dipartimento di Stato ha detto che «ciò potrà inaugurare una nuova era che condurrà a una soluzione definitiva dei problemi del Medio Oriente». Questo ottimismo sembra del tutto sproporzionato al fatto che gli ha dato origine: la dichiarazione di Saud.