Dieci anni di Repubblica, 20 novembre 1979
Forse è soltanto cannibalismo
Il governo, nella persona del ministro Sarti, risponde oggi alla Camera sull’affare Mazzanti. Un «affare Mazzanti» (1) – per dirla alla francese – è stato infatti creato nelle ultime settimane da una campagna di stampa svolta da alcuni giornali (in particolare Il Mondo e Panorama e da alcuni uomini del sottobosco politico-finanziario. All’inizio si è trattato di semplici vociferazioni; poi sono state fornite notizie più circostanziate che hanno dato la sensazione d’un misterioso e gigantesco imbroglio di Stato. A queste denunce, riecheggiate da numerose interrogazioni parlamentari provenienti da quasi tutti i settori politici, ha fatto riscontro finora un assoluto silenzio da parte sia del governo che dell’Eni, il che ha accresciuto i sospetti e alimentato le voci. Oggi finalmente avremo la versione ufficiale. Sarà una versione soddisfacente? Varrà a tranquillizzare l’opinione pubblica? Confonderà gli accusatori dell’Eni o darà ragione alle loro accuse?
Abbiamo svolto nei giorni scorsi un’accurata indagine sull’argomento ed ecco, nel momento in cui l’«affare Mazzanti» arriva in Parlamento, i punti essenziali che siamo riusciti ad accertare.
La premessa è il contratto che l’Agip conclude in estate con la Petromin (la compagnia petrolifera di Stato dell’Arabia Saudita). Si tratta d’un contratto di grande importanza, specie in una fase di acuta crisi dei rifornimenti di petrolio greggio: centomila barili al giorno per due anni e mezzo, della migliore qualità. I giornali gli danno grande risalto, anche perché è il primo affare che l’Eni riesce a concludere direttamente con i sauditi: fino a quel momento infatti il petrolio saudita è sempre arrivato in Italia attraverso qualcuna delle grandi compagnie petrolifere americane.
Il prezzo Fob, cioè al porto d’imbarco arabo, è di dollari 19,26, cioè il più basso tra tutti quelli mediorientali: l’Eni paga infatti 21 dollari il barile per il greggio iracheno e 23 per quello libico. Il prezzo ufficiale del greggio iraniano è addirittura di 25 dollari.
I primi carichi cominciano a partire dai porti arabi e i primi pagamenti sono effettuati dall’Eni, ma sono pagamenti che vanno in due diverse direzioni: 18 dollari per barile in favore della Petromin, Riad; 1,26 dollari in favore della società Sophilau, Panama. Nelle autorizzazioni rilasciate dal Ministero del Commercio estero all’Ufficio italiano dei cambi affinché metta la valuta necessaria a disposizione dell’Eni, è esplicitamente detto che la quota di pertinenza della Sophilau altro non è che la provvigione dovuta all’intermediario con riferimento al contratto principale. Una provvigione dunque del 7 per cento. Quando il contratto sarà stato interamente eseguito la Sophilau avrà incassato la bella cifra di cento miliardi di lire. Le voci, a questo punto, cominciano a nascere e ad ingrandirsi rapidamente.
Questo è l’antefatto. Lo svolgimento è il seguente:
1. Gli accusatori dell’Eni sostengono anzitutto che una provvigione del 7 per cento è del tutto inusuale per affari di questo genere; di solito – essi sostengono – la provvigione non supera il 3 per cento.
2. Sostengono inoltre che l’inusuale provvigione, una volta pagata dall’Eni alla Sophilau, prende varie strade: l’1,5 per cento viene versato dalla stessa Sophilau in favore di un alto dirigente della Petromin, un altro 1,5 per cento in favore del figlio d’un membro di primo piano del governo saudita, mentre il grosso, cioè il 4 per cento, viene trasferito presso la banca ginevrina Pictet e Cie. Chi c’è dietro quest’ultimo versamento che, in cifre assolute, ammonterebbe alla fine del contratto a 40 miliardi di lire?
3. A questo punto della storia, le voci diventano meno sicure ma non per questo meno insistenti. Quali beneficiari di quei 40 miliardi dispensati dalla Sophilau si fanno i nomi di almeno quattro uomini politici di chiara fama: gli onorevoli Giulio Andreotti, all’epoca della firma del contratto presidente del Consiglio, Antonio Bisaglia, all’epoca ministro delle Partecipazioni statali, Gaetano Stammati, all’epoca ministro del Commercio estero, e Claudio Signorile, grande amico politico di Giorgio Mazzanti. In sostanza la Sophilau sarebbe soltanto una «boa», attorno alla quale girerebbero delle vere provvigioni per intermediari arabi e delle enormi regalie per amici politici italiani. Prove di tutto ciò? Nessuna. Connessioni logiche tra l’ottenimento del contratto Petromin ed eventuali buoni uffici dei quattro italiani sopra citati? Nessuna.
4. Poiché gli articoli di stampa e le interrogazioni parlamentari fioccano mentre l’Eni continua a tacere e il governo altrettanto, la Procura della Repubblica di Roma comincia a drizzar le orecchie. Il Procuratore capo De Matteo affida ad un suo sostituto, Orazio Savia, il compito d’indagare. Savia va negli uffici dell’Agip e dell’Eni, chiede carte, controlla contabilità, domanda spiegazioni a Mazzanti, riferisce al suo capo. Conclusione: De Matteo decide di convocare Mazzanti e, dopo di lui, Nazzareno Pagani, giornalista di Panorama e Salvatore Gatti, giornalista dell’Espresso, che si sono occupati del caso. Qualora le voci trovassero una qualche conferma, il reato ipotizzabile sarebbe quello di costituzione di capitali all’estero. Ma si tratta chiaramente d’una rubricazione provvisoria. I pagamenti effettuati dall’Agip-Eni in favore della Sophilau sono infatti autorizzati dal Ministero del Commercio estero e dall’Ufficio italiano dei cambi. Non esiste perciò alcuna costituzione di capitali all’estero in frode alle norme valutarie. Se quei capitali avessero preso la strada illegittima che alcuni giornali hanno indicato, (cioè fossero andati a finire nelle tasche di uomini politici italiani) allora saremmo di fronte ad un peculato di proporzioni gigantesche, venti volte maggiore dell’affare Lockheed. L’interrogatorio di Mazzanti da parte del Procuratore della Repubblica avrà luogo comunque domani o dopodomani, dopo il dibattito parlamentare di oggi.
Nel frattempo gli accusatori dell’Eni tirano fuori due assi dalla manica e cioè: la Sophilau avrebbe concluso il contratto con l’Eni per la provvigione in data posteriore alla data del contratto Petromin; come mai un intermediario ottiene il suo contratto «dopo» che il contratto principale è stato già concluso? Non dovrebbe se mai accadere il contrario? Di qui un indizio di prova che non di provvigione vera e propria si tratti, ma di inutile regalia dell’Eni a suoi amici, arabi ed italiani. E poi: l’Eni ha garantito alla Sophilau il pagamento della provvigione con una lettera di garanzia emessa dalla società bancaria estera Tradinvest, di proprietà cento per cento Eni. La Sophilau, ottenuta questa garanzia, avrebbe già provveduto a scontarla presso l’Union des Banques Suisses (Ubs), e i beneficiari, arabi ed italiani, avrebbero dunque già in tasca l’intero importo della tangente.
Qual è la verità di queste voci?
Oggi sapremo la versione di Cossiga. Dal canto nostro ci risulta quanto segue:
1. Il contratto con la Petromin viene firmato dall’Agip il 12 giugno. Dall’Agip, ma non dalla Petromin, la quale prima di perfezionarlo con la propria firma si riserva di accertare se vi siano in Arabia Saudita effettive disponibilità di greggio per l’Italia. Il 12 giugno cioè viene firmato un contratto che, da quel momento, impegna l’Agip ma non la controparte araba.
2. La Petromin appone la propria firma e perfeziona il contratto solo alcune settimane dopo, ma inserisce, nel contratto-standard, una clausola speciale che figura a pagina 3 del capitolato. Essa dice che il venditore si riserva di rendere esecutivo il contratto entro il 31 dicembre del 1981, a sua discrezione.
3. In una data ancora successiva, a ridosso della firma del contratto d’intermediazione tra Agip e Sophilau, la Petromin informa finalmente l’Eni che il contratto è ormai esecutivo e l’Agip può dare inizio all’imbarco del greggio.
4. La lettera di garanzia della Tradinvest contiene una clausola di salvaguardia per l’Eni: l’Ente di Stato italiano potrà a sua discrezione rinegoziare l’ammontare della provvigione qualora il rapporto tra i prezzi ufficiali del greggio nell’area mediorientale mutasse sostanzialmente. Ciò significa che, qualora il prezzo ufficiale saudita dagli attuali 18 dollari salisse mentre i prezzi ufficiali degli altri paesi produttori restano fermi ai livelli attuali, l’Eni potrebbe chiedere l’annullamento o la sostanziale riduzione della provvigione riconosciuta alla Sophilau. Questa clausola rende impensabile lo sconto bancario della lettera di garanzia della Tradinvest, a meno che la Sophilau non abbia dal canto suo fornito ad una qualche banca svizzera proprie garanzie supplementari.
5. L’ammontare della provvigione medesima non è affatto inusuale. A parte la fondazione Rezha Pahlevi, che chiedeva provvigioni fino al 15 per cento per tutti gli affari conclusi col governo irariano durante il regime dello Scià, attualmente i governi arabi e in particolare gli emirati del Golfo, chiedono per vie traverse provvigioni che arrivano fino al 15-20 per cento del prezzo ufficiale. Ciò è reso possibile dal divario tra i prezzi ufficiali e quelli quotati sul mercato libero di Rotterdam, che sono attualmente di 35-40 dollari per barile.
Il governo dirà oggi se queste risultanze sono corroborate da documenti probanti. Resterà poi da sapere chi sono coloro che hanno alimentato le voci e creato un caso che – ove le voci fossero provate – sarebbe di gran lunga più grave di quello Lockheed: ove invece fosse provato il contrario, sarebbe il più grave esempio di cannibalismo politico (2), poiché rischia di bloccare addirittura i rifornimenti di greggio per il nostro paese in un momento in cui il governo dichiara per il 1980 un buco del 20 per cento nel nostro fabbisogno di petrolio.
Note: (1) Giorgio Mazzanti, presidente dell’Eni. (2) Mazzanti era considerato vicino ai vicesegretario socialista, Claudio Signorile. La guerra contro di lui avrebbe potuto rappresentare un momento chiave dello scontro tra lo stesso Signorile e il segretario del partito, Bettino Craxi.