Dieci anni di Repubblica, 24 novembre 1979
O c’è il peculato o c’è la calunnia
Sono lieto che l’onorevole Spaventa – della cui amicizia mi onoro da molti anni e della cui collaborazione mi valgo da molti mesi – mi riconosca (1) una corretta conoscenza dei princìpi del diritto penale quando, a proposito dello «scandalo delle tangenti Eni» sostengo che non si può né fornire né quindi chiedere la prova negativa di un fatto del quale non si specificano le concrete circostanze. Il che non significa che il fatto – o delitto che dir si voglia – non sia stato commesso, ma semplicemente definisce a chi incombe l’onere della prova.
L’amico Spaventa mi ricorda che tale onere non incombe comunque al parlamentare quando interroga il governo; se il parlamentare avesse già le prove del fatto in discussione non avrebbe bisogno d’interrogare.
Giusto anche questo. E che vi fosse materia per interrogare il governo sull’affare Eni è lampante. Il problema si sposta sul come formulare le domande.
I lettori capiscono chiaramente che il suddetto scandalo delle tangenti è ormai un caso nazionale con molti doppi fondi, sui quali – piaccia o non piaccia al governo, al presidente dell’Eni e ai suoi accusatori – bisogna far luce. All’Eni e a palazzo Chigi obbiettano: rischiamo di perdere il contratto di fornitura di 12 milioni e mezzo di tonnellate di petrolio. Ebbene, un tale rischio, a questo punto, bisogna correrlo, se non si vuole affrontare il rischio assai più grosso di veder montare un’altra marea di fango addosso alle istituzioni e agli uomini che le rappresentano. Il riserbo che fino a questo momento poteva essere invocato per senso di responsabilità verso gli interessi del paese, diventa ora irresponsabile. Si vedrà poi, tirate le somme, a chi addossare la colpa dell’eventuale danno subito.
Lo scandalo delle tangenti è come un missile a testata multipla, nel senso che contiene nel suo seno due possibili scandali alternativi:
1. L’eventuale ripartizione di tale provvigione tra arabi mediatori e italiani profittatori.
2. L’eventuale montatura d’un preteso scandalo da parte di personaggi politici per fini di cannibalismo politico.
Di fronte a questi due possibili aspetti scandalosi, si atteggiano le interrogazioni parlamentari le quali sono (l’onorevole Spaventa me lo concederà, visto che ho avuto anch’io l’onore di far parte per quattro anni della Camera dei deputati) (2) altrettante «domande retorich» che presuppongono chiaramente un giudizio dell’interrogante sulla vicenda che lo interessa.
Esempio. L’interrogazione Spaventa-Minervini domanda «se risponda a verità la notizia che l’Eni abbia disposto il pagamento di somme in favore di società estere in connessione con l’acquisto di greggio saudita; quali siano queste società e a quale titolo il pagamento sia avvenuto; se il pagamento sia avvenuto in conformità con le leggi valutarie vigenti». In questo caso l’interrogazione-domanda retorica presuppone il convincimento degli interroganti che sotto a quest’operazione ci sia del losco e che il governo debba provare la correttezza di quanto è avvenuto. È legittima un’interrogazione di questo genere? Perfettamente legittima, anzi doverosa. Ed è legittimo chiedere agli interroganti in quali modi si sia formato il loro convincimento, che così chiaramente traspare dal testo sopra riferito? Perfettamente legittimo anche questo.
Continuo nell’esempio. Il deputato Rubino propone sulla medesima questione un’interrogazione che suona nel modo seguente: «Chi sono i nomi dei personaggi italiani che tentarono di proporsi all’Eni come mediatori della fornitura di petrolio saudita; in base a quale atmosfera ambientale i suddetti personaggi ritennero di poter offrire i loro servigi». Delle varie testate multiple dello scandalo l’onorevole Rubino, in questa parte della sua «domanda retorica» ne ha scelta una, mentre Spaventa-Minervini ne hanno scelta un’altra.
Vede dunque l’amico Spaventa che le interrogazioni e le interpellanze non sono strumenti neutrali e candidi, bensì preventivamente orientati secondo il libero apprezzamento dei parlamentari, gli indizi a loro disposizione, le fonti cui hanno potuto attingere.
Spaventa, nel suo articolo di ieri, scrive: «Si è appreso che la questione è stata oggetto di colloqui tra uomini politici e presidenti del Consiglio designati in occasione delle trattative di governo; si è fatto sapere che le voci su presunte tangenti erogate dall’Eni a uomini politici sotto il velo del contratto saudiano erano state artatamente diffuse da altri uomini politici in rappresaglia di falliti tentativi di estorsione». Circostanze gravissime, specie se dette da un parlamentare dell’autorità di Luigi Spaventa. Ma non ne trovo traccia nelle sue interrogazioni. Non varrebbe la pena che, visto che ora le ha rivelate su questo giornale, ne investisse anche la Camera nell’esercizio della sua funzione di controllo politico?
Vengo alla lettera del collega Rognoni, direttore di Panorama, il quale rivendica il merito del suo giornale di aver svolto un’inchiesta che nessun altro organo di stampa aveva svolto su un fatto a dir poco inquietante, sostiene che tutte le rivelazioni da lui fatte sono state confermate dal governo nella risposta data alla Camera e conclude affermando: «Noi non ci chiediamo a chi possa giovare o nuocere una notizia. Ci limitiamo ad accertarne la fondatezza. E poi la pubblichiamo».
Anche noi, caro Rognoni, anche noi. E non a caso apparteniamo infatti – almeno in parte – alla medesima famiglia editoriale (3).
Ma guardiamo meglio alle affermazioni fatte da Panorama nel corso di quattro articoli usciti tra il 29 ottobre e il 19 novembre. Rognoni li ha elencati nella lettera di ieri in sette punti e cioè: l’Eni ha pagato una tangente, la tangente è del 7 per cento, il beneficiario è una società panamense, si chiama Sophilau, esiste una lettera di garanzia emessa dalla Tradinvest, il contratto con la Sophilau è stato stipulato dopo il contratto con la Petromin per la fornitura del greggio, la giunta dell’Eni è stata tenuta all’oscuro delle modalità di pagamento.
Un «bravo» ai colleghi di Panorama. Ma si tratta, fino al punto 5 compreso, di notizie ufficiali, consacrate da altrettante autorizzazioni ministeriali e dell’Ufficio italiano dei cambi. Fin qui dunque Panorama non ha scoperto granchè, né è quella la vera materia dello scandalo. La sesta notizia non è esatta, poiché tra l’entrata in funzione del contratto Petromin e la firma del contratto Sophilau corrono 36 ore. Alla settima notizia il governo ha risposto difformemente.
Ma, ripeto, lo scandalo non nasce da queste rivelazioni di una verità ufficiale. Nasce invece da altre affermazioni fatte da Panorama, non in modo dubitativo ma in modo assertivo, e cioè: la garanzia Tradinvest è stata scontata presso l’Unione des Banques Suisses, la tangente del 7 per cento è stata divisa in tre parti, una parte pari all’1,5 per cento è stata versata ad una personalità araba, un’altra parte pari all’1,5 per cento è stata versata ad un’altra personalità araba, una terza parte pari al 4 per cento è stata trasferita presso la banca Pictet di Ginevra a disposizione di un gruppo-ombra dietro al quale sono nascosti personaggi italiani.
Il vero scandalo è qui: se la notizia è vera, perché è stato commesso un peculato enorme; se la notizia è falsa, perché è stata montata un’enorme calunnia.
Anche noi abbiamo ricevuto queste informazioni e due giorni fa le abbiamo pubblicate, complete di nomi e cognomi, cioè gli uomini di Andreotti e gli uomini di Signorile, beneficiari, tramite l’avvocato Ortolani, di quel 4 per cento (in cifra tonda 40 miliardi). Ma abbiamo pur detto che l’informazione era contenuta in un documento anonimo giuntoci per posta, del quale abbiamo interamente pubblicato il testo.
I colleghi di Panorama affermano invece, di aver «accertato la fondatezza delle notizie». Quindi non hanno in mano un semplice anonimo, hanno di più. Che cosa? Non sarebbe ora, caro Rognoni, di andare alle fonti? A quel punto infatti si saprebbe se il vero scandalo è quello della tangente «peculata» o quello della calunnia montata ad arte.
Personalmente, non so dire quale dei due scandali, entrambi gravissimi, sia quello reale perché le mie fonti sono quelle che ho francamente dichiarato. Se voi ne sapete di più, ditelo. È un altro servizio che la libera stampa può, anzi deve rendere al paese.
Note: (1) Luigi Spaventa, Quel misterioso 7%, la Repubblica, 23.11.1979. (2) Eugenio Scalfari fu deputato del gruppo parlamentare Psi-Psdi unificati nella quinta legislatura (1969-1973). (3) Panorama è un settimanale della Mondadori, che possiede al 50 per cento la Repubblica.