Dieci anni di Repubblica, 22 novembre 1979
A Panorama mando a dire che...
Ho letto il verbale stenografico della seduta che la Camera ha dedicato martedì al controverso affare delle «tangenti Eni» (1). Vi ho trovato, tra l’altro, alcune frasi che qualche deputato ha dedicato a questo giornale; tra di essi, Di Giulio, Magri e il nostro collaboratore Luigi Spaventa. Tornerò tra poco su quest’aspetto, peraltro assai marginale, della questione. Ma non posso nascondere di aver provato, leggendo quel resoconto, un senso – come dire – di meraviglia. Meraviglia per la sconoscenza del mondo degli affari internazionali da parte di molti membri del Parlamento, meraviglia per la totale mancanza di autorevolezza e di completezza nella risposta data dal rappresentante del governo, meraviglia soprattutto per l’inesistenza, almeno finora, di fatti concreti e concrete accuse sulle quali poggiare le vociferazioni pubblicate da alcuni giornali e rispecchiate senza alcun’aggiunta probatoria nelle interpellanze parlamentari.
L’affare Eni ha destato un giustificato interesse nella pubblica opinione e in Parlamento per un fatto non controverso, quel 7 per cento di provvigione pagato al mediatore Sophilau, società panamense, equivalente ad oltre cento miliardi di lire.
Un 7 per cento e cento miliardi non sono roba da poco, specie quando a pagarli è un ente parastatale. Né vale qui invocare – anche se non è certo un particolare di poco conto – il fatto che, nonostante una così alta provvigione, il prezzo complessivo del greggio saudita acquistato dall’Eni sia di gran lunga più conveniente tra i prezzi che l’Italia ha spuntato in questi anni. Non vale, poiché se fosse dimostrato che una parte della tangente è andata a «compensare» alcuni uomini politici italiani che niente hanno a che fare con quel contratto, Giorgio Mazzanti avrebbe commesso un peculato gigantesco e i beneficiari delle sue regalie altrettanto, quale che sia il buon prezzo pagato alla società petrolifera saudita.
Il problema dunque è il seguente: è vero o non è vero che una parte di quel 7 per cento è finita nelle tasche di uomini politici italiani? Chi sono costoro? (Col contratto Petromin essi non entrano in nessun caso, poiché nessuno vorrà seriamente farci credere che l’Arabia Saudita ci dà il greggio per fare un favore ad Andreotti o a Signorile o a Bisaglia. Stando alla logica degli accusatori dell’Eni, si dovrebbe dunque pensare che Mazzanti, volendo beneficare alcuni «amici», abbia appiccicato al contratto Petromin una coda che con esso nulla ha a che vedere).
Personalmente voglio credere che Mazzanti sia un dabben uomo, ma questo conta poco in un’epoca e in un paese dove ne abbiamo già viste di tutti i colori. Per principio dunque, non mi fido né di Mazzanti né d’alcun altro. Ma mi è stato insegnato nelle aule universitarie, all’epoca in cui gli studenti di legge studiavano ancora i princìpi del diritto, che non si può chiedere ad alcuno la «prova negativa».
Sostengo cioè che non si può dire a chicchessia: io credo che tu abbia rubato e ne avrò la certezza se tu non mi dimostri il contrario. Ebbene, su che cosa si fonda la certezza dei deputati interroganti?
Poiché cerco di fare il mio mestiere di giornalista in modo scrupoloso, ho chiesto ai predetti deputati su quali prove o indizi di prova appoggiassero le loro interrogazioni. La risposta è stata: sulle recenti pubblicazioni della stampa. Ho chiesto ancora: a quali giornali vi riferite? Mi è stato risposto: principalmente agli articoli di Panorama. A questo punto il problema si sposta: bisogna cioè sapere su quali fonti Panorama abbia svolto la sua inchiesta.
È appena necessario avvertire che ho molta stima per la professionalità e la serietà dei colleghi di Panorama. Suppongo che se hanno scritto ciò che hanno scritto, avranno i cassetti pieni di documenti autentici e comprovanti.
Noi, nonostante l’impegno che abbiamo messo nelle nostre ricerche per capire se al vertice dell’Eni ci siano dei malfattori (e per la verità non sarebbe la prima volta) non abbiamo trovato, in tutto e per tutto, che il seguente documento, che voglio qui trascrivere integralmente, errori di grammatica compresi.
«L’operazione sulla Società Panamense Sophilau, controllata da fiduciari svizzeri per conto di personalità arabe, fatta per conto Ieoc, società Agip, per la tangente 7 per cento, autorizzata dal governo italiano, non riguarda solo mediatori e personalità legate al governo saudita.
«Appena, per ordine espresso del presidente Eni, la Tradinvest, finanziaria Eni, concede la garanzia richiesta da Sophilau presso l’Union de Banques Suisses, i beneficiari arabi si fanno accreditare su loro conti le loro provvigioni pattuite. Contemporaneamente la Sophilau autorizza con un telex la Ubs al trasferimento di tutta la restante somma dopo il prelievo tangenti arabe, sulla banca privata, sede unica di Ginevra Pictet et Cie. Il legale rappresentante della Sophilau di Ginevra avv. Hegert riceve istruzioni da parte dei beneficiari italiani facenti capo all’avv. Ortolani, affinché la cifra presso la Pictet venga divisa in due parti.
«Queste cifre vengono per certi canali trasferite in Italia e precisamente incassate dai beneficiari della corrente Andreotti della Dc e da un beneficiario della corrente Signorile Psi. Lo stesso avv. Hegert viene pagato in Frsv. della sua parcella da parte dei beneficiari italiani.
«Il presidente dell’Eni è al corrente pienamente che nel 7 per cento vi sono stati beneficiari politici oltre che arabi e mediatori italiani. Infatti pure il colonnello Stefano Giovannini ha avuto somme e così pure un congruo appannaggio il Carlo Sarchi, amico e collaboratore di Mazzanti.
«Il Mazzanti non pensa alla possibilità che certi ambienti abbiano il filo di dette tangenti transitate come detto per la Svizzera e destinate a chi sopra descritto. In caso di Sua continua indifferenza sì provvederà ad allargare la conoscenza al Dr. Savia (sostituto procuratore della Repubblica, n.d.r.) che avrà in conoscenza documenti ufficiali».
Questo documento è del massimo interesse. Peccato sia anonimo. Il che non significa che contenga necessariamente calunnie. Significa soltanto che, essendo anonimo, un giornale che abbia una certa serietà non può utilizzarlo e membri del Parlamento che abbiano altrettanta serietà non possono farne oggetto d’interrogazione.
L’inchiesta di Panorama è basata su questo solo documento? Non lo so. Se fosse solo questo, è certamente poco.
Ridotto al nocciolo, l’affare è dunque il seguente: 1. Si fa un buon contratto d’acquisto di greggio. 2. Si paga una forte provvigione. 3. I dirigenti dell’Eni informano le autorità politiche e valutarie di questa «coda» al contratto. 4. Le predette autorità autorizzano. 5. Per garantire il pagamento della provvigione al mediatore, l’Eni, tramite la Tradinvest, emette una lettera di garanzia. 6. La garanzia è condizionata all’esecuzione del contratto di fornitura e al mantenimento degli attuali rapporti tra i prezzi ufficiali del greggio mediorientale. 7. Alcuni anonimi diffondono la voce che sotto ci sia uno sporco affare di peculato. 8. La Camera chiede, in mancanza di specifici addebiti e di documenti probanti, una prova negativa. 9. L’Eni e il governo non sono in grado di dare la prova negativa. 10. La Camera di conseguenza si dichiara insoddisfatta e svolgerà un supplemento d’indagine.
Faccia dunque la Camera la sua indagine e col massimo rigore. Speriamo sia più incisiva dell’ineffabile ministro Sarti, che cita Lord Buckingham invece che nomi e date pertinenti. E chieda soprattutto al presidente dell’Eni e agli altri inquisiti le seguenti notizie: 1. Il nome dell’intermediario arabo. 2. I nomi dei mediatori italiani che si affollarono nelle anticamere dell’Eni per mettere almeno un dito nel ricco piatto che si preparava. 3. I nomi di coloro che portarono ai giornali i documenti anonimi o attirarono l’attenzione su di essi.
Il punto chiave della questione è in gran parte lì.
Note: (1) Sull’affare della tangente erano state presentate 17 interrogazioni, alle quali rispose il 20 novembre il ministro per i rapporti con il Parlamento, Adolfo Sarti. Sarti ammise che era stato pagato ai sauditi un «sovrapprezzo» del 7 per cento, ma negò che anche una minima parte di questa somma fosse finita a uomini politici italiani. Tutti i deputati interroganti si dichiararono insoddisfatti della risposta e chiesero ulteriori indagini.