Dieci anni di Repubblica, 6 maggio 1979
Calogero spiega la sua inchiesta
Ha detto più volte Calogero: «C’è un programma politico», quello elaborato e insegnato da Toni Negri per Autonomia Operaia, «ci sono i fatti, gli attentati, i ferimenti, i pestaggi, i sabotaggi: ogni fatto è congiunto come un anello al programma e tutti gli anelli sono collegati fra loro». È la sintesi dell’inchiesta: «Io non faccio blitz, non criminalizzo le idee: ci sono le prove, ci sono i testimoni, ci sono i documenti», la coscienza è tranquilla, la sicurezza palpabile, il lavoro da fare «ancora molto». E per via Fani? Una pausa: «questo dovete chiederlo ai giudici romani». Ma poi: «Non tornerà tutto a Padova, ne sono sicuro». Come dire: anche per quella strage, anche per l’assassinio di Aldo Moro le prove ci sono.
Pietro Calogero, sostituto procuratore della Repubblica, arriva a palazzo di giustizia alle 2 del pomeriggio, scortato da una coppia d’agenti «travestiti» da autonomi, con le mitragliette imbracciate. La procura è deserta, c’è solo la fedelissima segretaria che gli consegna pacchi di documenti, gli fa firmare qualche carta, la burocrazia va sempre rispettata. L’ufficio è in moquette azzurra, qualche stampa alle pareti, pacchi di atti e di documenti, «corpi di reato», una grande scrivania dietro la quale l’esile giudice quasi scompare.
Calogero è in abbigliamento sportivo, jeans di velluto blu, giubbotto di panno blu: non si sa da dove venga né dove andrà, è il suo stile. Ha l’aria seria, responsabile, proprio quella d’un seminarista impegnato, anche questo è stato detto. Già più di un anno fa, presentando la requisitoria per la sua prima inchiesta sull’Autonomia, aveva scritto che le Brigate Rosse e Autop erano cose diverse ma collegabili. Dopo la sentenza di rinvio a giudizio del giudice istruttore Giovanni Palombarini, «mi feci ritrasmettere tutti gli atti, aprii una nuova indagine: allora non c’era campagna elettorale», oggi molti se lo sono dimenticato.
E dopo? «Ci fu una sequela fitta di atti istruttori, una ricerca costante di elementi che potessero provare il collegamento operativo fra l’Autonomia organizzata, le Brigate Rosse e tutte le altre organizzazioni terroristiche». Una precisazione: «L’area dell’Autonomia non va confusa con l’Autonomia Organizzata, e l’Autonomia Organizzata a sua volta non è una banda armata, perché resta comunque un organismo che si propone finalità politiche». Che vuol dire? «Una cosa è sostenere che Autonomia è una banda armata, una cosa ben diversa provare che è una organizzazione la quale, per finalità politiche, si è servita di una banda armata, si chiami essa Br, Prima Linea o Nap». Per questa strada, con questa sottile distinzione, non si criminalizza un movimento intero, si colpiscono i veri colpevoli della «progettata insurrezione» contro i poteri dello Stato.
L’esempio: «A un autonomo che, a livello intermedio, operi in una realtà sociale potrebbe essere contestata solo l’appartenenza ad una associazione sovversiva: i capi di Autonomia, invece, sarebbero responsabili anche d’aver creato una banda armata, un organismo militare, per realizzare il loro progetto politico».
Ma lo «scatto» come avviene? Anzi, come è avvenuto? «Noi riteniamo che il gruppo dirigente dell’Autonomia Organizzata ha programmato azioni contro il lavoro nero, contro la selezione e così avanti. È accaduto poi che quelle azioni, in quegli esatti termini, siano state effettivamente compiute e rivendicate con volantini dalle sigle più diverse, ma tutti contenenti frammenti del programma, le motivazioni indicate nel programma, le tappe future previste dal programma». Per Calogero, questi sono «segmenti di una strategia che trascende il fatto», l’attentato o il sabotaggio; dunque «confrontiamo ogni segmento e vediamo che esso potrebbe rientrare in un deliberato della direzione di Autonomia», anche se è stato rivendicato da una organizzazione terroristica.
Questo, per il giudice, «è solo un indizio». Ma poi ci sono arrivate le prove più specifiche. Quali? «Abbiamo trovato documenti scritti in prima persona da Autonomia Operaia organizzata in cui si rivendicano quegli stessi attentati». Soltanto? «No, ci sono anche le testimonianze» di riscontro, molto preciso. «Se uno fa un programma, e quel programma lo troviamo nel volantino che rivendica un attentato, e poi l’attentato è rivendicato anche da chi ha fatto il programma, allora costui dovrebbe essere ritenuto responsabile non dell’esecuzione materiale dell’attentato, ma della sua programmazione, quindi di costituzione di banda armata». È il caso di Toni Negri e degli altri arrestati.
Si torna a insistere sulle prove: ci sono? ci sono davvero? sono sufficienti? sono risolutive? Calogero appare sicuro: «Le prove ci sono, le conoscerete a suo tempo». Anche per via Fani? «L’elemento delle telefonate, delle voci non è il solo: ci sono altre cose, ben più gravi e importanti». Del resto lo stesso Negri ha scritto che tra il partito organizzato e quello armato (cioè, tra Autonomia e terrorismo) possono crearsi contraddizioni apparenti, pur mirando le due organizzazioni allo stesso fine, l’insurrezione. Per questo «ogni militante è duplice», ha due funzioni drammaticamente contraddittorie, quella dell’azione di massa e quella del «partito armato».
Certo, tutto questo è scritto nei libri del docente: ma perché glielo hanno lasciato insegnare all’università per anni? «Ce lo dobbiamo chiedere tutti, come coscienza collettiva: se un professore di liceo in una sola lezione si fosse comportato come lui, penso che sarebbe stato processato per direttissima il giorno dopo». Negri «non parlava in una stanza, fra amici: parlava a un’organizzazione politica, perché Autonomia Operaia è un partito, dal punto di vista fenomenico, organizzativo e strutturale».
E allora, facciamo un esempio. «Se un partito costituzionale propugnasse un programma come quello di Autonomia Operaia Organizzata parleremmo forse di libera espressione del pensiero?». Certamente no. Così, «ci si può appellare alla libera espressione del pensiero quando ciò accade in un’università o in una fabbrica, e chi parla tratta quella comunità come una collettività politica, come un partito? No, questa non è più teoria, ma un programma politico che mira a costituire un nuovo regime della convivenza civile: e chi così parla si è calato nella realtà, il suo è diventato un comportamento», cioè un fatto legittimamente perseguibile. In altre parole, «non siamo più nella fase della teoria, ma della programmazione politica». É il caso di Toni Negri e di altri arrestati. Negri ammette: Io ho dato un programma politico a un partito, l’ho gridato, l’ho scritto, l’ho sempre sostenuto. È teoria questa? Ma l’istruttoria va oltre: «Riteniamo di aver provato che il programma in alcuni elementi è stato attuato». La storia di Potere Operaio è stata presa in esame «soltanto di riflesso», perché proprio militando in esso gli imputati hanno maturato quella svolta di comportamento che li ha portati alla politica e alle «azioni» di oggi.
L’inchiesta ha ricostruito una storia completa, senza lacune: «Abbiamo documenti che vanno dal 1972 al 1979, sono migliaia di carte. Poi ci sono i fenomeni esterni (gli attentati, le aggressioni, i ferimenti, ndr.), ci sono i testimoni: così abbiamo ritenuto di individuare quei saldi anelli che legano il programma politico ai fatti». Esempio, l’università di Padova: «Alla programmazione è seguita puntuale l’esecuzione». E tutto per un preciso fine: «Non l’attuazione di un’ipotesi riformistica, ma la destabilizzazione delle istituzioni». A Negri i giudici romani hanno già contestato un documento autografo nel quale si parla di direttive operative per le bande armate e l’attività terroristica tutte poi effettivamente attuate. «Questo è un anello o no?». E poi. «Questi sono solo i primi spunti», c’è ben altro da contestare.
Il piccolo giudice ora se ne va, con le due guardie armate ai fianchi. Di sotto, l’aspettano l’Alfetta blindata e una Giulia-civetta con altri quattro agenti. Si può dire quel che si vuole, dubitare quanto si vuole, chiedere le prove finché si vuole, ed è giusto: ma lui è certo di aver fatto un buon lavoro, quel che qualcuno può pensare non lo interessa.