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 1951  maggio 09 Mercoledì calendario

I cattivi comportamenti della Anglo Iranian Oil Company

Quando si sono accertate e proclamate le molte colpe che il popolo persiano  indubbiamente ha, e che  soprattutto ha la sua classe  dirigente, non si è fatta che una metà del processo. L’altra metà bisogna farla a carico delle Potenze  straniere, che si sono conteso e tuttora si contendono il  dominio della Persia e delle sue ricchezze : la Russia,  l’Inghilterra, e soprattutto l’«  AngloIranian Oil Company». La storia dei rapporti di  queste Potenze fra di loro e col Governo e col popolo  persiano è una storia di  violenze, di frodi e soprattutto di esosa avidità.
L’Observer ha commentato con una sobria ma severa  nota la politica della  Compagnia. Ha detto: il fatto che la Commissione  parlamentare persiana per il petrolio  abbia messo ancora una volta il fervore nazionalista dei suoi membri al di sopra  dell’interesse nazionale non ci deve impedire di vedere gli errori della politica dell’«  Anglo-Iranian». Le offerte  recenti o le voci di offerte da parte della Compagnia  suggeriscono che essa abbia voluto a questa ora tarda fare  concessioni finanziarie e in  materia di direzione. Ma, prima che cominciasse la attuale violenta agitazione, la  Compagnia sosteneva che la sua offerta, cosi come era stata tradotta nell’accordo  addizionale del 1948, era il  massimo che si potesse fare, se si voleva che il petrolio  persiano rimanesse sul mercato mondiale.
L’offerta che la Compagnia ha fatto all’ultima ora è  stata, o si dice sia stata, quella della divisione degli utili in parti eguali fra Governo concedente e società  concessionaria: la clausola fifty  fifty, come dicono gli  americani. È il contratto che le società americane  concessionarie di giacimenti di  petrolio nel Medio-Oriente hanno fatto ai Governi dai quali hanno ottenuto le  concessioni, e, prima di tutto, a Ibn Saud. È la «Anglo-Iranian» e le altre società inglesi  avrebbero fatto saggiamente se si fossero affrettate a  seguire l’esempio delle  consorelle americane. Perché  evidentemente il fatto che, mentre gli americani nella vicina Arabia Saudita  pagavano il 50 per cento, gli  inglesi nell’ Iran, nell’Iraq o  altrove continuassero a pagare il 30 o poco più non poteva non suscitare il risentimento e il rancore delle  popolazioni indigene contro le società inglesi. Ed era facile  prevedere che, a lungo andare, questi risentimenti e questi rancori avrebbero fatto  valanga.
Finché durò la guerra si potè eludere o rinviare il  problema: lo Scià fu deportato a Johannesburg, inglesi e russi occuparono l’ Iran e  fecero quel che vollero. Ma, una volta finita la guerra, gli inglesi non avrebbero dovuto aspettare neppure un giorno per fare al Governo  iraniano condizioni eque e oneste. E, invece, aspettarono  alcuni anni, e soltanto nel 1948 si addivenne a quell’«accordo addizionale» di cui parlava YObserver. E poiché il  Parlamento iraniano non lo  ratificò, la Compagnia non pagò gli aumenti; ossia continuò a pagare secondo l’accordo di prima, quello del 1933 e  successivi ritocchi. Ancora tre o quattro mesi fa si sarebbe stati in tempo: Ali Razmara era animato dalle migliori  intenzioni, e se la Compagnia avesse offerto a lui quello, che, all’ultima ora, ha offerto al nazionalista e xenofobo Mussadeq, il petrolio sarebbe rimasto alla Compagnia, e Ali Razmara non sarebbe  stato assassinato e sarebbe  ancora Primo ministro.
La questione è che per  pretendere l’esecuzione di un contratto, come quello che la «Anglo-Iranian» aveva” col Governo persiano, è ingenuo contare solo sulla carta  scritta o sulla buona fede della controparte. Bisogna avere la forza. E. se non si ha la  forza, bisogna creare un sistema di cointeressenze tale che la controparte trovi più  conveniente eseguire e rispettare il contratto, che violarlo o  liberarsene. E la «Anglo-Iranian» aveva già fatto in due  occasioni l’esperienza di questa saggia dottrina.
Nel 1901, l’australiano  William Knox d’Arcy ottenne dallo Scià Nasr-ed-Din la  famosa concessione. Ma,  quando si recò nella Persia  meridionale, si accorse che là lo Scià non contava niente, e che i veri padroni della  regione erano gli sceicchi e i  capitribù locali. E capi pure «he col metodo del bakscish non sarebbe venuto a capo di niente: quei briganti  avrebbero intascato la prima  mancia, e poi avrebbero preteso la seconda, e se non la avessero ottenuta subito avrebbero fatto razzie. Allora D’Arcy ebbe una idea geniale:  quella di cointeressare tutti i  capi-tribù allo sviluppo  dell’impresa e, quindi, al  mantenimento dell’ordino,  distribuendo loro pacchetti d’azioni  della costituenda società  anonima. Come riuscisse a far  capire a quei briganti che cosa fosse e come funzionasse una società anonima non si sa. Ma evidentemente molte cose, che i meticolosi burocrati  dell’attuale gigantesca impresa non saprebbero neppure  concepire, sono possibili a un avventuriero di genio. Certo è che il sistema funzionò  ottimamente e, poco dopo,  costituita una prima società, si poterono cominciare le  perforazioni presso Sciuster. L’altra esperienza risale al 1932. Fino a quell’anno la Compagnia non pagò al  Tesoro persiano che il 16 per cento dei suoi utili netti,  giusta l’originario contratto  della concessione D’Arcy. Il  Governo persiano era tutt’altro che soddisfatto. Esso  accusava la Compagnia di  falsificare i bilanci per ridurre al minimo i pagamenti al  Tesoro, e chiedeva che un suo rappresentante fosse  autorizzato a controllare i bilanci. Poi la accusava di aver  creato una serie di filiali, che  lavoravano fuori dei termini della concessione e non  pagavano niente al Tesoro. E soprattutto si doleva del  fatto che la Compagnia aveva fortemente ridotto la  produzione e, quindi, i versamenti al Tesoro. Si trattò a lungo e non si concluse niente. La Compagnia non si proponeva altro che di guadagnar  tempo; o, meglio, di perderne e farne perdere. E arrivò a tal punto di grettezza o di  impudenza da rifiutarsi di  mandare un suo rappresentante a Teheran per trattare,  dicendo di non poter sostenere la spesa. Alla fine, un bel  giorno – il 5 dicembre 1932 – lo Scià revocò la concessione (come ha fatto oggi il  Majlis). L’opinione pubblica  inglese si commosse. Eden  dichiarò che il Governo era  risoluto a prendere «tutte le misure legittime» per  proteggere gli interessi inglesi in Persia (e lo stesso ha detto oggi Morrison). Navi inglesi apparvero nel Golfo Persico (e pare che anche oggi ne siano apparse, ma la notizia non è sicura). Senonchè lo Scià ben sapeva che la  minaccia era vana. E la  Compagnia alla fine cedette. Perché la minaccia del Governo inglese di usare la forza era vana nel 1933? Perché  esisteva un trattato  persiano-sovietico del 1921, il quale,  all’articolo 6, disponeva che, se un terzo Governo avesse  usato il territorio persiano come base di operazioni, «l’U. R. S. S. avrebbe avuto il diritto di fare avanzare le  sue.truppe all’interno della Persia». Questo trattato è tuttora in vigore, e anzi il Governo  sovietico, con nota del 31  gennaio 1948, fece sapere al  Governo di Teheran che lo  considerava sempre come valido. In queste condizioni il  Governo inglese, oggi,, come nel 1933, non può usare la forza, perché, se la usasse,  provocherebbe l’invasione e  l’occupazione dell’ Iran da parte delle forze sovietiche. Di ciò, i nazionalisti persiani, nel corso della crisi attuale, si sono sempre resi  perfettamente conto, mentre la  Compagnia non se ne è resa  conto, e ha continuato a fare  assegnamento su una forza che non si sarebbe potuta mai usare, e su minacce che  l’avversario sapeva vane. In sostanza, la Compagnia non ha tratto profitto né  dalla lezione del 1901, né da quella del 1933. Non ha  saputo cointeressare abbastanza la controparte all’impresa, come fece D’Arcy nel 1901. E ha contato sul potere  intimidatorio di minacce, che già erario riuscite vane nel 1933. Ha rovinato la sua causa per eccesso di avidità. E si è  avverato ancora una yolta il vecchio detto che l’avaro nuoce a tutti e soprattutto a se stesso: in nullum avarus bonus, in se pessimus.