Dieci anni di Repubblica, 10 ottobre 1979
La Fiat annuncia i licenziamenti
La Fiat ha annunciato il licenziamento di 61 lavoratori. La notizia è stata resa nota ufficialmente oggi ma era nell’aria da tempo. Le lettere sono state consegnate questa mattina verso la fine del primo turno, subito dopo è entrata in movimento la macchina dei sindacati e delle forze politiche. Perché l’azienda torinese ha adottato una decisione così grave e che certamente comporta non pochi rischi in un momento così delicato per la vita della città e più in generale del paese? La motivazione burocratica è che questi sessantuno lavoratori, tra i quali si contano quattro esperti sindacali ma nessun delegato, hanno tenuto un costante comportamento contrario ai principi basilari del rapporto di lavoro. Gli articoli ai quali si fa riferimento sono il 25 e il 26 che parlano rispettivamente di sospensione cautelare e di atti che recano «grave nocumento». Da oggi, dunque, questi dipendenti sono fuori dalla fabbrica e hanno sei giorni di tempo per presentare ricorso in sede di Amma (Associazione aziende metalmeccaniche, metallurgiche e affini).Nella lettera di contestazione si fa anche riferimento a «prestazioni di lavoro non rispondenti ai princìpi della diligenza, correttezza, buona fede».
Non ci sono nei confronti di questi lavoratori accuse di terrorismo, né velate né palesi. Ma è inevitabile il collegamento tra questo atto e le vicende che hanno caratterizzato la vita della Fiat negli ultimi anni. «Il bilancio di quattro anni di terrorismo contro la Fiat e i suoi uomini – si legge in un comunicato diffuso dall’azienda questo pomeriggio – è a tutt’oggi questo: tre dirigenti uccisi, altri 19 aggrediti o feriti, decine di auto di capi e dirigenti incendiate, innumerevoli quasi quotidiani atti di intimidazione contro gli uomini che esprimono la struttura di fabbrica». Un elenco che parte da Ettore Amerio, il capo del personale sequestrato nell’ottobre del ’73 e arriva all’assassinio di Carlo Ghigliero e al ferimento di Cesare Varetto di qualche giorno fa (1).
C’è tuttavia il rischio di un troppo facile collegamento tra la lotta sindacale e il terrorismo. Se ne rendono conto le organizzazioni sindacali che oggi pomeriggio si sono riunite per decidere come rispondere a questo atto che essi definiscono «grave e preoccupante». La Fiat dice che non ha alcuna intenzione di muovere un attacco alle organizzazioni dei lavoratori, che anzi vuole dare una mano al sindacato: ma è un ragionamento difficile da far digerire ai dirigenti della Flm. A Torino quando si sente parlare di licenziamento tornano infatti alla memoria i fantasmi degli anni Cinquanta.
La Fiat insiste sul fatto che non si poteva più tollerare una situazione che se dovesse continuare renderebbe ingovernabile la fabbrica. I dirigenti dell’azienda sostengono che fino ad oggi «nella mai persa speranza che la ragione prevalesse, la Fiat non ha mai richiamato l’attenzione del mondo esterno alla fabbrica su quanto quasi ogni giorno avviene dentro i suoi cancelli o contro i suoi uomini». «Adesso – spiega Cesare Annibaldi, responsabile delle relazioni industriali – è giunto il momento di precisare le posizioni, dobbiamo fare chiarezza. Anche se la Fiat da sola, come del resto il sindacato da solo, non può risolvere questo problema».
L’azienda intende spezzare la catena della violenza quotidiana in fabbrica e lo fa ricorrendo ad un’arma che i sindacati ritengono pericolosa. La Fiat sostiene di avere prove sufficienti per dimostrare che la sua decisione non è né arbitraria né tesa a fare di tutte le erbe un fascio. «L’obiettivo è quello di stroncare la violenza organizzata, quella che quotidianamente si esprime con piccoli atti di minaccia e la cui area è vastissima», dice Annibaldi. «È difficile stabilire con esattezza quali siano i collegamenti tra questa area e il terrorismo, probabilmente esistono ma è una constatazione che si può fare soltanto a livello consuntivo».
I lavoratori interessati al licenziamento appartengono agli stabilimenti di Mirafiori, Rivalta, Lancia di Chivasso. A quando si riferiscono gli atti che sono loro contestati non è stato detto. Adesso il sindacato sta preparando le contromisure, proprio per impedire pericolose confusioni e per evitare che si apra un varco che potrebbe costituire la tomba per le conquiste sindacali di anni. Ci si domanda oggi se la Fiat ha preso queste decisioni non tanto a cuor leggero – cosa impossibile data la gravità del momento – ma quantomeno se lo ha fatto dopo avere soppesato i rischi delle reazioni. È certo che venerdì sera Umberto Agnelli ha incontrato i dirigenti di Mirafiori i quali, a ventiquattrore dal ferimento di Varetto, gli hanno espresso ancora una volta il loro malcontento e le loro preoccupazioni. È altrettanto certo che le organizzazioni sindacali erano state avvertite di provvedimenti che sarebbero stati presi, anche se non era stato loro precisato né il come né il quando. Si sa anche che la cosa era giunta a Palazzo Chigi e che Cossiga sapeva di un gesto della Fiat che diversamente avrebbe assunto l’aspetto di un vero e proprio tentativo di surroga dello Stato nella lotta al terrorismo.
È quanto sostiene il partito comunista che questo pomeriggio si è riunito in permanenza presso la sede della federazione provinciale, mentre già in casa Flm era in corso l’attivo con la partecipazione della segreteria regionale Cgil-Cisl-Uil e del segretario nazionale della Flm, Silvano Veronese.
I comunisti sostengono che sono poco chiare le motivazioni addotte dalla Fiat per questi licenziamenti. «Voci insistenti e ricorrenti – dicono – fanno supporre che dietro a questa misura sussista come reale motivazione della Fiat l’accusa di comportamenti violenti o di attività eversive». Di qui il Pci torinese trae la conclusione che se ciò fosse vero l’azienda dovrebbe rivolgersi alla magistratura per denunciare i fatti di cui è a conoscenza. «Sarebbe infatti assai grave – si legge nel comunicato diffuso in serata dal Pci – se dato il clima vissuto da una città duramente provata dal terrorismo emergesse da parte della Fiat o di chiunque altro la tentazione di sostituirsi agli organi dello Stato anziché compiere fino in fondo il proprio dovere». Il Pci ricorda l’esempio di Guido Rossa a Genova e ribadisce l’impegno del movimento operaio nell’evitare che «gli eversori instaurino un fossato tra lavoratori, tecnici e dirigenti di fabbrica». «Se invece – conclude la nota del Pci – la Fiat intende anche solo indirettamente avvalersi del clima difficile e pesante che si respira nella città e nella fabbrica per far passare una linea di attacco al movimento operaio, anche attraverso misure unilaterali, allora si tratterebbe di una scelta grave che nulla avrebbe a che fare con l’impegno democratico contro l’eversione e l’insieme del movimento operaio e democratico dovrebbe tirarne per intero le conseguenze». É quanto si è cominciato a fare in casa sindacale sia qui a Torino che a Roma. Le reazioni della Flm sono durissime: «se la Fiat sa, deve dirlo e non deve ricorrere a strumenti di questo genere, strumenti come i licenziamenti».Intanto oggi in fabbrica sono cominciati i primi scioperi: si sono fermati per un quarto d’ora alcuni reparti di Mirafiori e per un’ora e mezza la Lancia di Chivasso. Per domani sono annunciate da due a tre ore di sciopero in tutto il gruppo Fiat. Questo capitolo aperto oggi comunque non si concluderà presto: questa sera se ne è discusso in consiglio comunale e tutti hanno fatto una distinzione tra terrorismo e lotte sindacali. Il sindaco Novelli ha detto che «il grave provvedimento lascia sconcertati per la genericità delle contestazioni».
Note: (1) Si tratta di due dirigenti della Fiat. Ghiglieno, ingegnere, era stato ucciso da Prima Linea il 21 settembre a Torino. Cesare Varetto era stato azzoppato dalle Br il 4 ottobre.